RESOCONTO DELLA
SETTIMA RIUNIONE
SUL TESTAMENTO BIOLOGICO DELLA COMMISSIONE
AFFARI SOCIALI ALLA CAMERA DEI DEPUTATI
di Matteo Mainardi
Seconda giornata di audizioni degli esperti in
Commissione Affari Sociali. Il tema è ancora quello delle DAT
ossia delle Direttive Anticipate di Trattamento che un
gruppetto di parlamentari vorrebbe derubricare a semplici
Disposizioni. Nella seduta del 16 marzo è stata audita la
Consulta di Bioetica.
Riportiamo a seguire le sintesi degli interventi
dei soli esperti, fermo restando che, grazie a Radio Radicale,
gli interventi integrali si possono riascoltare cliccando qui.
Mario Riccio, dirigente reparto di Anestesia e Rianimazione
all’Ospedale di Cremona: “Se faceste una legge con il termine
Dichiarazioni Anticipate di Trattamento invece del termine
Direttive, ritengo che non avrebbe alcun significato. Le
Dichiarazioni indicano un qualcosa di tipo colloquiale e nulla
verrebbe riconosciuto giuridicamente al paziente.
Un’eventuale legge di questo tipo, che
ripercorrerebbe la strada della Legge 40, sarebbe inutile,
verrebbe facilmente attaccata da ricorsi costituzionali. Solo
nell’8% dei casi è possibile valutare il consenso del paziente
in terapia intensiva. Noi medici ricostruiamo quotidianamente
le volontà del paziente. Questo vi porterà a pensare alla
vicenda Englaro. I trattamenti sanitari vengono regolarmente
sospesi nei reparti di terapia intensiva. In queste unità
abbiamo 150mila ricoverati l’anno. Di questi, 30mila muoiono,
una delle percentuali più basse in occidente. Tra questi 30mila
decessi il 62% è dovuto a una decisione sanitaria di
interrompere, non iniziare o limitare le terapie. Perché si fa
questo? Perché molti di questi pazienti morirebbero comunque.
In questo numero così elevato di morti ci sono tantissimi casi
Englaro, ossia sono i parenti a dirci le volontà della persona.
Questi non sono trattamenti eutanasici. Ciò fa parte della
cosiddetta desistenza terapeutica. Ritengo sia ipocrita
limitare i trattamenti senza rimuoverli. Il problema dei
pazienti non più competent è un problema estremamente forte”.
Piergiorgio Donatelli, professore ordinario di Filosofia Morale a La
Sapienza - Università di Roma: “Chiediamo Direttive, non
Dichiarazioni. Oggi una volta entrati in ospedale perdiamo
tutti i diritti relativi alla nostra integrità fisica. Il
paternalismo medico è già crollato: il medico deve agire
nell’interesse del paziente, ma deve avere il suo consenso.
Sono cambiate le modalità del morire: per la prima volta c’è un
lungo percorso di fine vita attraversato da scelte. Non si
tratta di scelte puntuali, riguardano mesi o anni. Ha
totalmente senso che le persone siano libere e informate sul
proprio fine vita. Se ci sono persone che accettano le terapie,
c’è anche chi le rifiuta. C’è un cambiamento nella professione
medica: la buona pratica medica oggi deve incorporare un punto
di vista ulteriore, non medico, che è quello del paziente su sé
stesso, è quello umano. Una volta entrati in ospedale dobbiamo
comunque essere considerati cittadini. Penso che il nostro
Paese debba dotarsi di Direttive anticipate vincolanti. Devono
riguardare tutto, anche idratazione e nutrizione”.
Eugenio Lecaldano, professore emerito, già ordinario di Filosofia
Morale a La Sapienza - Università di Roma: “Mi muovo
all’interno dei principi che sono stati elencati da coloro che
mi hanno preceduto: un’etica incentrata sull’autonomia e
l’autodeterminazione anche sul fine vita. Penso che rientri in
questo tipo di salvaguardia della libertà naturale richiedere
anche un’eutanasia volontaria. Spero che il Parlamento italiano
riconosca ai cittadini questa libertà naturale, l’essere liberi
sul proprio corpo per ciò che riguarda cura, vita e morte. La
legge deve rendere possibile che i pazienti non vengano
trattati come prigionieri, persone chiuse in regole e principi
di uno Stato totalitario che non tiene conto del modo personale
dei cittadini di concepire la propria morte. Parliamo di
un’esigenza di autonomia e libertà che va riconosciuta. In una
società come la nostra, le minoranze - ammesso che siano
minoranze - dovrebbero essere lasciate libere di morire come
vogliono. E’ una delle libertà fondamentali. Qua leggo proposte
che usano un linguaggio ideologico. Vi pregherei di non fare
leggi che affermano principi sostantivi ideologici, non
ripetiamo la storia della legge 40. Il medico non può stabilire
quali sono i miei interessi. Una legge come questa non
durerebbe più di 4-5 anni. Creerebbe oneri di sofferenza e di
costi. Ci sono pronunciamenti della magistratura, come si può
fare una legge senza tenerli in conto?”.
Ancora una volta Binetti e Calabrò
(entrambi
del gruppo AP) sul piede di guerra contro gli
esperti. Il presidente Marazziti
(DS-CD)
invece interviene con una domanda: “Nei vostri interventi si
delinea la vita come bene individuale. Ma il corpo è un bene
esclusivamente individuale o anche un bene sociale?”. Sì, il
livello del dibattito è proprio questo.
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