MICHELANGELO POETA
Riprendiamo la rubrica dedicata a MICHELANGELO POETA, ed alla poesia prescelta abbiniamo un piccola e non tanto conosciuta opera del BUONARROTI, “LA MADONNA DELLA SCALA” collocata nello straordinario museo “CASA BUONARROTI A FIRENZE”.
L'opera è menzionata per la prima volta nell'edizione del 1568 delle Vite di Giorgio Vasari, come in casa di Lionardo Buonarroti, nipote di Michelangelo, il quale la donò poi nel 1566 a Cosimo I de' Medici. Nel 1616 i Granduchi la restituirono alla famiglia, restando da allora nel loro palazzo familiare in via Ghibellina, che oggi ospita il museo di Casa Buonarroti.
Superate ormai le ipotesi che collocavano la lastra a non prima del 1495, l'opera è oggi considerata come il primo lavoro pervenutoci di Michelangelo, databile al 1491 circa.
L'opera è un evidente omaggio allo stiacciato di Donatello, come annotò anche Vasari, sia nella tecnica che gradua i piani con variazioni millimetriche di spessore, sia nell'iconografia, a partire proprio dal motivo della scala con gradini pronunciati e corrimano in scorcio, visibile ad esempio nel Banchetto di Erode a Lilla, che sfondano spazialmente aprendo una via di drammatica fuga prospettica.
La figura della Madonna, seduta sopra un masso squadrato e vista di profilo mentre guarda lontano, occupa tutta l'altezza del rilievo, da un margine all'altro, con una severità e una monumentalità che ricorda le steli classiche. Molto originale è la composizione del gruppo sacro, al tempo stesso bloccato e dinamico, con la Vergine col busto eretto e lo sguardo fisso lontano, in attitudine profetica, mentre solleva un lembo della veste per allattare o proteggere il figlio assopito, e genera un movimento spirale grazie alla disposizione a contrapposto degli arti: Gesù ha infatti un braccio lasciato andare dietro la schiena e Maria arriva ad intrecciare i piedi, mostrando la pianta del destro e rompendo la staticità del piano liscio del bassorilievo. La mano destra del Bambino girata in fuori venne in seguito usata più di una volta dall'artista per simboleggiare l'abbandono del corpo nel sonno o nella morte, come nel Ritratto di Lorenzo de' Medici duca di Urbino o nella Pietà Bandini e si rifà all' Ercole Farnese (poiché per Michelangelo l'uomo è visto come Ercole).
Pronunciata è la muscolatura del Bambino e la presa di Maria, soprattutto con le grandi mani che, grazie al trattamento differenziato delle superfici, fanno apparire vigoroso un gesto semplice e quotidiano. Virtuoso è infine il ricadere del panneggio, soprattutto sul sedile cubico, del quale segue la forma con grande realismo.
A sinistra, sulla scala che dà il nome al rilievo, si vedono due putti appena sbozzati in atteggiamento di danza o di lotta e un altro che, sporgendosi sul corrimano, tende, insieme a una quarta figura posta dietro la Vergine, un drappo. Difficile è stabilire il significato di questa scena di sottofondo, forse un semplice esercizio di stile o un omaggio ai putti danzanti donatelliani.
g.m.
Di te me veggo e di lontan mi chiamo
per appressarm’al ciel dond’io derivo,
e per le spezie all’esca a te arrivo,
come pesce per fil tirato all’amo.
E perc’un cor fra dua fa picciol segno5
di vita, a te s’è dato ambo le parti;
ond’io resto, tu ’l sai, quant’io son, poco.
E perc’un’alma infra duo va ’l più degno,
m’è forza, s’i’ voglio esser, sempre amarti;
per appressarm’al ciel dond’io derivo,
e per le spezie all’esca a te arrivo,
come pesce per fil tirato all’amo.
E perc’un cor fra dua fa picciol segno5
di vita, a te s’è dato ambo le parti;
ond’io resto, tu ’l sai, quant’io son, poco.
E perc’un’alma infra duo va ’l più degno,
m’è forza, s’i’ voglio esser, sempre amarti;
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