giovedì 12 luglio 2018

SANDRO BOTTICELLI-LA PALA DI SAN BARNABA-GALLERIA DEGLI UFFIZI FIRENZE

La Pala di San Barnaba è un dipinto a tempera su tavola (268x280 cm) di Sandro Botticelli, databile al 1487.
Il dipinto è menzionato per la prima volta nel 1510 da Albertini, che lo ricorda sull'altare maggiore della chiesa di San Barnaba a Firenze. Era stato probabilmente commissionato dall'Arte dei Medici e Speziali che aveva il patronato della chiesa. Nel 1717 l'opera venne spostata sulla parete di fondo e "ammodernata" da Giovanni Vernaccini con l'aggiunta di una cuspide tardobarocca che mostrava la continuazione dell'arco e del baldacchino.
I restauri nel tempo non sempre ebbero effetti positivi, ad esempio in uno forse del XIX secolo venne ripassato a olio il manto verde di santa Caterina d'Alessandria, guastandone la plasticità e rendendo la figura molto più impacciata. Nel 1919 il dipinto giunse agli Uffizi, privato delle aggiunte settecentesche.
Esiste una versione della sola Madonna col Bambino già in palazzo Panciatichi Ximenes e oggi a Londra nella collezione Carmichael.
Descrizione e stile
Disegno preparatorio di san Giovanni Battista
Si tratta di una sacra conversazione impostata attorno all'alto trono marmoreo della Vergine col Bambino, sul quale si trova una conchiglia, simbolo di Maria/nuova Venere, e un baldacchino scostato da due angeli. Altri due li affiancano in un gioco di ritmi e simmetrie, e mostrano al Bambino i simboli della Passione, quali la corona di spine e i tre chiodi della Croce. Maria ha un'immagine dolce e affettuosa, leggermente allungata e longilinea come nella Madonna Bardi, dai lineamenti affilati che le danno un che di ascetico, in cui si possono leggere i segni della crisi mistica che colpì gradualmente l'artista dopo l'arrivo di Savonarola in città. Si avverte infatti una sottile tensione nei personaggi, che venne maggiormente evidenziata nelle opere successive. Più marcato è inoltre il plasticismo delle figure, l'uso del chiaroscuro e l'espressività è accentuata.
In basso, su un pavimento a dischi marmorei finemente scorciato in prospettiva, si trovano sei santi suddivisi in due gruppi di tre. Da sinistra si riconoscono santa Caterina d'Alessandria, con la ruota dentata con cui ha ricevuto il supplizio prima della decapitazione, Sant'Agostino che scrive le confessioni, san Barnaba con il ramo d'ulivo con cui pacificò i primi apostoli e il vangelo di san Matteo, san Giovanni Battista, sant'Ignazio d'Antiochia riconoscibile dal cuore in mano che gli fu estratto dagli aguzzini, i quali trovarono all'interno il nome di Cristo scritto a caratteri dorati, e san Michele Arcangelo. Spiccano per originalità la figura smagrita del Battista e quella di ideale bellezza giovanile del san Michele in armatura. Al Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi si conserva uno studio della figura di san Giovanni, dove il corpo e la postura sono identici, mentre la testa è barbata e di uomo più maturo, con una diversa inclinazione.
L'architettura di sfondo riecheggia la sontuosità della classicità romana, che l'artista aveva avuto modo di ammirare nel suo soggiorno del 1480-1482, ma anche opere fiorentine come la Cappella dei Pazzi di Brunelleschi. Si tratta di un nicchione a base rettangolare coperto da una volta a botte a tutto sesto, con un ampio cornicione in cui corre anche un fregio con rilievi dorati e con due tondi figurati ai lati del trono, rappresentanti l'Angelo annunciante e la Vergine annunziata. Il connubio tra sinteticità e maestosità preannuncia l'arte del XVI secolo ed è tra i migliori risultati del genere prodotti dal pittore.
Sul trono della Vergine si trova la più antica iscrizione in italiano su un dipinto, tratta dal canto XXXIII del Paradiso di Dante ("Vergine madre e figlia del tuo figlio", primi versi della preghiera pronunciata da Bernardo di Chiaravalle in 33,1), che dimostra un interesse verso il poeta fiorentino che culminò in seguito nelle illustrazioni alla Divina Commedia commentata da Cristoforo Landino.

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