Luigi Di Maio è vittima della sua stessa propaganda, come tutto il governo giallo-verde del resto. E la vicenda ILVA che sta deflagrando in questi giorni dimostra che il vicepremier è stritolato dalle promesse elettorali fatte ai suoi elettori, i sondaggi che commissiona in maniera ossessiva per sapere cosa pensano i cittadini su ogni singolo argomento e la dura realtà dei fatti. La convocazione di 62 sigle di qualsiasi tipo e dimensione – pesantemente contestata dal sindaco di Taranto, non proprio l’ultimo arrivato – per 120 minuti (la maggior parte dei quali è stata ovviamente occupata da lui e dai rappresentanti di Ancelor Mittal, che hanno illustrato il piano ambientale) è una sceneggiata inutile e incomprensibile. Tanto che viene sin troppo facile che il vero obiettivo del ministro dello Sviluppo economico sia quello di perdere ulteriore tempo, fare melina in attesa che siano le circostanze a decidere al posto suo il futuro della più grande acciaieria d’Europa.
Al centro del dibattito, è cosa nota, c’è il piano del colosso industriale per quanto riguarda la riqualificazione ambientale e i livelli occupazionali, di cui l’azienda parlerà domani con i sindacati. Di Maio, per non saper né leggere né scrivere, butta la palla al di là del suo recinto: “Se ci sono state irregolarità nella gara d’assegnazione, il governo precedente si prende una responsabilità senza precedenti, ci rivolgeremo all’avvocatura dello Stato”. E ancora: “Non ho alcuna intenzione di regalare l’Ilva al primo che passa”. Fuffa, fuffa, e ancora fuffa.
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