Buddismo e Società n.99 - luglio agosto 2003
Speciale Empowerment
Il Buddismo di Nichiren e l'empowerment
di Yoichi Kawada
direttore dell'Istituto di Filosofia orientale di Tokyo
Foto: F.Martinez
Il processo di empowerment buddista è
l’acquisizione della saggezza del Budda, contenuta nella nona coscienza, ossia
la comprensione dell’interrelazione e dell’interdipendenza di tutti i fenomeni.
Questa “illuminazione” opera una trasformazione di tutti gli altri livelli di
coscienza dell’individuo e porta ad agire in maniera compassionevole nei
confronti degli altri.
Questo testo è stato presentato il 26 agosto 1999 nel corso dell’American Psychological Association Convention di Boston, USA ed è stato pubblicato sulla rivista Living Buddhism del settembre 2001.
Nichiren, vissuto nel XIII secolo in Giappone, è il maestro buddista ai cui insegnamenti si ispirano le attività della Soka Gakkai Internazionale. In questo articolo vorrei esplorare le aree di contatto fra il Buddismo di Nichiren e il concetto di empowerment.
Nichiren aveva una profonda conoscenza della storia intellettuale del Buddismo. Tale comprensione derivava dallo studio dei sutra che raccolgono gli insegnamenti di Shakyamuni e attingeva alle teorie e alle esegesi degli studiosi indiani Nagarjuna (fra il II e il III secolo d.C.) e Vasubandhu (V secolo d.C.), alla scuola cinese del Buddismo di T’ien-t’ai e a quella del giapponese Saicho (VIII secolo d.C.). Quindi, nel trattare l’empowerment, inizierò dall’esplorare i punti di contatto fra la psicologia occidentale moderna e la teoria delle “otto coscienze” elaborata da Nagarjuna e Vasubandhu, e poi ripresa e sviluppata da T’ien-t’ai e da Nichiren.
È stato lo storico Arnold Toynbee ad asserire che le due grandi scoperte del secolo scorso sono state la teoria della relatività nel campo della fisica e la scoperta dell’inconscio nel campo della psicologia. Egli ha inoltre sottolineato che la scoperta dell’inconscio ci rivela che ogni individuo racchiude in sé di fatto un cosmo, un universo.
Il merito della scoperta dell’inconscio nella psicologia occidentale va a Freud, i cui lavori sono stati seguiti da quelli di Adler, Jung, Maslow e altri, che hanno notevolmente ampliato il nostro campo di esplorazione della psiche.
Circa 2.500 anni fa in oriente, Shakyamuni – meglio conosciuto come il Budda – adattò creativamente e rimaneggiò l’antica filosofia delle Upanishad sviluppando una sua filosofia.
Il suo risveglio, avvenuto mentre si trovava in meditazione sotto l’albero di bodhi, può essere considerato un evento originario, un momento critico, nella psicologia orientale. Questo risveglio ebbe inizio con la percezione del proprio inconscio e si estese fino a illuminare il vasto cosmo della psiche.
Tale esplorazione del suo mondo interiore, del cosmo interiore, andò oltre il livello individuale e, approfondendosi, arrivò a includere tutto il genere umano. Egli continuò a esplorare le frontiere dell’individualità, dall’essenza comune a tutti gli esseri viventi fino a quelle zone profonde dove il sé si fonde con la Terra, col sistema solare e con l’universo intero. Alla fine si risvegliò alla saggezza fondamentale della vita, la vita dell’universo stesso, che dà origine a tutti i fenomeni che si evolvono in armoniosa unità con il cosmo psichico.
In seguito i praticanti buddisti avrebbero chiamato “natura di Budda” la forza vitale alla quale Shakyamuni si era risvegliato. Avrebbero esplorato i mezzi e le diverse pratiche attraverso le quali tutte le persone possono manifestare l’immensa energia, dignità e saggezza di questo stato vitale: in altre parole, metodi di self-empowerment.
I tre livelli della coscienza
Vorrei qui delineare brevemente il principio delle otto coscienze, che rappresenta un’importante base della psicologia buddista.
La parola che viene tradotta con “coscienza” deriva dal sanscrito vijñana, e sta a indicare una vasta gamma di attività che include la sensazione, la cognizione, il sentimento e il pensiero cosciente. Vijñana può essere pensato in riferimento all’intero cosmo della psiche.
