IL MANIFESTO DI
VENTOTENE
In un momento storico
nel quale stanno dominando la scena politica italiana i sovranisti o per meglio
dire i nazionalisti fascistoidi, sarebbe opportuno che qualcuno si rileggesse
il “MANIFESTO DI VENTOTENE
Il Manifesto di Ventotene,
steso nel 1941 da Spinelli, e Rossi insieme con Eugenio Colorni e Ursula
Hirschmann, è un fondamentale documento che traccia le linee guida di quella
che sarà la carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Nel documento viene
sottolineato come i principi che nacquero dalla Società delle Nazioni in
seguito alla prima guerra mondiale si fossero persi, lasciando spazio al
nazionalismo imperialista delle potenze. Come gli ordinamenti democratici si
fossero svuotati del loro senso lasciando spazio a plutocrati e monopolisti.
Come lo spirito critico scientifico fosse stato sostituito da nuove fedi
materialistiche.
I tre intellettuali
previdero la caduta dei poteri totalitari e auspicarono che, dopo le esperienze
traumatiche della prima metà del Novecento, i popoli sarebbero riusciti a
sfuggire alle subdole manovre delle élites conservatrici. Secondo
loro, lo scopo di queste sarebbe stato quello di ristabilire l’ordine
prebellico.
Per contrastare queste
forze si sarebbe dovuta fondare una forza sovranazionale europea, in cui le
ricchezze avrebbero dovuto essere redistribuite e il governo si sarebbe deciso
sulla base di elezioni a suffragio universale. L’ordinamento di questa forza
avrebbe dovuto basarsi su una “terza via” economico-politica, che avrebbe
evitato gli errori di capitalismo e comunismo, e che avrebbe permesso
all’ordinamento democratico e all’autodeterminazione dei popoli di assumere un
valore concreto.
"Per un'Europa
libera e unita"
Ventotene, agosto 1941
I - LA CRISI DELLA CIVILTÀ MODERNA
La civiltà moderna ha posto come proprio
fondamento il principio della libertà, secondo il quale l'uomo non deve essere
un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla
mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti
della vita sociale che non lo rispettino:
1. Si è affermato l'eguale diritto a
tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo,
individuato nelle sue caratteristiche etniche geografiche linguistiche e
storiche, doveva trovare nell'organismo statale, creato per proprio conto
secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per
soddisfare nel modo migliore ai suoi bisogni, indipendentemente da ogni
intervento estraneo.
L'ideologia dell'indipendenza nazionale
è stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini
campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l'oppressione degli
stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la
circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere, dentro il
territorio di ciascun nuovo stato, alle popolazioni più arretrate, le
istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portava però
in sé i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto
ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi
delle guerre mondiali.
La nazione non è più ora considerata
come lo storico prodotto della convivenza degli uomini, che, pervenuti, grazie
ad un lungo processo, ad una maggiore uniformità di costumi e di aspirazioni,
trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva
entro il quadro di tutta la società umana. È invece divenuta un'entità divina,
un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio
sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possono
risentirne. La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà
di dominio sugli altri e considera suo "spazio vitale" territori
sempre più vasti che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i
mezzi di esistenza senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non
potrebbe acquietarsi che nell'egemonia dello stato più forte su tutti gli altri
asserviti.
In conseguenza lo stato, da tutelatore
della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi, tenuti a
servirlo con tutte le facoltà per rendere massima l'efficenza bellica. Anche
nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle
inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai, in
molti paesi, su quella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile il
funzionamento di ordinamenti politici liberi; la scuola, la scienza, la
produzione, l'organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare
il potenziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici di soldati,
ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre si
premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla più tenera
età al mestiere delle armi e dell'odio per gli stranieri; le libertà
individuali si riducono a nulla dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente
chiamati a prestar servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad
abbandonare la famiglia, l'impiego, gli averi ed a sacrificare la vita stessa
per obiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore, ed in poche giornate
distruggono i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il
benessere collettivo.
Gli stati totalitari sono quelli che
hanno realizzato nel modo più coerente l’unificazione di tutte le forze,
attuando il massimo di accentramento e di autarchia, e si sono perciò
dimostrati gli organismi più adatti all'odierno ambiente internazionale. Basta
che una nazione faccia un passo più avanti verso un più accentuato
totalitarismo, perché sia seguita dalle altre nazioni, trascinate nello stesso
solco dalla volontà di sopravvivere.
2. Si è affermato l'uguale diritto per i
cittadini alla formazione della volontà dello stato. Questa doveva così
risultare la sintesi delle mutevoli esigenze economiche e ideologiche di tutte
le categorie sociali liberamente espresse. Tale organizzazione politica ha
permesso di correggere, o almeno di attenuare, molte delle più stridenti
ingiustizie ereditarie dai regimi passati. Ma la libertà di stampa e di
associazione e la progressiva estensione del suffragio rendevano sempre più
difficile la difesa dei vecchi privilegi mantenendo il sistema rappresentativo.
