domenica 10 giugno 2018

10 GIUGNO 1924 LA MORTE DI UN ANTIFASCISTA " GIACOMO MATTEOTTI "


“Ha chiesto di parlare l’onorevole Matteotti. Ne ha facoltà”
“… Ora, contro la loro convalida noi presentiamo questa pura e semplice eccezione: cioè, che la lista di maggioranza governativa, la quale nominalmente ha ottenuto una votazione di quattro milioni e tanti voti… (Interruzioni)” “… cotesta lista non li ha ottenuti, di fatto e liberamente, ed è dubitabile quindi se essa abbia ottenuto quel tanto di percentuale che è necessario (Interruzioni. Proteste) per conquistare, anche secondo la vostra legge, i due terzi dei posti che le sono stati attribuiti! E quindi contestiamo in questo luogo e in tronco la validità della elezione della maggioranza (Rumori vivissimi)… L’elezione, secondo noi, è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni…”.

È il 30 maggio del 1924 quando il deputato socialista Giacomo Matteotti firma, con un discorso alla Camera, la sua condanna a morte. “Tempesta”, come viene chiamato dai compagni di partito per il carattere battagliero, ne è consapevole perché finito di parlare, dopo aver denunciato pubblicamente l’uso sistematico della violenza a scopo intimidatorio usata dai fascisti per vincere le elezioni e contestato la validità del voto, dice ai colleghi:

«Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me»
 Il 10 giugno, viene rapito a Roma. Sono da poco passate le quattro del pomeriggio e si sta recando a Montecitorio. Sotto casa, in lungotevere Arnaldo da Brescia, nel quartiere Flaminio, una squadra di cinque fascisti guidata da Amerigo Dumini lo preleva con la forza e lo carica in macchina (dove viene picchiato e accoltellato fino alla morte, per poi essere seppellito nel bosco della Quartarella, a 25 chilometri dalla Capitale). L’auto, una Lancia Lambda, viene fornita dal direttore del «Corriere Italiano» Filippo Filippelli.
IL CASO DUMINI Merita una picola divagazione la storia di Dumini che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, lavora sotto falsa identità per le truppe d’occupazione americane, come autista e interprete. Arrestato per caso il 18 luglio 1945 a Piacenza, nei suoi confronti viene riaperto il processo per l’omicidio Matteotti. Riconosciuto colpevole di omicidio premeditato e condannato all’ergastolo il 4 aprile del 1947, dopo 6 anni è scarcerato per l’amnistia concessa dal Governo di Giuseppe Pella nel 1953, venendo graziato definitivamente nel 1956. Tornato libero, si iscrive al Movimento Sociale Italiano senza però entrare direttamente in politica. Muore nel Natale del 1967, a 73 anni, presso l’ospedale San Camillo in seguito alla violenta scarica elettrica ricevuta accidentalmente nella propria abitazione mentre tentava di cambiare una lampadina nel suo studio.