Secondo gli insegnamenti della scuola Yogacara, vijñana comprende tre livelli: 1) i cinque sensi e la coscienza vigile; 2) la coscienza mano; 3) la coscienza alaya, considerata il nucleo centrale o luogo principale delle attività psichiche. In altre parole, il contenuto del livello di coscienza alaya si rende evidente, e quindi manifesto, nelle attività del livello della coscienza mano, così come nei cinque organi di senso e nella coscienza vigile. A loro volta, le attività dei livelli più superficiali vengono registrate profondamente nella coscienza alaya. Esiste dunque un’interazione costante e intima fra i diversi livelli di coscienza.
È importante chiarire, a questo punto, che la coscienza alaya non dovrebbe essere intesa soltanto in senso ontologico, semplicemente in quanto esistente, ma anche come qualcosa che racchiude una dimensione cognitiva e persino etica.
I livelli di coscienza mano e alaya hanno molti punti in comune con il concetto di inconscio individuale e collettivo della psicologia junghiana.
Prendiamo innanzitutto in considerazione la coscienza mano, che da un lato emerge dalla coscienza alaya e dall’altro focalizza su di essa la sua “attenzione”.
In questo senso, il livello di coscienza mano può essere considerato come la sede della più basilare coscienza del sé. Il verbo sanscrito da cui deriva è manas, che significa “pensare” o “considerare”. Dunque la coscienza mano riguarda sempre il pensiero, la riflessione, potremmo dire l’oggettivazione della coscienza alaya dell’individuo, che viene percepita come qualcosa di unico e di isolato dal resto.
Questo testo è stato presentato il 26 agosto 1999 nel corso dell’American Psychological Association Convention di Boston, USA ed è stato pubblicato sulla rivista Living Buddhism del settembre 2001.
Nichiren, vissuto nel XIII secolo in Giappone, è il maestro buddista ai cui insegnamenti si ispirano le attività della Soka Gakkai Internazionale. In questo articolo vorrei esplorare le aree di contatto fra il Buddismo di Nichiren e il concetto di empowerment.
Nichiren aveva una profonda conoscenza della storia intellettuale del Buddismo. Tale comprensione derivava dallo studio dei sutra che raccolgono gli insegnamenti di Shakyamuni e attingeva alle teorie e alle esegesi degli studiosi indiani Nagarjuna (fra il II e il III secolo d.C.) e Vasubandhu (V secolo d.C.), alla scuola cinese del Buddismo di T’ien-t’ai e a quella del giapponese Saicho (VIII secolo d.C.). Quindi, nel trattare l’empowerment, inizierò dall’esplorare i punti di contatto fra la psicologia occidentale moderna e la teoria delle “otto coscienze” elaborata da Nagarjuna e Vasubandhu, e poi ripresa e sviluppata da T’ien-t’ai e da Nichiren.
È stato lo storico Arnold Toynbee ad asserire che le due grandi scoperte del secolo scorso sono state la teoria della relatività nel campo della fisica e la scoperta dell’inconscio nel campo della psicologia. Egli ha inoltre sottolineato che la scoperta dell’inconscio ci rivela che ogni individuo racchiude in sé di fatto un cosmo, un universo.
Il merito della scoperta dell’inconscio nella psicologia occidentale va a Freud, i cui lavori sono stati seguiti da quelli di Adler, Jung, Maslow e altri, che hanno notevolmente ampliato il nostro campo di esplorazione della psiche.
Circa 2.500 anni fa in oriente, Shakyamuni – meglio conosciuto come il Budda – adattò creativamente e rimaneggiò l’antica filosofia delle Upanishad sviluppando una sua filosofia.
Il suo risveglio, avvenuto mentre si trovava in meditazione sotto l’albero di bodhi, può essere considerato un evento originario, un momento critico, nella psicologia orientale. Questo risveglio ebbe inizio con la percezione del proprio inconscio e si estese fino a illuminare il vasto cosmo della psiche.
Tale esplorazione del suo mondo interiore, del cosmo interiore, andò oltre il livello individuale e, approfondendosi, arrivò a includere tutto il genere umano. Egli continuò a esplorare le frontiere dell’individualità, dall’essenza comune a tutti gli esseri viventi fino a quelle zone profonde dove il sé si fonde con la Terra, col sistema solare e con l’universo intero. Alla fine si risvegliò alla saggezza fondamentale della vita, la vita dell’universo stesso, che dà origine a tutti i fenomeni che si evolvono in armoniosa unità con il cosmo psichico.