I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di questi istrumenti per
dare l'assalto ai diritti acquisiti dalle classi abbienti; le imposte speciali
sui redditi non guadagnati e sulle successioni, le aliquote progressive sulle
maggiori fortune, le esenzioni dei redditi minimi, e dei beni di prima
necessità, la gratuità della scuola pubblica, l'aumento delle spese di
assistenza e di previdenza sociale, le riforme agrarie, il controllo delle
fabbriche minacciavano i ceti privilegiati nelle loro più fortificate
cittadelle.
Anche i ceti privilegiati che avevano
consentito all'uguaglianza dei diritti politici non potevano ammettere che le
classi diseredate se ne valessero per cercare di realizzare quell'uguaglianza
di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto concreto di effettiva
libertà. Quando, dopo la fine della prima guerra mondiale, la minaccia divenne
troppo forte, fu naturale che tali ceti applaudissero calorosamente ed appoggiassero
le instaurazioni delle dittature che toglievano le armi legali di mano ai loro
avversari.
D'altra parte la formazione di
giganteschi complessi industriali e bancari e di sindacati riunenti sotto
un'unica direzione interi eserciti di lavoratori, sindacati e complessi che
premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro
particolari interessi, minacciava di dissolvere lo stato stesso in tante
baronie economiche in acerba lotta tra loro.
Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l'intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà popolare, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.
Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l'intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà popolare, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.
Di fatto poi i regimi totalitari hanno
consolidato in complesso la posizione delle varie categorie sociali nei punti
volta a volta raggiunti, ed hanno precluso, col controllo poliziesco di tutta
la vita dei cittadini e con la violenta eliminazione dei dissenzienti, ogni
possibilità legale di correzione dello stato di cose vigente. Si è così
assicurata l'esistenza del ceto assolutamente parassitario dei proprietari
terrieri assenteisti, e dei redditieri che contribuiscono alla produzione
sociale solo col tagliare le cedole dei loro titoli, dei ceti monopolistici e
delle società a catena che sfruttano i consumatori e fanno volatilizzare i
denari dei piccoli risparmiatori, dei plutocrati, che, nascosti dietro le
quinte, tirano i fili degli uomini politici, per dirigere tutta la macchina
dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto l'apparenza del perseguimento
dei superiori interessi nazionali. Sono conservate le colossali fortune di
pochi e la miseria delle grandi masse, escluse dalle possibilità di godere i
frutti delle moderna cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime
economico in cui le risorse materiali e le forze di lavoro, che dovrebbero
essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle
energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei
desideri più futili di coloro che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un
regime economico in cui, col diritto di successione, la potenza del denaro si
perpetua nello stesso ceto, trasformandosi in un privilegio senza alcuna
corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamente prestati, e il
campo delle alternative ai proletari resta così ridotto che per vivere sono
costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi possibilità
d'impiego.
Per tenere immobilizzate e sottomesse le
classi operaie, i sindacati sono stati trasformati, da liberi organismi di
lotta, diretti da individui che godevano la fiducia degli associati, in organi
di sorveglianza poliziesca, sotto la direzione di impiegati scelti dal gruppo
governante e ad esso solo responsabili. Se qualche correzione viene fatta a un
tale regime economico, è sempre solo dettata dalle esigenze del militarismo,
che hanno confluito con le reazionarie aspirazioni dei ceti privilegiati nel
far sorgere e consolidare gli stati totalitari.
3. Contro il dogmatismo autoritario si è
affermato il valore permanente dello spirito critico. Tutto quello che veniva
asserito doveva dare ragione di sì o scomparire. Alla metodicità di questo
spregiudicato atteggiamento sono dovute le maggiori conquiste della nostra
società in ogni campo.
Ma questa libertà spirituale non ha
resistito alla crisi che ha fatto sorgere gli stati totalitari. Nuovi dogmi da
accettare per fede o da accettare ipocritamente si stanno accampando in tutte
le scienze. Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza e le più
elementari nozioni storiche ne facciano risultare l'assurdità, si esige dai
fisiologi di credere di mostrare e convincere che si appartiene ad una razza
eletta, solo perché l'imperialismo ha bisogno di questo mito per esaltare nelle
masse l'odio e l'orgoglio. I più evidenti concetti della scienza economica debbono
essere considerati anatema per presentare la politica autarchica, gli scambi
bilanciati e gli altri ferravecchi del mercantilismo, come straordinarie
scoperte dei nostri tempi. A causa della interdipendenza economica di tutte le
parti del mondo, spazio vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello
di vita corrispondente alla civiltà moderna, è tutto il globo; ma si è creata
la pseudo scienza della geopolitica che vuol dimostrare la consistenza della
teoria degli spazi vitali, per dare veste teorica alla volontà di sopraffazione
dell'imperialismo. La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali,
nell'interesse della classe governante. Le biblioteche e le librerie vengono
purificate di tutte le opere non considerate ortodosse. Le tenebre dell'oscurantismo
di nuovo minacciano di soffocare lo spirito umano.
