giovedì 21 giugno 2018

ITALIANI BRAVA GENTE ?
MITO DA SFATARE ? (terza parte)
ECCIDI ITALIANI NELLA GUERRA DI ETIOPIA

Per la conduzione della guerra coloniale in Etiopia, furono segretamente sbarcati in Eritrea 270 tonnellate di aggressivi chimici per l'impiego ravvicinato, 1 000 tonnellate di bombe caricate ad iprite per l'aeronautica e 60 000 granate caricate ad arsine per l'artiglieria. La prima autorizzazione al loro uso fu espressa da Mussolini al generale Graziani, comandante sul fronte somalo-etiope, il 27 ottobre 1935: “come ultima ratio per sopraffare resistenza nemico o in caso di contrattacco”. In tale occasione, peraltro, il loro uso non fu ritenuto necessario.
Il 28 novembre assunse il comando generale dell'offensiva in Etiopia il maresciallo Pietro Badoglio. Quest'ultimo, investito da una forte controffensiva etiopica, nella notte tra il 14 e il 15 dicembre, richiese espressamente a Roma l'autorizzazione ad utilizzare gli aggressivi chimici. I documenti pubblicati dimostrano che Mussolini in persona autorizzò espressamente Badoglio all'uso dei gas tra il 28 dicembre 1935 e il 5 gennaio 1936 e tra il 19 gennaio e il 10 aprile. Un'ulteriore autorizzazione fu successivamente data per la repressione dei ribelli. Il Maresciallo tuttavia, aveva già iniziato autonomamente l'uso delle armi chimiche sin dal 22 dicembre 1935 e non l'aveva interrotta nemmeno tra il 5 e il 19 gennaio 1936.[30] Tra le suddette date furono lanciati sul fronte nord duemila quintali di bombe, per una parte rilevante caricate a gas, tra cui l'iprite che provoca leucopenia.

Contravvenendo al Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925, sottoscritto anche dall'Italia per cui entrava in vigore il 3 aprile 1928, all'aviazione italiana fu quindi ordinato di utilizzare su larga scala il gas, che, irrorato dagli aerei in volo a bassa quota, sia sui soldati che sui civili, venne usato con la precisa finalità di terrorizzare la popolazione abissina e piegarne ogni resistenza.[senza fonte]
Il 15 dicembre, anche Graziani richiedeva di nuovo al Capo del governo l'autorizzazione all'uso delle armi chimiche. Il comandante ciociaro fu autorizzato “per supreme ragioni di difesa”. L'uso fu effettuato a partire dal 24 dicembre sulla località di Areri, presidiata da Ras Destà, da parte di tre aerei Caproni 101 bis. Gli attacchi furono ripetuti in date 25, 28, 30 e 31 dicembre, per un totale di 125 bombe complessivamente lanciate.

Il 26 dicembre, sul fronte sud, avvenne la brutale uccisione dell'aviatore Tito Minniti che, caduto in territorio nemico, era stato torturato, evirato ed infine decapitato. Questa sarebbe stata la causa scatenante dell'utilizzo dell'iprite anche su tale fronte. Ras Destà, tra l’altro, per giustificare all'imperatore la sconfitta subita, dichiarò l'impiego dei gas, anticipandolo al 17 dicembre: “Dal 17 dicembre gli italiani gettano anche bombe a gas, le quali piovono come la grandine... Le lesioni, anche leggere, prodotte da tale gas gonfiano sempre più sino a diventare, per infezioni delle grandi piaghe”.