In seguito i praticanti buddisti avrebbero chiamato “natura di Budda” la forza vitale alla quale Shakyamuni si era risvegliato. Avrebbero esplorato i mezzi e le diverse pratiche attraverso le quali tutte le persone possono manifestare l’immensa energia, dignità e saggezza di questo stato vitale: in altre parole, metodi di self-empowerment.
I tre livelli della coscienza
Vorrei qui delineare brevemente il principio delle otto coscienze, che rappresenta un’importante base della psicologia buddista.
La parola che viene tradotta con “coscienza” deriva dal sanscrito vijñana, e sta a indicare una vasta gamma di attività che include la sensazione, la cognizione, il sentimento e il pensiero cosciente. Vijñana può essere pensato in riferimento all’intero cosmo della psiche.
Secondo gli insegnamenti della scuola Yogacara, vijñana comprende tre livelli: 1) i cinque sensi e la coscienza vigile; 2) la coscienza mano; 3) la coscienza alaya, considerata il nucleo centrale o luogo principale delle attività psichiche. In altre parole, il contenuto del livello di coscienza alaya si rende evidente, e quindi manifesto, nelle attività del livello della coscienza mano, così come nei cinque organi di senso e nella coscienza vigile. A loro volta, le attività dei livelli più superficiali vengono registrate profondamente nella coscienza alaya. Esiste dunque un’interazione costante e intima fra i diversi livelli di coscienza.
È importante chiarire, a questo punto, che la coscienza alaya non dovrebbe essere intesa soltanto in senso ontologico, semplicemente in quanto esistente, ma anche come qualcosa che racchiude una dimensione cognitiva e persino etica.
I livelli di coscienza mano e alaya hanno molti punti in comune con il concetto di inconscio individuale e collettivo della psicologia junghiana.
Prendiamo innanzitutto in considerazione la coscienza mano, che da un lato emerge dalla coscienza alaya e dall’altro focalizza su di essa la sua “attenzione”.
In questo senso, il livello di coscienza mano può essere considerato come la sede della più basilare coscienza del sé. Il verbo sanscrito da cui deriva è manas, che significa “pensare” o “considerare”. Dunque la coscienza mano riguarda sempre il pensiero, la riflessione, potremmo dire l’oggettivazione della coscienza alaya dell’individuo, che viene percepita come qualcosa di unico e di isolato dal resto.
Foto: F.Martinez
È per via di questo forte attaccamento o adesione a una coscienza alaya oggettivata che la coscienza mano genera un senso del sé limitato e isolato, che nel Buddismo si definisce “piccolo io”.
Quando la coscienza mano funziona in questa maniera genera una serie di potenti illusioni che si manifestano negli altri, più immediati, livelli di percezione e di coscienza, sotto forma di attaccamento e di orgoglio nei confronti del proprio senso di sé separato. L’illusione che la coscienza alayaoggettivata sia il proprio vero io si identifica con l’oscurità fondamentale, l’allontanamento dalla verità della interrelazione tra tutti gli esseri. Ed è proprio il senso di isolamento e di separazione del proprio io dagli altri che genera le discriminazioni, l’arroganza distruttiva e l’egoismo.
Il piccolo io è profondamente insicuro, e oscilla fra un senso di superiorità e un senso di inferiorità nei confronti degli altri; cercando di raggiungere il proprio appagamento nuoce o ferisce inconsapevolmente gli altri. Quando la coscienza mano è piena di illusioni riguardo la natura dell’io si genera un’ulteriore serie di illusioni, che l’antico Buddismo si adoperò a definire, numerare e classificare, ma sulle quali sorvoleremo per motivi di tempo. Ci limiteremo a dire che la coscienza mano opera per creare un forte senso di separazione fra sé e le altre persone, generando tendenze discriminatorie verso coloro che vengono percepiti come “gli altri”.
Le caratteristiche della coscienza alaya
Nel Trimisika-vijnapti Vasubandhu attribuisce le seguenti caratteristiche alla coscienzaalaya. Innanzitutto, non è oscurata dalle illusioni ed è moralmente neutra, ovvero, è ugualmente predisposta a ricevere l’impronta karmica di cause sia negative che positive. In secondo luogo, è estremamente dinamica: il suo fluire può essere paragonato a quello di un fiume in piena. In sanscrito la parola alaya significa “immagazzinare”, ed è qui che le cause latenti, spesso descritte metaforicamente come semi karmici, si depositano.