La stessa etica sociale della libertà e
dell'uguaglianza è scalzata. Gli uomini non sono più considerati cittadini
liberi, che si valgono dello stato per meglio raggiungere i loro fini collettivi.
Sono servitori dello stato che stabilisce quali debbono essere i loro fini, e
come volontà dello stato viene senz'altro assunta la volontà di coloro che
detengono il potere. Gli uomini non sono più soggetti di diritto, ma
gerarchicamente disposti, sono tenuti ad ubbidire senza discutere alle
gerarchie superiori che culminano in un capo debitamente divinizzato. Il regime
delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri.
Questa reazionaria civiltà totalitaria,
dopo aver trionfato in una serie di paesi, ha infine trovato nella Germania
nazista la potenza che si è ritenuta capace di trarne le ultime conseguenze.
Dopo una meticolosa preparazione, approfittando con audacia e senza scrupoli
delle rivalità, degli egoismi, della stupidità altrui, trascinando al suo
seguito altri stati vassalli europei — primo fra i quali l'Italia — alleandosi
col Giappone che persegue fini identici in Asia essa si è lanciata nell'opera
di sopraffazione.
La sua vittoria significherebbe il
definitivo consolidamento del totalitarismo nel mondo. Tutte le sue
caratteristiche sarebbero esasperate al massimo, e le forze progressive
sarebbero condannate per lungo tempo ad una semplice opposizione negativa.
La tradizionale arroganza e intransigenza dei ceti militari tedeschi può già darci un'idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi vittoriosi potrebbero anche permettersi una lustra di generosità verso gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro territori e le loro istituzioni politiche, per governare così soddisfacendo lo stupido sentimento patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità degli uomini politici che si presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello stato. Comunque camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione dell'umanità in Spartiati ed Iloti.
La tradizionale arroganza e intransigenza dei ceti militari tedeschi può già darci un'idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi vittoriosi potrebbero anche permettersi una lustra di generosità verso gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro territori e le loro istituzioni politiche, per governare così soddisfacendo lo stupido sentimento patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità degli uomini politici che si presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello stato. Comunque camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione dell'umanità in Spartiati ed Iloti.
Anche una soluzione di compromesso tra
le parti ora in lotta significherebbe un ulteriore passo innanzi del
totalitarismo, poiché tutti i paesi che fossero sfuggiti alla stretta della
Germania sarebbero costretti ad accettare le sue stesse forme di organizzazione
politica, per prepararsi adeguatamente alla ripresa della guerra.
Ma la Germania hitleriana, se ha potuto
abbattere ad uno ad uno gli stati minori, con la sua azione ha costretto forze
sempre più potenti a scendere in lizza. La coraggiosa combattività della Gran
Bretagna, anche nel momento più critico in cui era rimasta sola a tener testa
al nemico, ha fatto sì che i Tedeschi siano andati a cozzare contro la strenua
resistenza dell'esercito sovietico, ed ha dato tempo all'America di avviare la
mobilitazione delle sue sterminate forze produttive. E questa lotta contro
l'imperialismo tedesco si è strettamente connessa con quella che il popolo
cinese va conducendo contro l'imperialismo giapponese.
Immense masse di uomini e di ricchezze
sono già schierate contro le potenze totalitarie. Le forze di queste potenze
hanno raggiunto il loro culmine e non possono oramai che consumarsi
progressivamente. Quelle avverse hanno invece già superato il momento della
massima depressione e sono in ascesa. La guerra delle Nazioni Unite risveglia
ogni giorno di più la volontà di liberazione anche nei paesi che avevano soggiaciuto
alla violenza ed erano come smarriti per il colpo ricevuto, e persino risveglia
tale volontà nei popoli delle potenze dell'Asse, i quali si accorgono di essere
trascinati in una situazione disperata solo per soddisfare la brama di dominio
dei loro padroni.
Il lento processo, grazie al quale
enormi masse di uomini si lasciavano modellare passivamente dal nuovo regime,
vi si adeguavano e contribuivano così a consolidarlo, è arrestato; si è invece
iniziato il processo contrario. In questa immensa ondata, che lentamente si
solleva, si ritrovano tutte le forze progressiste; e, le parti più illuminate
delle classi lavoratrici che si erano lasciate distogliere, dal terrore e dalle
lusinghe, nella loro aspirazione ad una superiore forma di vita; gli elementi
più consapevoli dei ceti intellettuali, offesi dalla degradazione cui è
sottoposta l'intelligenza; imprenditori, che sentendosi capaci di nuove
iniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche, e dalle
autarchie nazionali, che impacciano ogni loro movimento; tutti coloro, infine,
che, per un senso innato di dignità, non sanno piegar la spina dorsale nella
umiliazione della servitù.
