giovedì 23 agosto 2018

MICHELANGELO POETA

Continuiamo con la rubrica dedicata al MICHELANGELO poeta, oggi alle rime composte dal genio di Caprese abbiniamo un suo grande e noto capolavoro “L’AURORA” scultura allegorica facente parte della tomba di LORENZO DE’ MEDICI duca di Urbino posta all’interno della sacrestia nuova nel complesso LAURENZIANO A FIRENZE.
L'Aurora è una scultura in marmo (155x180 cm, lunghezza massima in obliquo 206 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1524-1527 e facente parte della decorazione della Sagrestia Nuova in San Lorenzo a Firenze. In particolare è una delle quattro allegorie delle Parti della Giornata, e si trova a destra sul sarcofago della tomba di Lorenzo de' Medici duca di Urbino.
L'Aurora venne iniziata nella fase seguente la ripresa dei lavori alla Sagrestia, nel 1524, dopo l'elezione di Clemente VII al soglio pontificio. Entro il 1527 doveva essere giù stata terminata, poiché quell'anno appare infatti già in un'incisione del Trionfo della Fortunadi Sigismondo Fanti.
L'Aurora, o Alba, è vista come una personificazione femminile, semidistesa e nuda, come le altre statue della serie. Essa ebbe come modello, forse, le divinità montane e fluviali sull'Arco di Settimio Severo a Roma. Ha il capo velato e sta compiendo un gesto come di svegliarsi dal sonno, alzandosi dal giaciglio e girando il busto verso lo spettatore, con un gomito piegato come appoggio e l'altro braccio che si inclina fino a cercare, all'altezza della spalla, il velo per sollevarlo. Una gamba è mollemente distesa sul profilo del sarcofago, l'altra è piegata in avanti e cerca un appoggio.
Tra le varie letture iconologiche proposte, si è vista la statua come emblema dell'"amaritudine" o come dolore mediato dal temperamento malinconico, o ancora come simbolo della luce divina che fuga le tenebre, o del temperamento sanguigno, o dell'elemento aria o anche terra.
g.m.

RIME DI MICHELANGELO BUONARROTI 
Quanto sare’ men doglia il morir presto
che provar mille morte ad ora ad ora,
da ch’in cambio d’amarla, vuol ch’io mora!
Ahi, che doglia ’nfinita
sente ’l mio cor, quando li torna a mente5
che quella ch’io tant’amo amor non sente!
Come resterò ’n vita?
Anzi mi dice, per più doglia darmi,
che se stessa non ama: e vero parmi.
Come posso sperar di me le dolga,10
se se stessa non ama? Ahi trista sorte!
Che fia pur ver, ch’io ne trarrò la morte?

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