Il karma è, naturalmente, un concetto basilare del Buddismo. Secondo questo concetto i nostri pensieri, parole e azioni (siano essi appartenenti alla parte conscia o inconscia del livello mano) esercitano invariabilmente un’influenza che viene impressa o registrata nel livello più profondo della nostra vita: la coscienza alaya. Quando incontrano le condizioni per potersi esprimere, queste cause latenti, o semi karmici, divengono manifeste come funzioni della coscienza mano o altri livelli di coscienza più superficiali.
Tali semi karmici possono essere positivi o negativi. Le cause latenti positive si manifestano in funzioni psicologiche positive come fiducia, nonviolenza, autocontrollo, compassione e saggezza. Le cause latenti negative si manifestano sotto varie forme di illusioni e di comportamenti distruttivi. In questo senso il funzionamento della coscienza alaya deve intendersi precedente rispetto a quello delle illusioni, poiché non viene macchiato o influenzato da queste. Resta neutro e ugualmente ricettivo a ogni altro tipo di impronta karmica.
Come già menzionato, la coscienza alaya interagisce costantemente e intimamente con altri livelli di coscienza, come la coscienza mano, la coscienza vigile e le funzioni sensoriali. Non è una realtà o un’entità separata: sarebbe più corretto considerarla come una corrente vitale che fluisce ininterrottamente. È questa mancanza di staticità, questa fluidità, che consente di trasformare il suo contenuto, e di conseguenza il funzionamento degli altri livelli di coscienza.
La trasformazione della coscienza e l’ottenimento della saggezza
L’idea di trasformare la coscienza e di ottenere la saggezza è centrale nella psicologia buddista e forse rappresenta il contributo più diretto del Buddismo al concetto di self-empowerment.
Gli otto livelli di coscienza citati sopra vennero descritti dalla scuola indiana Yogacara. Furono poi le scuole T’ien-t’ai e Hua-yen (Kegon) in Cina a scoprire una nona coscienza, la coscienza amala, incontaminata, che supporta e abbraccia tutte le funzioni della coscienzaalaya sottostante.
Riprendendo quelle spiegazioni delle nove coscienze, Nichiren descrive diversi tipi di saggezza che si manifestano a ogni livello di coscienza. La coscienza amala manifesta la saggezza di comprendere che siamo tutt’uno con l’energia vitale cosmica. Questa è la saggezza fondamentale dell’universo vivente, manifestando la quale diventiamo capaci di trasformare il funzionamento degli altri livelli di coscienza, inclusa la coscienza alaya, dove risiedono le cause karmiche profonde. Tale trasformazione è l’obiettivo della psicologia buddista e della pratica buddista, che include la ricerca dell’altruistica via del bodhisattva.
La pratica buddista imprime i semi di cause positive nella coscienza alaya. Maggiori e più forti sono tali cause, maggiore sarà la trasformazione del contenuto della coscienza alaya. Quando la coscienza alaya viene trasformata, brilla della luce di una saggezza che può essere paragonata a un grande specchio che riflette perfettamente il vero aspetto di tutti i fenomeni. Questa è la saggezza dell’interdipendenza, la saggezza di percepire e di comprendere che, al livello più profondo, siamo tutti interrelati e interdipendenti.
Quando la coscienza alaya viene trasformata in questa maniera, fa sorgere nella coscienzamano la saggezza di percepire tutte le cose nella giusta misura. In altre parole, la coscienzamanonon funziona più come il luogo di una coscienza fondamentalmente discriminatoria, ma è in grado di percepire la sua “propria” coscienza alaya come anch’essa parte di una energia vitale cosmica che si evolve creativamente. A quel punto la coscienza mano cessa di generare l’immagine di un “io” falsamente separato e in profondo conflitto ontologico con gli altri.
Il superamento della tendenza, profondamente radicata, di oggettivare e di aggrapparsi alla coscienza alaya consente all’individuo di superare i sentimenti di paura e di angoscia riguardo alla morte fisica. Questi vengono sostituiti dalla profonda consapevolezza che la coscienza alaya è un flusso vitale che si manifesta ripetutamente in cicli di vita e di morte, flusso allo stesso tempo sorretto e contenuto dalla vitalità fondamentale e dalla saggezza inerenti all’universo, ovvero dalla nona coscienza o coscienza amala. La morte viene così vista come il ciclico decadimento dell’abilità di sostenere il buon funzionamento della coscienza mano, della coscienza vigile e degli organi di senso. Alla morte dell’individuo queste funzioni diventano latenti all’interno della coscienza alaya, la quale però non si estingue, ma mantiene la continuità del flusso vitale durante il corso dei cicli di vita e di morte.