A tutte queste forze è oggi affidata la
salvezza della nostra civiltà.
II - I COMPITI DEL DOPO GUERRA - L'UNITÀ
EUROPEA
La sconfitta della Germania non
porterebbe automaticamente al riordinamento dell'Europa secondo il nostro
ideale di civiltà.
Nel breve intenso periodo di crisi
generale, in cui gli stati nazionali giaceranno fracassati al suolo, in cui le
masse popolari attenderanno ansiose la parola nuova e saranno materia fusa,
ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove, capace di accogliere la
guida di uomini seriamente internazionalisti, i ceti che più erano privilegiati
nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza di
smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche, e si
daranno ostinatamente a ricostruire i vecchi organismi statali. Ed è probabile
che i dirigenti inglesi, magari d'accordo con quelli americani, tentino di
spingere le cose in questo senso, per riprendere la politica dell'equilibrio
delle potenze nell'apparente immediato interesse del loro impero.
Le forze conservatrici, cioè i dirigenti
delle istituzioni fondamentali degli stati nazionali: i quadri superiori delle
forze armate, culminanti là, dove ancora esistono, nelle monarchie; quei gruppi
del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a
quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie
ecclesiastiche, che solo da una stabile società conservatrice possono vedere
assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro seguito tutto
l'innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che son anche solo
abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte queste forze reazionarie, già
fin da oggi, sentono che l'edificio scricchiola e cercano di salvarsi. Il
crollo le priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto fin'ora e le
esporrebbe all'assalto delle forze progressiste.
Ma essi hanno uomini e quadri abili ed
adusati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro
supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati. Si
proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle
classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro
i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati convertiti nel preciso
contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovrà fare i
conti.
Il punto sul quale essi cercheranno di
far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Potranno così far presa
sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più
facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. In tal
modo possono anche sperare di più facilmente confondere le idee degli
avversari, dato che per le masse popolari l'unica esperienza politica finora
acquisita è quella svolgentesi entro l'ambito nazionale, ed è perciò abbastanza
facile convogliare, sia esse che i loro capi più miopi, sul terreno della
ricostruzione degli stati abbattuti dalla bufera.
Se raggiungessero questo scopo avrebbero
vinto. Fossero pure questi stati in apparenza largamente democratici o
socialisti, il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo
questione di tempo. Risorgerebbero le gelosie nazionali e ciascuno stato di
nuovo riporrebbe la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza delle
armi. Loro compito precipuo tornerebbe ad essere, a più o meno breve scadenza,
quello di convertire i loro popoli in eserciti. I generali tornerebbero a
comandare, i monopolisti ad approfittare delle autarchie, i corpi burocratici a
gonfiarsi, i preti a tener docili le masse. Tutte le conquiste del primo
momento si raggrinzerebbero in un nulla di fronte alla necessità di prepararsi
nuovamente alla guerra.
Il problema che in primo luogo va
risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è
la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali
sovrani. Il crollo della maggior parte degli stati del continente sotto il
rullo compressore tedesco ha già accomunato la sorte dei popoli europei, che o
tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o tutti insieme entreranno,
con la caduta di questo in una crisi rivoluzionaria in cui non si troveranno
irrigiditi e distinti in solide strutture statali.
Gli spiriti sono giù ora molto meglio
disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell'Europa. La dura
esperienza ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere ed ha fatto
maturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale.
Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono
ormai che non si può mantenere un equilibrio di stati europei indipendenti con
la convivenza della Germania militarista a parità di condizioni con gli altri
paesi, né si può spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta
che sia vinta. Alla prova, è apparso evidente che nessun paese d'Europa può
restarsene da parte mentre gli altri si battono, a nulla valendo le
dichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione. È ormai dimostrata
la inutilità, anzi la dannosità di organismi, tipo della Società delle Nazioni,
che pretendano di garantire un diritto internazionale senza una forza militare
capace di imporre le sue decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli
stati partecipanti. Assurdo è risultato il principio del non intervento,
secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il
governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni
singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi
europei.
Insolubili sono diventati i molteplici
problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei
confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare
dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese ecc.,
che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come
l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a
far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine,
trasformandosi in problemi di rapporti fra le diverse provincie.