UN’ASSENZA NON GIUSTIFICATA – L’assenza di Matteotti non giustificata in Parlamento non viene immediatamente notata, ma già il giorno dopo, l’11 giugno, la notizia della scomparsa appare sui giornali. Più tardi Mussolini sostenne di aver appreso della morte la sera dell’11 giugno. Il 12 giugno il Duce così risponde a una interrogazione parlamentare posta dal deputato Enrico Gonzales:
Credo che la Camera sia ansiosa di avere notizie sulla sorte dell’onorevole Matteotti, scomparso improvvisamente nel pomeriggio di martedì scorso in circostanze di tempo e di luogo non ancora ben precisate, ma comunque tali da legittimare l’ipotesi di un delitto, che, se compiuto, non potrebbe non suscitare lo sdegno e la commozione del governo e del parlamento.
LE INDAGINI – Le prime indagini partono proprio dall’automobile e sono condotte da Mauro Del Giudice e Umberto Guglielmo Tancredi. In breve tutti i rapitori sono identificati e arrestati, ma dietro diretto interesse del Duce, le indagini vengono fermate. I socialisti unitari vicini a Filippo Turati diramano un comunicato che accusa il governo.
L’autorità politica assicura solerti indagini per consegnare alla giustizia i colpevoli, ma la sua azione appare totalmente investita dal sospetto di non volere, né potere colpire le radici profonde del delitto, né svelare l’ambiente da cui i delinquenti emersero.
Le accuse dell’opposizione si muovono quasi immediatamente contro il regime fascista e contro lo stesso Mussolini, il quale inizialmente nega ogni responsabilità. La situazione precipita nel caos e il 26 giugno tutti i parlamentari dell’opposizione decidono di abbandonare i lavori del Parlamento fino a quando il governo non farà chiarezza sulla propria posizione sull’omicidio. Questo singolare episodio è ricordato come secessione dell’Aventino, dal nome del colle romano in cui nell’antica Roma i plebei si ritiravano quando erano in conflitto con i patrizi. L’8 luglio il governo fascista, approfittando dell’assenza dell’opposizione, vara nuovi regolamenti restrittivi relativi alla stampa rafforzati due giorni dopo dall’obbligo per ciascun giornale di nominare un direttore responsabile.
IL RITROVAMENTO E I FUNERALI – Il corpo di Matteotti viene ritrovato solamente il 16 agosto del 1924 dal cane di un brigadiere in licenza, Ovidio Caratelli. Mussolini ordina al ministro degli Interni Luigi Federzoni di preparare imponenti funerali da tenersi però a Fratta Polesine, città natale di Matteotti, in modo da tenerli lontani dall’attenzione dell’opinione pubblica. La vedova Velia Matteotti scrive a Federzoni chiedendo che al funerale non fossero presenti esponenti del PNF e della Milizia.
Chiedo che nessuna rappresentanza della Milizia fascista sia di scorta al treno: nessun milite fascista di qualunque grado o carica comparisca, nemmeno sotto forma di funzionario di servizio. Chiedo che nessuna camicia nera si mostri davanti al feretro e ai miei occhi durante tutto il viaggio, né a Fratta Polesine, fino a tanto che la salma sarà sepolta. Voglio viaggiare come semplice cittadina, che compie il suo dovere per poter esigere i suoi diritti; indi, nessuna vettura-salon, nessun scompartimento riservato, nessuna agevolazione o privilegio; ma nessuna disposizione per modificare il percorso del treno quale risulta dall’orario di dominio pubblico. Se ragioni di ordine pubblico impongono un servizio d’ordine, sia esso affidato solamente a soldati d’Italia (Corriere della Sera, 20 agosto 1924).
I MOTIVI DELL’OMICIDIO – Il 3 gennaio 1925, a ormai oltre sei mesi dal delitto, di fronte alla Camera dei deputati, Mussolini inizia un discorso in cui, inizialmente, nega ogni coinvolgimento nella morte, ma poi si assume personalmente la responsabilità dell’accaduto.
“Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere”, pronunciò il capo del fascismo in un discorso divenuto storico, che aprì la strada alla definitiva svolta dittatoriale dell’Italia verso il regime fascista.
Il trasporto della salma dopo il ritrovamento
A pesare sull’omicidio è il celebre discorso nel quale venivano denunciati i brogli e le violenze delle elezioni del regime. Ma Matteotti stava anche per presentare alla Camera un dossier riguardante le tangenti e le mazzette che la Sinclair Oil americana pagava al Duce e al Re per poter trivellare il suolo siciliano e per i suoi interessi sul suolo libico (sarebbero finite nelle tasche di altissimi esponenti del regime, tra cui anche il fratello di Mussolini, Arnaldo). E non è un caso che volesse rivelare l’illecito proprio in occasione della riapertura dell’Aula di Montecitorio il 10 giugno, il giorno in cui fu rapito e ucciso.
IL RICORDO DELLE BRIGATE PARTIGIANE – Nato a Fratta Polesine, presso Rovigo, nel 1885, Matteotti già nel 1907, dopo una laurea in giurisprudenza a Bologna, entra in contatto con diversi movimenti socialisti. Nella Grande Guerra non viene arruolato, in quanto unico figlio superstite di madre vedova: è però attivo contro il conflitto, tanto da essere mandato al confino nei monti presso Messina. Nel 1919 viene eletto deputato con i socialisti per la circoscrizione elettorale Ferrara-Rovigo, dove viene riconfermato nel 1921 e nel 1924. In Parlamento non perde occasione per denunciare le attività illegali dei fascisti, al potere dal 1922 in seguito alla marcia su Roma, e la repressione violenta del dissenso. A oltre novant’anni di distanza, è visto ancora oggi come uno dei massimi esempi dell’antifascismo italiano. Durante la resistenza, i partigiani di orientamento socialista presero, per questa ragione, il nome di “Brigate Matteotti”.
G. M.

Nessun commento:

Posta un commento