LA VENERE DEI MEDICI-UFFIZI FIRENZE
La statua, una Venus pudica, si ispira, come le altre varianti del tema, all'Afrodite cnidia di Prassitele, con particolari similitudini con la Venere capitolina.
L'opera arrivò a Roma in un momento imprecisato dell'antichità e forse decorava villa Adriana a Tivoli. Nel Rinascimento, con la febbre collezionistica delle grandi famiglie presenti in città, venne probabilmente acquistata dall'allora cardinale Ferdinando de' Medici, per essere esposta a villa Medici, anche se la prima documentazione certa risale al 1638. Nel 1677 fu portata a Firenze da Cosimo III, che nonostante la sua reputazione di "bigotto", non si fece problemi a collocare la bella dea nuda nella Tribuna degli Uffizi. Da allora occupò un posto di privilegio nella collezione di statue antiche della galleria.
Simbolo della bellezza antica nel periodo neoclassico, fu ammirata da Napoleone, che chiese espressamente di vederla nel suo breve soggiorno in città nel 1796. Dopo la conquista dell'Italia e il trasferimento di beni artistici a Parigi (1803), la Venere fu tra le prime opere a venire portate via (1803), ma venne recuperata con la Restaurazione (1815). I francesi dal 1821 si consolarono con l'arrivo della Venere di Milo al Louvre, che fu oggetto di una "sponsorizzazione" programmata dalle autorità per celebrarne la bellezza e far dimenticare la statua fiorentina. Gli italiani ci guadagnarono anche la Venere italica del Canova, che era stata scolpita proprio come risarcimento per Firenze, oggi conservata alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti.
John Ruskin descrisse la Venere de' Medici estasiato («una delle più pure ed elevate incarnazioni della donna mai concepite»), ma Martin Robertson, in A History of Greek Art (1975) ne ridimensionò il valore artistico, appannandone la fama.
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