MICHELANGELO-PIETA' BANDINI-MUSEO DELL'OPERA
DEL DUOMO FIRENZE
La serie delle Pietà senili di Michelangelo fu avviata in un periodo di grande sconforto dell'artista, dopo la scomparsa dell'amica Vittoria Colonna nel 1547, quando ormai settantenne sente avvicinarsi la morte e inizia a fare progetti per la propria sepoltura. Sebbene già celebrato come maggior artista vivente, nonché molto ricco, viveva poveramente in una piccola casa nel centro della città, spinto alla semplicità dal suo profondo senso religioso e forse da un'avarizia compulsiva. Alla scultura si dedicava sempre più sporadicamente, e quasi esclusivamente a titolo personale, non per opere commissionate.
Il tema ricorrente era, appunto, quello della Pietà, destinato alla propria tomba che inizialmente avrebbe dovuto essere collocata in Santa Maria Maggiore a Roma. Questa iconografia religiosa, contaminata con quella della Deposizione dalla Croce e della Sepoltura di Cristo, si adattava bene a un'intensa meditazione sul tema della Redenzione, del Sacrificio di Cristo e della Salvezza.
La Pietà detta poi "Bandini" fu probabilmente scolpita a partire proprio dal 1547, e incontrando dall'inizio notevoli difficoltà. Secondo A. Parronchi il blocco usato era uno di quelli avanzanti per la tomba di Giulio II (conclusa nel 1548), destinato probabilmente a un ritratto del pontefice emergente dal sepolcro e sorretto da quattro Angeli. Questo blocco, come ricorda anche Vasari, era pieno di impurezze ed estremamente duro, tanto che al contatto con lo scalpello emetteva nugoli di scintille.
Nel 1553 era sicuramente ancora in lavorazione, quando Vasari, recandosi una sera a visitare l'artista, ebbe l'impressione che Michelangelo esitasse a mostrargliela poiché in corso d'opera, facendo cadere forse di proposito la lucerna, che si spense. Chiamato il servitore, il fedele Francesco Amadori detto l'Urbino, per farsene portare un'altra, si lamentò di essere ormai tanto vecchio da sentirsi tirare "per la cappa" dalla morte "per farmi andare con lei, e questa mia persona cadrà un giorno come questa lucerna, e sarà spento il lume della vita". L'episodio testimonia le crisi depressive del Buonarroti che nel corso degli anni erano diventate abituali e sempre più gravi e che, verso il 1555, portarono l'artista a tentare di distruggere la statua.
Quell'anno o poco prima infatti dovette essere terminata una prima versione della Pietà, che venne copiata da Lorenzo Sabatini (statua oggi nella sagrestia di San Pietro), da un'incisione di Cherubino Alberti e da un bozzetto in cera presso gli eredi Gigli a Firenze. Tentando in seguito di variare la posizione della gambe di Cristo, una venatura nel marmo ne provocò la rottura, suscitando una grande frustrazione nell'artista, aggravata dalle continue sollecitazioni dell'Urbino a finire la scultura, tanto che Michelangelo, ormai fuori di sé, la prese a martellate, rompendola in più punti: segni di rottura si vedono ancora oggi sul gomito, sul petto, sulla spalla di Gesù e sulla mano di Maria; la gamba sinistra di Gesù, che avrebbe dovuto accavallarsi a quella di Maria, è completamente assente. Una parte della gamba mutila si trova menzionata nell'inventario dei beni di Daniele da Volterra ("ginocchio di marmo di Michelagniolo"), ma da allora se ne perdono le tracce.
La data del 1545 è tuttavia ottenuta in base induttiva: prendendo per buono l'aneddoto del servo impaziente, egli morì il 3 dicembre di quell'anno, per cui l'episodio dovette collocarsi prima.
L'opera, ormai inutilizzabile, venne venduta nel 1561 allo scultore e architetto fiorentino Francesco Bandini per duecento scudi, tramite l'intermediazione dell'allievo Tiberio Calcagni, che si offrì di restaurarla e integrarla con la Maria Maddalena alla sinistra, di evidente scarto qualitativo inferiore e sproporzionata.
Alla morte dell'artista nel 1564, si provò senza successo a portare la statua a Firenze per la sepoltura di Michelangelo in Santa Croce. Restò invece nella vigna dei Bandini a Montecavallo ben oltre la morte di Francesco (1564), dove la vide anche Gianlorenzo Bernini. Nel 1674 venne poi acquistata dal granduca Cosimo III de' Medici e portata a Firenze. Egli la destinò ai sotterranei di San Lorenzo, luogo di sepoltura di casa Medici. Nel 1722 venne poi trasportata in Santa Maria del Fiore, per decorare lo spazio dietro l'altare maggiore. Dal 1933 venne posta nella prima cappella di destra della tribuna nord e nel 1981 fu infine destinata al Museo dell'Opera del Duomo.
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