Speciale Gli strumenti per crescere
Per una società a sostegno dell'educazione
Foto: S.Cavalli
(La versione originale di questo articolo si trova sul sito della SGI nella sezione dedicata alle "Proposte per l'educazione", con il titolo Building a Society Serving the Essential Need of Education, 29 settembre 2000)
All’inizio del ventunesimo secolo l’educazione è di nuovo al centro della discussione. In Giappone il dibattito si è concentrato sulla riforma scolastica. Vorrei approfittare di quest’opportunità per dare una risposta alle questioni sollevate recentemente offrendo un’opinione chiara su tale argomento e fornendo, allo stesso tempo, delle proposte concrete.
Uno dei problemi che ultimamente si è molto diffuso è quello dei bambini che per varie ragioni si rifiutano di frequentare la scuola. Si afferma che ciò potrebbe riguardare qualsiasi giovane studente giapponese: l’indagine annuale del Ministero della Pubblica Istruzione sulle scuole nipponiche ha rivelato che l’assenteismo a livello delle elementari e delle superiori ha raggiunto la cifra senza precedenti di 130.000 studenti nel 1999. Questo significa che già fin dai primi anni di scuola uno su 290 ragazzi non può o non vuole frequentare le lezioni, e per quanto riguarda le superiori uno su quaranta, con una media di uno studente per classe.
In Giappone vi sono stati una serie di suicidi di studenti e altre tragedie dovute al teppismo, e la crisi è in aumento. Si sta inoltre diffondendo anche qui il problema mondiale dell’abuso di droghe. Negli ultimi anni sono aumentati i crimini giovanili: omicidi perpetrati da adolescenti di quattordici-quindici anni, atti di violenza che hanno profondamente colpito l’opinione pubblica, come il sequestro di un autobus da parte di un diciassettenne che ha ucciso una persona e traumatizzato gli altri passeggeri, o il caso di un ragazzo che ha picchiato a morte la propria madre con una mazza da baseball: crimini che sarebbero stati impensabili in Giappone solo pochi anni fa.
Gli esperti nel campo della psicologia evolutiva e dell’educazione analizzano i fatti alla ricerca di soluzioni. Ma da un punto di vista obiettivo dobbiamo riconoscere che la società adulta ha di nuovo fallito nel gestire questi problemi. Sconvolti da tali mostruosità, ci sentiamo impotenti di fronte a queste tendenze inspiegabili.
Con l’intento di promuovere una sana crescita dei giovani che avranno la responsabilità del nostro futuro, sedici anni fa ho scritto una proposta per una riunione generale della divisione nazionale educatori della Soka Gakkai intitolata Pensieri sugli scopi dell’educazione1.Seguendo il principio secondo il quale la riforma scolastica dovrebbe essere basata sull’umanesimo e non sulla politica, ho indicato la creatività, l’internazionalità e l’eclettismo come ideali umanistici a cui mirare.
Ricordo che in quel periodo la crisi dell’educazione era già fonte di preoccupazione, genitori e insegnanti erano profondamente turbati di fronte a questioni come il comportamento problematico, la violenza nelle scuole e l’assenteismo. Da allora sono passati più di quindici anni e purtroppo, nonostante gli sforzi delle parti coinvolte, non si è avuto alcun miglioramento: al contrario questa situazione è diventata la norma, con il risultato di aver fatto emergere numerosi problemi nuovi.
Fuga dalla conoscenza
Uno dei problemi più gravi degli ultimi anni è stato il collasso della disciplina nelle scuole: le classi diventano sempre più incontrollabili a causa del comportamento distruttivo degli studenti. Un problema particolarmente evidente a livello delle medie ma che, da qualche tempo, si sta verificando anche nella scuola elementare e addirittura all’asilo.
Secondo alcune inchieste, un terzo degli insegnanti che dovrebbero essere responsabili dei bambini confessa di essere così frustrato da prendere in considerazione la possibilità di abbandonare il proprio lavoro. Dunque, se non s’interviene, si assisterà alla disfunzione dell’intero sistema scolastico.
Altro grave problema è il peggioramento della preparazione scolastica. L’avversione allo studio da parte dei ragazzi, evidente nel loro odio per materie come la matematica e le scienze, si sta trasformando in una questione seria. Alcune ricerche hanno dimostrato come il livello scolastico dei giovani giapponesi stia, nel complesso, peggiorando e coinvolgendo sempre più i livelli di studio superiore. […]
Vorrei definire questa situazione come una “fuga dalla conoscenza”. Non penso sia un’esagerazione descrivere questa tendenza come una sconfitta dell’educazione, il fallimento del nostro sistema educativo nell’adempiere le sue funzioni essenziali: fornire il “nutrimento” spirituale che permette di sviluppare la propria creatività attraverso la saggezza che viene dal passato, e di acquisire un patrimonio culturale comune a tutta l’umanità da trasmettere di generazione in generazione.