Quando si superano le profonde illusioni che riguardano la natura dell’io e della sua esistenza, la coscienza mano può funzionare come deposito di cause positive come la fiducia, l’autocontrollo e la compassione.
La trasformazione degli strati più profondi della coscienza influisce sul funzionamento della cognizione e della percezione, localizzate nella coscienza vigile e nell’apparato sensoriale. Queste vengono permeate da una propria forma di saggezza, che comprende la saggezza di controllare liberamente le funzioni dei sensi e di agire nella maniera più efficace per avanzare nella propria vita e sostenere gli altri nella stessa impresa.
Una persona che lotta costantemente per ottenere questo tipo di trasformazione profonda di tutti i livelli di coscienza, e che cerca di aiutare gli altri a fare lo stesso, è chiamata bodhisattva.
Il movimento della SGI e la via del bodhisattva
Nel Buddismo di Nichiren, la pratica fondamentale consiste nella recitazione del mantra Nam-myoho-renge-kyo davanti al mandala iscritto da Nichiren con lo scopo di consentire a tutte le persone di manifestare la saggezza profonda della nona coscienza o coscienzaamala. In questa maniera cerchiamo di trasformare la coscienza e ottenere la saggezza, cerchiamo di risvegliare la natura di Budda che è una cosa sola con l’energia vitale dell’universo e di consolidare un io da bodhisattva.
Nichiren identifica le quattro virtù del bodhisattva con il vero io, l’eternità, la purezza e la gioia.
La virtù del vero io potrebbe essere intesa come l’esperienza di una libertà in espansione e di speranza, derivanti dal senso di unione con l’energia vitale dell’universo. L’eternità indica la creatività inerente alla vita dell’universo, che porta a un costante rinnovamento e rivitalizzazione: è la capacità di superare ogni ostacolo. La purezza è la funzione della vita cosmica di pulire l’egoismo restrittivo che sporca e distorce l’io. Infine, la gioia è la qualità dell’auto-realizzazione, uno stato vitale di estrema fiducia e serenità basate sull’identificazione di sé con la vita universale.
Nichiren asserisce che il vero bodhisattva manifesta l’intera gamma di queste quattro virtù. Sono queste virtù che rendono il bodhisattva capace di trasformare le circostanze negative in occasioni di crescita e di creazione di valore. È per questa ragione che il bodhisattva non cerca di evitare le difficoltà e le sfide della vita, e non si tira indietro di fronte a esse, ma preferisce piuttosto viverle, conoscerle e affrontarle a testa alta.
Secondo Nichiren, il beneficio che deriva dalla recitazione di Nam-myoho-renge-kyo è la trasformazione delle inevitabili sofferenze della vita – quelle che il Buddismo chiama “le quattro sofferenze” di nascita, vecchiaia, malattia e morte – nelle quattro virtù di vero io, eternità, purezza e gioia. Il bodhisattva, trasformando queste esperienze, così spesso causa di grandi sofferenze, nell’opportunità di svilupparsi e di avanzare, ispira gli altri a seguire lo stesso sentiero che porta a “trasformare la coscienza e ottenere saggezza”.
Attraverso un coinvolgimento attivo a favore degli altri possiamo continuamente rafforzare e approfondire questo io da bodhisattva, in uno sforzo che non è limitato al raggiungimento della felicità personale, ma che comporta un impegno profondo di realizzare la pace, sia per l’umanità che per l’intera biosfera.
L’attività della Soka Gakkai Internazionale per la realizzazione di un movimento contemporaneo della via del bodhisattva si basa sugli sforzi di singoli individui di trasformare il proprio cosmo psichico interiore. Manifestando saggezza in tutti i livelli di coscienza e incoraggiando lo sviluppo di tale saggezza nella propria famiglia, nella propria comunità e nella società, cerchiamo di superare le illusioni che danno origine a una tristemente nota serie di mali personali e sociali: dal senso di incapacità di agire che affligge così tante persone, ai conflitti all’interno della società e fra le diverse società, sino alla distruzione dell’ecosistema. Anche se il sentiero del bodhisattva potrebbe apparire come un approccio troppo graduale, noi siamo fiduciosi del fatto che in realtà rappresenti una trasformazione fondamentale, che ha il potere di cambiare al meglio la vita sia degli individui che di tutta l’umanità.
(traduzione di Flavia Castellano)
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