CRISTOFORO ALLORI-GIUDITTA CON LA TESTA DI OLOFERNE-GALLERIA PALATINA FIRENZE
Giuditta con la testa di Oloferne
Cristofano Allori (Firenze 1577-1621)
Museo
Palazzo Pitti
Collezione
Galleria Palatina
Tecnica
Olio su tela
Dimensioni
139 x 116 cm
Il dipinto più celebre del fiorentino Cristofano Allori, eseguito tra il 1610 e il 1612, conobbe subitaneo successo e diffusione di copie, grazie anche alla credenza popolare secondo cui il pittore avrebbe interpretato in veste autobiografica la storia dell’eroina biblica Giuditta, raffigurando se stesso nella testa del decapitato Oloferne e la sua amante Mazzafirra nel bel volto della giovane, che col suo abbigliamento straordinariamente sontuoso offre un esplicito omaggio alla fiorente industria tessile della città. Alla morte del pittore, nel 1621, il quadro giunse nelle collezioni medicee ed approdò a Pitti nel 1666. Nell’opera Cristofano mostra di recepire l’influenza di Caravaggio attraverso la lezione di Artemisia Gentileschi che negli stessi anni, a servizio dei Medici, dipingeva per Cosimo II due impetuose Giuditte ( Uffizi, Sala 90, Inv. 1890 n. 1567 e Galleria Palatina, Sala dell’Iliade, Inv. Palatina n. 398). Cristofano mette in risalto la bellezza dell’eroina, il candore dell’incarnato e la ricchezza della veste, in contrasto con l’orrore della testa mozzata che tiene in mano. Giuditta appare fiera del suo gesto e sicura della protezione divina. Il tema figurativo di Giuditta ed Oloferne conobbe molta fortuna in Firenze grazie soprattutto al gruppo bronzeo di Donatello collocato in piazza della Signoria nel 1494 (ora nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio), che divenne il manifesto di astuzia, coraggio e fede in Dio, virtù necessarie per guadagnare libertà contro qualsiasi oppressore.
Cristofano Allori (Firenze 1577-1621)
Museo
Palazzo Pitti
Collezione
Galleria Palatina
Tecnica
Olio su tela
Dimensioni
139 x 116 cm
Il dipinto più celebre del fiorentino Cristofano Allori, eseguito tra il 1610 e il 1612, conobbe subitaneo successo e diffusione di copie, grazie anche alla credenza popolare secondo cui il pittore avrebbe interpretato in veste autobiografica la storia dell’eroina biblica Giuditta, raffigurando se stesso nella testa del decapitato Oloferne e la sua amante Mazzafirra nel bel volto della giovane, che col suo abbigliamento straordinariamente sontuoso offre un esplicito omaggio alla fiorente industria tessile della città. Alla morte del pittore, nel 1621, il quadro giunse nelle collezioni medicee ed approdò a Pitti nel 1666. Nell’opera Cristofano mostra di recepire l’influenza di Caravaggio attraverso la lezione di Artemisia Gentileschi che negli stessi anni, a servizio dei Medici, dipingeva per Cosimo II due impetuose Giuditte ( Uffizi, Sala 90, Inv. 1890 n. 1567 e Galleria Palatina, Sala dell’Iliade, Inv. Palatina n. 398). Cristofano mette in risalto la bellezza dell’eroina, il candore dell’incarnato e la ricchezza della veste, in contrasto con l’orrore della testa mozzata che tiene in mano. Giuditta appare fiera del suo gesto e sicura della protezione divina. Il tema figurativo di Giuditta ed Oloferne conobbe molta fortuna in Firenze grazie soprattutto al gruppo bronzeo di Donatello collocato in piazza della Signoria nel 1494 (ora nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio), che divenne il manifesto di astuzia, coraggio e fede in Dio, virtù necessarie per guadagnare libertà contro qualsiasi oppressore.
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