Il 30 dicembre 1935, in un bombardamento italiano a Malca Dida, ordinato da Graziani, fu colpito un ospedale da campo svedese con i contrassegni della Croce Rossa provocando la morte di 28 ricoverati e di un medico svedese. Complessivamente, saranno diciassette le installazioni mediche distrutte dagli italiani, compresi gli ospedali da campo di Amba Aradam e di Quoram.
Il 10 febbraio 1936, Badoglio iniziò l'offensiva sull'Amba Aradam durante la quale vennero sparate 1 367 granate caricate con arsine.
Il 3 e 4 marzo, Badoglio, vedendo fuggire il grosso dell'esercito del ras Immirù verso i guadi del Tacazzè, ordinò all'aviazione di proseguire da sola la battaglia. Verrà così utilizzata ancora una volta iprite. I piloti scesi a volo radente per mitragliare i superstiti rilevarono notevoli masse nemiche abbattute e grande quantità di uomini e di quadrupedi trasportati dalla corrente.
Il 4 aprile, gli scampati alla battaglia di Mau Ceu furono bombardati con 700 quintali di bombe, di cui molte ad iprite.
Il 15 aprile Graziani diede inizio all'offensiva su Harar dopo aver gasato e bombardato per un mese la difesa etiope iniziando così l'attacco da terra. Il vescovo cattolico di Harar scrisse ai suoi superiori in Francia: “Il bombardamento che gli italiani hanno fatto contro la città è un atto barbaro che merita la maledizione del Cielo”.
Secondo Indro Montanelli, Regno Unito e Svezia vendettero in modo continuativo agli abissini proiettili dum dum, vietati dalle convenzioni.
Lo storico fascista britannico James Strachey Barnes sostenne, sui mezzi di informazione dell'epoca, che, per quanto riguardava l'uso dell'iprite, gli italiani "lo fecero legalmente quando gli abissini violarono altre convenzioni: l'evirazione dei prigionieri, l'impiego delle pallottole esplosive e l'abuso del simbolo della Croce Rossa".