D'altra parte la fine del senso di
sicurezza nella inattaccabilità della Gran Bretagna, che consigliava agli
inglesi la "splendid isolation", la dissoluzione dell'esercito e
della stessa repubblica francese, al primo serio urto delle forze tedesche —
risultato che è da sperare abbia di molto smorzata la presunzione sciovinista
della superiorità gallica — e specialmente la coscienza della gravità del
pericolo corso di generale asservimento, sono tutte circostanze che favoriranno
la costituzione di un regime federale che ponga fine all'attuale anarchia. Ed
il fatto che l'Inghilterra abbia accettato il principio dell'indipendenza
indiana, e la Francia abbia potenzialmente perduto col riconoscimento della
sconfitta tutto il suo impero, rendono più agevole trovare anche una base di
accordo per una sistemazione europea dei problemi coloniali.
A tutto ciò va infine aggiunta la
scomparsa di alcune delle principali dinastie e la fragilità delle basi di
quelle che sostengono le dinastie superstiti. Va tenuto conto, infatti, che le
dinastie, considerando i diversi paesi come tradizionale appannaggio proprio,
rappresentavano, con i poderosi interessi di cui erano l'appoggio, un serio
ostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti d'Europa, la quale non
può poggiare che sulle costituzioni repubblicane di tutti i paesi federati.
E quando, superando l'orizzonte del
vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che
costituiscono l'umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è
l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani
possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più
lontano avvenire, in cui diventi possibile l'unità politica dell'intero globo.
La linea di divisione fra i partiti
progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale
della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da
istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che
concepiscono come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e
le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure
involontariamente, il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava
incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo
e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito
centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno
verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale,
lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l'unità
internazionale.
Con la propaganda e con l'azione,
cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami tra i movimenti simili
che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre fin d'ora gettare le
fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere
il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta
da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale disponga
di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi
decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia
gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali
le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli
Stati stessi l'autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo
della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli.
Se ci sarà nei principali paesi europei
un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in
breve nelle loro mani, perché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla
loro opera e di fronte avranno partiti e tendenze già tutti squalificati dalla
disastrosa esperienza dell'ultimo ventennio. Poiché sarà l'ora di opere nuove,
sarà anche l'ora di uomini nuovi, del movimento per l'Europa libera e unita!
III - I COMPITI DEL DOPO GUERRA LA
RIFORMA DELLA SOCIETÀ
Un'Europa libera e unita è premessa
necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l'era totalitaria rappresenta
un arresto. La fine di questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il
processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le
vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l'attuazione saranno
crollanti o crollate, e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e
decisione. La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà
essere socialista, cioè dovrà proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici
e la creazione per esse di condizioni più umane di vita.
La bussola di orientamento per i
provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio
puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali
di produzione deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo in
linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione
generale dell'economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi
operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista, ma,
una volta realizzata a pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla
costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla
ristretta classe dei burocrati gestori dell'economia, come è avvenuto in
Russia.
Il principio veramente fondamentale del
socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che
una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze
economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene per forze
naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più
razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze
di progresso, che scaturiscono dall'interesse individuale, non vanno spente
nella morta gora della pratica "routinière" per trovarsi poi di
fronte all'insolubile problema di resuscitare lo spirito d'iniziativa con le
differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del genere dello
stachenovismo dell'U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento più
diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una
maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno
perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di
maggiore utilità per tutta la collettività.
La proprietà privata deve essere
abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea
di principio.
Questa direttiva si inserisce
naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata
dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono
trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi
dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti
oppressi dalla tirannide burocratica. La soluzione razionale deve prendere il
posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei lavoratori. Volendo
indicare in modo più particolareggiato il contenuto di questa direttiva, ed
avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni punto programmatico dovranno
essere sempre giudicate in rapporto al presupposto oramai indispensabile
dell'unità europea, mettiamo in rilievo i seguenti punti:
a. non si possono più lasciare ai
privati le imprese che, svolgendo un'attività necessariamente monopolistica,
sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le
industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni
di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi,
sussidi, ordinazioni di favore ecc. (l'esempio più notevole di questo tipo di
industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per
la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per
l'importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato
imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi
istituti bancari, industrie degli armamenti). È questo il campo in cui si dovrà
procedere senz'altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo
per i diritti acquisiti;
b. le caratteristiche che hanno avuto in
passato il diritto di proprietà e il diritto di successione hanno permesso di
accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire,
durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti
parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui
abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere
una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che,
passando la terra a chi coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari,
e ad una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori, nei
settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l'azionariato operaio ecc.;
c. i giovani vanno assistiti con le
provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di
partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare
la possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più
idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi
per l'avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attività liberali e
scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato,
in modo che le rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte
le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze tra le
rimunerazioni nell'interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse
capacità individuali;
d. la potenzialità quasi senza limiti
della produzione in massa dei generi di prima necessità con la tecnica moderna
permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente
piccolo, il vitto, l'alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario
per conservare la dignità umana. La solidarietà sociale verso coloro che
riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le
forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui
conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che
garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un
tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così
nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro
iugulatori;
e. la liberazione delle classi
lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti
precedenti: non lasciandole ricadere nella politica economica dei sindacati
monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi
sopraffattori caratteristici specialmente del grande capitale. I lavoratori
debbono tornare a essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare
collettivamente le condizioni a cui intendono prestare la loro opera, e lo
stato dovrà dare i mezzi giuridici per garantire l'osservanza dei patti
conclusivi; ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente
combattute, una volta che saranno realizzate quelle trasformazioni sociali.