Il 3 maggio 1936 Mussolini telegrafava a Badoglio:
« Occupata Addis Abeba V.E. darà ordini perché: 1° siano fucilati sommariamente tutti coloro che in città aut dintorni siano sorpresi colle armi alla mano. 2° siano fucilati sommariamente tutti i cosiddetti giovani etiopi, barbari crudeli e pretenziosi, autori morali dei saccheggi. 3° siano fucilati quanti abbiano partecipato a violenze, saccheggi incendi. 4° siano sommariamente fucilati quanti trascorse 24 ore non abbiano consegnato armi da fuoco e munizioni. Attendo una parola che confermi che questi ordini saranno - come sempre - eseguiti. »
Due giorni dopo il maresciallo Badoglio entrava in Addis Abeba e il 9 maggio successivo, dal balcone di Piazza Venezia, Mussolini poté annunciare alle folle la "proclamazione dell'Impero".
Repressioni in Africa Orientale Italiana dopo la proclamazione dell'Impero
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di Addis Abeba e Massacro di Debra Libanos.
Dopo la proclamazione dell'Impero, il maresciallo Badoglio fu richiamato in Italia e passò le consegne a Graziani, nel frattempo promosso Maresciallo d'Italia. Il 20 maggio 1936, l'ufficiale ciociaro fu investito del triplice incarico di viceré, governatore generale e comandante superiore delle truppe.
Rispettivamente in data 5 giugno e 8 luglio 1936, Mussolini telegrafò a Graziani, dal Ministero delle Colonie, i seguenti ordini: «Tutti i ribelli fatti prigionieri devono essere passati per le armi» e «Autorizzo ancora una volta V.E. a iniziare e condurre sistematicamente politica del terrore et dello sterminio contro i ribelli et le popolazioni complici stop. Senza la legge del taglione ad decuplo non si sana la piaga in tempo utile. Attendo conferma».
Il 19 febbraio 1937 il viceré Graziani invitava nel suo palazzo di Addis Abeba la nobiltà etiope per festeggiare la nascita del principe di Napoli e per l'occasione decideva di distribuire una elemosina ad invalidi del luogo. Ma un fallito attentato al viceré (nove morti e una cinquantina di feriti, tra cui lo stesso Graziani), scatenò immediatamente la rappresaglia, da parte degli occupanti italiani.
Il giornalista Ciro Poggiali affermò:
« Tutti i civili che si trovavano in Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta fulmineamente coi sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovavano ancora in strada. Vedo un autista che, dopo aver abbattuto un vecchio negro, gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta. Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara e innocente. »
Il 21 febbraio Mussolini inviava a Graziani questo telegramma:
« Nessuno dei fermi già effettuati e di quelli che si faranno dovrà essere rilasciato senza mio ordine. Tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi e senza indugi. Attendo conferma. »
A tale ordine, Graziani rispondeva con successivo telegramma:
« Dal giorno 19 at oggi sono state eseguite trecentoventiquattro esecuzioni sommarie tuttavia con colpabilità sempre discriminata e comprovata (ripeto trecentoventiquattro). Senza naturalmente comprendere in questa cifra le repressioni dei giorni diciannove e venti febbraio. Ho inoltre provveduto a inviare nel campo di concentramento colà esistente fin dalla guerra numero millecento persone fra uomini, donne e ragazzi. »
Dal 30 aprile 1937, in base ai rapporti ufficiali, le esecuzioni passarono a 710, il 5 luglio a 1 686, il 25 luglio a 1 878 e il 3 agosto a 1 918. Dalla relazione del colonnello Azzolino Hazon, comandante dei carabinieri in Etiopia, si evince che i soli carabinieri passarono per le armi 2 509 indigeni, tra febbraio e maggio 1937. Il numero esatto delle vittime della repressione è tra i 1 400 e i 6 000 per inglesi, francesi e americani, di 30 000 per gli etiopi.
Il fatto che i due autori dell'attentato del 19 febbraio – peraltro due eritrei – fossero stati temporaneamente ospitati nella città conventuale di Debra Libanos, nello Scioa, convinse Graziani della correità dei monaci cristiani di rito copto ivi ospitati; inviò pertanto un telegramma del seguente tenore al generale Pietro Maletti: “ (l'avvocato militare Franceschino) Ha raggiunto la prova assoluta della correità dei monaci del convento di Debra Libanos con gli autori dell'attentato. Passi pertanto per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vice-priore”.
Maletti era partito il 6 maggio da Debre Berhan e, stando ai rapporti da lui stesso redatti, attraversando la regione del Menz, le sue truppe avevano incendiato 115 422 tucul, tre chiese, il convento di Gulteniè Ghedem Micael (dopo averne fucilato i monaci), e sterminato 2 523 partigiani etiopi.. La sera del 19 maggio Maletti aveva circondato Debra Libanos: il grande monastero risalente al XIII secolo, era stato fondato dal santo cristiano Tecle Haymanot e comprendeva due grandi chiese e i modesti tucul ove abitavano monaci, preti, diaconi, studenti di teologia e suore.
Il successivo 21 maggio, Maletti trasferì nella piana di Laga Wolde, chiusa a ovest da cinque colline e a est dal fiume Finche Wenz, tutti i religiosi. Le esecuzioni si protrassero sino alle 15:30 del pomeriggio e investirono 297 monaci, incluso il vice priore, e 23 laici sospettati di connivenza, risparmiando i giovani diaconi, i maestri e altro personale d'ordine, che furono trattenuti. Ma tre giorni dopo Graziani inviava a Maletti una nuova direttiva: “Confermo pienamente la responsabilità del convento di Debrà Libanòs. Ordino pertanto di passare immediatamente per le armi tutti i diaconi. Assicuri con le parole: “Liquidazione completa”. Il nuovo massacro fu eseguito in località Engecha, a pochi chilometri da Debre Berhan, e nella mattina del 26 maggio furono sterminati altri 129 diaconi. In totale, dunque, la cifra dei religiosi massacrati fu di 449.
Tra il 1991 e il 1994, due docenti universitari, l'inglese Ian L. Campbell e l'etiopico Defige Gabre-Tsadik, eseguirono nel territorio di Debrà Libanòs un'ampia e approfondita ricerca, dalla quale emerse che furono soppressi anche altri 276 insegnanti, studenti di teologia e sacerdoti appartenenti ad altri monasteri.
L'orrendo massacro scatenò una rivolta nella regione etiope del Lasta, a partire dall'agosto 1937, per stroncare la quale Graziani impartì i seguenti ordini:
« La rappresaglia deve essere effettuata senza misericordia su tutti i paesi del Lasta... Bisogna distruggere i paesi stessi perché le genti si convincano della ineluttabile necessità di abbandonare questi capi... lo scopo si può raggiungere con l'impiego di tutti i mezzi di distruzione dell'aviazione per giornate e giornate di seguito essenzialmente adoperando gas asfissianti. »
(Generale Graziani)
« Nella giornata di oggi aviazione compia rappresaglia di gas asfissianti di qualsiasi natura su zona dalla quale presumesi Uondeossen abbia tratto armati senza distinzione fra sottomessi e non sottomessi. Tenga presente V.E. che agisco in perfetta identità di vedute con S.E. Capo Governo (telegramma di Graziani al generale Alessandro Pirzio Biroli) »
Graziani, alla fine dell'anno, verrà sostituito con il Duca d'Aosta Amedeo.
« Spesso mi sono esaminato la coscienza in relazione alle accuse di crudeltà, atrocità, violenze che mi sono state attribuite. Non ho mai dormito tanto tranquillamente quanto le sere in cui questo esame mi è accaduto di fare. So dalla Storia di tutte le epoche che nulla di nuovo si costruisce se non si distrugge in tutto o in parte un passato che non regge più al presente. »
(Generale Graziani)

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