Questi sono i cambiamenti necessari per
creare, intorno al nuovo ordine, un larghissimo strato di cittadini interessati
al suo mantenimento e per dare alla vita politica una consolidata impronta di
libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi le
libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto e non solo
formale per tutti, in quanto la massa dei cittadini avrà una indipendenza ed
una conoscenza sufficiente per esercitare un efficace e continuo controllo
sulla classe governante.
Sugli istituti costituzionali sarebbe
superfluo soffermarci, poiché, non potendosi prevedere le condizioni in cui
dovranno sorgere ed operare, non faremmo che ripetere quello che tutti già
sanno sulla necessità di organi rappresentativi per la formazione delle leggi,
dell'indipendenza della magistratura — che prenderà il posto dell'attuale — per
l'applicazione imparziale delle leggi emanate, della libertà di stampa e di
associazione, per illuminare l'opinione pubblica e dare a tutti i cittadini la
possibilità di partecipare effettivamente alla vita dello stato. Su due sole
questioni è necessario precisare meglio le idee, per la loro particolare
importanza in questo momento nel nostro paese, sui rapporti dello stato con la
chiesa e sul carattere della rappresentanza politica:
a. la Chiesa cattolica continua
inflessibilmente a considerarsi unica società perfetta, a cui lo stato dovrebbe
sottomettersi, fornendole le armi temporali per imporre il rispetto della sua
ortodossia. Si presenta come naturale alleata di tutti i regimi reazionari, dei
quali cerca di approfittare per ottenere esenzioni e privilegi, per ricostruire
il suo patrimonio, per stendere di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e
sull'ordinamento della famiglia. Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha
concluso l'alleanza col fascismo andrà senz'altro abolito, per affermare il
carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la
supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno
essere ugualmente rispettate, ma lo stato non dovrà più avere un bilancio dei
culti, e dovrà riprendere la sua opera educatrice per lo sviluppo dello spirito
critico;
b. la baracca di cartapesta che il
fascismo ha costruito con l'ordinamento corporativo cadrà in frantumi, insieme
alle altre parti dello stato totalitario. C'è chi ritiene che da questi rottami
si potrà domani trarre il materiale per il nuovo ordine costituzionale. Noi non
lo crediamo. Nello stato totalitario le Camere corporative sono la beffa, che
corona il controllo poliziesco sui lavoratori. Se anche però le Camere
corporative fossero la sincera espressione delle diverse categorie dei
produttori, gli organi di rappresentanza delle diverse categorie professionali
non potrebbero mai essere qualificati per trattare questioni di politica
generale, e nelle questioni più propriamente economiche diverrebbero organi di
sopraffazione delle categorie sindacalmente più potenti.
Ai sindacati spetteranno ampie funzioni
di collaborazione con gli organi statali, incaricati di risolvere i problemi
che più direttamente li riguardano, ma è senz'altro da escludere che ad essi
vada affidata alcuna funzione legislativa, poiché risulterebbe un'anarchia
feudale nella vita economica, concludentesi in un rinnovato dispotismo
politico. Molti che si sono lasciati prendere ingenuamente dal mito del
corporativismo potranno e dovranno essere attratti all'opera di rinnovamento,
ma occorrerà che si rendano conto di quanto assurda sia la soluzione da loro
confusamente sognata. Il corporativismo non può avere vita concreta che nella
forma assunta dagli stati totalitari, per irreggimentare i lavoratori sotto
funzionari che ne controllano ogni mossa nell'interesse della classe
governante.
IV - LA SITUAZIONE RIVOLUZIONARIA:
VECCHIE E NUOVE CORRENTI
La caduta dei regimi totalitari
significherà per interi popoli l'avvento della "libertà" sarà
scomparso ogni freno ed automaticamente regneranno amplissime libertà di parola
e di associazione.
Sarà il trionfo delle tendenze
democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature che vanno da un liberalismo
molto conservatore, fino al socialismo e all'anarchia. Credono nella
"generazione spontanea" degli avvenimenti e delle istituzioni, nella
bontà assoluta degli impulsi che vengono dal basso. Non vogliono forzare la mano
alla "storia" al "popolo" al "proletariato" o
come altro chiamano il loro dio. Auspicano la fine delle dittature
immaginandola come la restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di
autodeterminazione. Il coronamento dei loro sogni è un'assemblea costituente
eletta col più esteso suffragio e col più scrupoloso rispetto degli elettori,
la quale decida che costituzione il popolo debba darsi. Se il popolo è immaturo
se ne darà una cattiva, ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera
di convinzione.
I democratici non rifuggono per
principio dalla violenza, ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza
sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più
altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sulla i. Sono perciò
dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un
popolo è nel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni fondamentali,
che debbono essere ritoccate solo in aspetti relativamente secondari. Nelle
epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere
amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La
pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola,
sono tre dei più recenti esempi.
In tali situazioni, caduto il vecchio
apparato statale, con le sue leggi e la sua amministrazione, pullulano
immediatamente, con sembianza di vecchia legalità o sprezzandola, una quantità
di assemblee e rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte le
forze sociali progressiste. Il popolo ha sì alcuni bisogni fondamentali da
soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane
suonano alle sue orecchie, con i suoi milioni di teste non riesce a
raccapezzarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta tra loro.
Nel momento in cui occorre la massima
decisione e audacia, i democratici si sentono smarrirti non avendo dietro uno
spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensano
che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori
esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare; perdono le
occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di far
funzionare subito organi che presuppongono una lunga preparazione e sono adatti
ai periodi di relativa tranquillità; danno ai loro avversari armi di cui quelli
poi si valgono per rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille
tendenze, non già la volontà di rinnovamento, ma le confuse volontà regnanti in
tutte le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio
allo sviluppo della reazione. La metodologia politica democratica sarà un peso
morto nella crisi rivoluzionaria.
Man mano che i democratici logorassero
nelle loro logomachie la loro prima popolarità di assertori della libertà,
mancando ogni seria rivoluzione politica e sociale, si andrebbero
immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche pretotalitarie, e la
lotta tornerebbe a svilupparsi secondo i vecchi schemi della contrapposizione
delle classi.
Il principio secondo il quale la lotta
di classe è il termine cui van ridotti tutti i problemi politici ha costituito
la direttiva fondamentale, specialmente degli operai delle fabbriche, ed ha
giovato a dare consistenza alla loro politica, finché non erano in questione le
istituzioni fondamentali della società. Ma si converte in uno strumento di
isolamento del proletariato, quando si imponga la necessità di trasformare
l'intera organizzazione della società. Gli operai educati classisticamente non
sanno allora vedere che le loro particolari rivendicazioni di classe, o di
categoria, senza curarsi di come connetterle con gli interessi degli altri
ceti, oppure aspirano alla unilaterale dittatura delle loro classe, per realizzare
l'utopistica collettivizzazione di tutti gli strumenti materiali di produzione,
indicata da una propaganda secolare come il rimedio sovrano di tutti i loro
mali. Questa politica non riesce a far presa su nessun altro strato fuorché
sugli operai, i quali così privano le altre forze progressive del loro
sostegno, e le lasciano cadere in balia della reazione, che abilmente le
organizza per spezzare le reni allo stesso movimento proletario.
Delle varie tendenze proletarie, seguaci
della politica classista e dell'ideale collettivista, i comunisti hanno
riconosciuto la difficoltà di ottenere un seguito di forze sufficienti per
vincere, e per ciò si sono — a differenza degli altri partiti popolari —
trasformati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta quel che
residua del mito russo per organizzare gli operai, ma non prende leggi da essi,
e li utilizza nelle più disparate manovre.
Questo atteggiamento rende i comunisti,
nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte
quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie — col
predicare che la loro "vera" rivoluzione è ancora da venire —
costituiscono nei momenti decisivi un elemento settario che indebolisce il
tutto. Inoltre la loro assidua dipendenza allo stato russo, che li ha
ripetutamente adoperati senza scrupoli per il perseguimento della sua politica
nazionale, impedisce loro di perseguire una politica con un minimo di
continuità. Hanno sempre bisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, un
Negrin, per andare poi fatalmente in rovina dietro i fantocci democratici
adoperati, poiché il potere si consegue e si mantiene non semplicemente con la
furberia, ma con la capacità di rispondere in modo organico e vitale alle
necessità della società moderna. La loro scarsa consistenza si palesa invece
senza possibilità di equivoci quando, venendo a mancare il camuffamento, fanno
regolarmente mostra di un puro verbalismo estremista.
Se la lotta restasse domani ristretta
nel tradizionale campo nazionale, sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie
aporie. Gli stati nazionali hanno infatti già così profondamente pianificato le
proprie rispettive economie che la questione centrale diverrebbe ben presto
quella di sapere quale gruppo di interessi economici, cioè quale classe,
dovrebbe detenere le leve di comando del piano. Il fronte delle forze
progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa tra classi e categorie
economiche. Con le maggiori probabilità i reazionari sarebbero coloro che ne
trarrebbero profitto. Ma anche i comunisti, nonostante le loro deficienze,
potrebbero avere il loro quarto d'ora, convogliare le masse stanche, deluse,
assumere il potere ed adoperarlo per realizzare, come in Russia, il dispotismo
burocratico su tutta la vita economica, politica e spirituale del paese.
Una situazione dove i comunisti
contassero come forza politica dominante significherebbe non uno sviluppo non
in senso rivoluzionario, ma già il fallimento del rinnovamento europeo.
Larghissime masse restano ancora influenzate
o influenzabili dalle vecchie tendenze democratiche e comuniste, perché non
scorgono nessuna prospettiva di metodi e di obiettivi nuovi. Tali tendenze sono
però formazioni politiche del passato; da tutti gli sviluppi storici recenti
nulla hanno appreso, nulla dimenticato; incanalano le forze progressiste lungo
strade che non possono serbare che delusioni e sconfitte; di fronte alle
esigenze più profonde del domani costituiscono un ostacolo e debbono o
radicalmente modificarsi o sparire.
Un vero movimento rivoluzionario dovrà
sorgere da coloro che hanno saputo criticare le vecchie impostazioni politiche;
dovrà sapere collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, ed in
genere con quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo, ma senza
lasciarsi irretire dalla loro prassi politica.
Il partito rivoluzionario non può essere
dilettantescamente improvvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora
cominciare a formarsi almeno nel suo atteggiamento politico centrale, nei suoi
quadri generali e nelle prime direttive d'azione. Esso non deve rappresentare
una coalizione eterogenea di tendenze, riunite solo transitoriamente e
negativamente, cioè per il loro passato antifascista e nella semplice del
disgregamento del totalitarismo, pronte a disperdersi ciascuna per la sua
strada una volta raggiunta quella caduta. Il partito rivoluzionario deve sapere
invece che solo allora comincerà veramente la sua opera e deve perciò essere
costituito di uomini che si trovino d'accordo sui principali problemi del
futuro. Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque ci siano degli
oppressi dell'attuale regime, e, prendendo come punto di partenza quello volta
volta sentito come il più doloroso dalle singole persone e classi, mostrare
come esso si connetta con altri problemi e quale possa esserne la vera
soluzione. Ma dalla schiera sempre crescente dei suoi simpatizzanti deve
attingere e reclutare nell'organizzazione del partito solo coloro che abbiano
fatto della rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita, che
disciplinatamente realizzino giorno per giorno il lavoro necessario, provvedano
oculatamente alla sicurezza, continua ed efficacia di esso, anche nella
situazione di più dura illegalità, e costituiscano così la solida rete che dia consistenza
alla più labile sfera dei simpatizzanti.
Pur non trascurando nessuna occasione e
nessun campo per seminare la sua parola, esso deve rivolgere la sua operosità
in primissimo luogo a quegli ambienti che sono i più importanti come centri di
diffusione di idee e come centri di reclutamento di uomini combattivi;
anzitutto verso i due gruppi sociali più sensibili nella situazione odierna, e
decisivi in quella di domani, vale a dire la classe operaia e i ceti
intellettuali. La prima è quella che meno si è sottomessa alla ferula
totalitaria, che sarà la più pronta a riorganizzare le proprie file. Gli
intellettuali, particolarmente i più giovani, sono quelli che si sentono
spiritualmente soffocare e disgustare dal regnante dispotismo. Man mano altri
ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento generale.
Qualsiasi movimento che fallisca nel
compito di alleanza di queste forze è condannato alla sterilità, poiché, se è
movimento di soli intellettuali, sarà privo di quella forza di massa necessaria
per travolgere le resistenze reazionarie, sarà diffidente e diffidato rispetto
alla classe operaia; ed anche se animato da sentimenti democratici, sarà
proclive a scivolare, di fronte alle difficoltà, sul terreno della reazione di
tutte le altre classi contro gli operai, cioè verso una restaurazione.
Se poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici dappertutto, e sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista.
Se poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici dappertutto, e sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista.
Durante la crisi rivoluzionaria spetta a
questo partito organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti
quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in
cui vanno a mischiarsi le forze rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma
in attesa di essere guidate.
Esso attinge la visione e la sicurezza
di quel che va fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancora
inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le
esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del
nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa
dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso
la nuova democrazia.
Non è da temere che un tale regime
rivoluzionario debba necessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi
sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il partito
rivoluzionario andrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le
condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente
partecipare alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso
eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione
ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una
crescente possibilità di funzionamento di istituzioni politiche libere.
Oggi è il momento in cui bisogna saper
gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che
sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli
inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e
si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno
scorto i motivi dell'attuale crisi della civiltà europea, e che perciò
raccolgono l'eredità di tutti i movimenti di elevazione dell'umanità,
naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come
raggiungerlo.
La via da percorrere non è facile né
sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio
Colorni
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