Nel 2002 il Giappone completerà la riduzione graduale della settimana scolastica dai tradizionali sei giorni a cinque. Allo stesso tempo, il Ministero della Pubblica Istruzione sta introducendo dei programmi rivisitati allo scopo di “infondere” nei bambini il “gusto per la vita” fornendo loro la libertà necessaria alla crescita. Quest’iniziativa – a mio avviso – riflette la critica nei confronti del metodo intensivo che pone troppa enfasi sull’apprendimento meccanico e la continua competizione in vista degli esami, ed è tra le cause principali della “fuga dalla conoscenza”.
Tuttavia alcuni nutrono dubbi sul fatto che questo cambiamento possa portare al rinnovamento nel metodo d’insegnamento o al miglioramento generale del livello di preparazione degli studenti. Queste perplessità si basano sull’eventualità che la riduzione delle ore scolastiche, invece di promuovere lo studio volontario come si pensa, induca i bambini a trascorrere più tempo sia in scuole affollate sia davanti al televisore o a giocare con i videogiochi senza portare ai risultati attesi.
Condivido queste preoccupazioni. Anche se la sofferenza dei bambini, che si riflette soprattutto nell’assenteismo, deve essere affrontata senza indugio, non credo che i problemi alla base possano essere risolti mettendo solo delle “toppe” al sistema.
I bambini sono lo specchio della società
Allora, cosa si cela dietro la patologia dell’abbandono scolastico, del comportamento problematico e della “fuga dalla conoscenza” dei nostri figli? Credo che la causa principale sia l’indebolimento del ruolo educativo da parte della scuola, della famiglia e della nostra società in generale.
Foto: Kirk Kondyles
Se è davvero l’educazione in senso lato che permette l’espressione della propria umanità, allora ci deve essere uno squilibrio funzionale nella società giapponese contemporanea che impedisce agli individui di diventare maturi. Ciò è ancora più evidente tra chi nella società è più fragile e sensibile, cioè i bambini. Senza voler semplificare troppo, quando ci confrontiamo con i problemi dell’educazione non dovremmo mai dimenticare l’antico detto secondo cui “i bambini sono lo specchio della società”.
Fino a quando gli adulti non acquisiranno la capacità di auto-correggersi riguardo a cose di cui i bambini sono solo la loro immagine speculare, i tentativi di riformare il sistema, nonostante le buone intenzioni, rimarranno soltanto soluzioni marginali.
Penso che le parole dello scrittore giapponese Taichi Yamada, apparse in un articolo sull’educazione morale, siano davvero commoventi: «I nostri bambini hanno bisogno di qualcosa di più che vuote prediche sulla virtù. In quanto adulti, dobbiamo dimostrare loro nella pratica come vivere una vita migliore2».
La verità è che il mondo adulto, così come si è rivelato dopo la fine di un periodo di rapida crescita economica da parte del Giappone e dopo il collasso dell’economia “montata”, si ritrova in pessimo stato, dovendo affrontare il nuovo secolo senza la minima vitalità. Nella politica, nella burocrazia, negli affari e anche per quanto riguarda i media, l’élite dirigente si è comportata vergognosamente, interessata solo a giustificarsi, a fuggire dalla propria responsabilità sociale e a proteggere i propri interessi.
La società giapponese è invasa dal materialismo e da una scandalosa corruzione, come emerge dall’ondata di casi d’omicidio collegati al campo delle assicurazioni. Un’evidente dimostrazione della nostra mancanza di valori e di prospettive per il futuro che non può non avere ripercussioni negative sui nostri figli. In una società in cui mancano modelli di riferimento che possano ispirare le nuove generazioni, l’educazione non può funzionare bene.
Ci sono sicuramente tanti individui che non si fanno influenzare dai media e che continuano a lavorare con sincerità, coerenti con le parole di Yamada per cui l’essenziale è «dimostrare nella pratica come vivere una vita migliore». Tuttavia anche queste persone incontrano difficoltà nel tener fede ai propri principi. Il fatto che la gente esprima nostalgia per quella che è l’immagine idealizzata degli “anni d’oro dell’era Meiji3” forse riflette una carenza spirituale nella società giapponese contemporanea. […]
Un cambiamento paradigmaticoIl sistema scolastico giapponese ha raggiunto un punto critico: siamo testimoni delle conseguenze di un’educazione subordinata alle varie priorità politiche e burocratiche.
Spinto prima da una politica prebellica tesa allo sviluppo della prosperità nazionale e della forza militare e poi dall’enfasi postbellica posta sul diventare una superpotenza economica, l’attuale progresso del Giappone è stato guidato da un incondizionato imperativo nazionale a superare i paesi progrediti dell’Occidente. Allo stesso tempo, sin dal periodo Meiji, l’educazione è stata forzatamente considerata come un mezzo per raggiungere questi scopi. Entrambi questi approcci sono oggi chiaramente giunti a un punto morto, mentre il Giappone sta vivendo il passaggio dall’era dell’industrializzazione a quella dell’informatica.
Per questo motivo, pensando all’educazione nel ventunesimo secolo credo che la cosa più impellente sia un cambiamento paradigmatico dall’idea di “educazione per il bene della società” alla costruzione di “una società al servizio delle necessità fondamentali dell’educazione”.
Nel formulare il paradigma concettuale di “una società al servizio delle necessità fondamentali dell’educazione” ho preso spunto da Robert Thurman, professore della Columbia University. In occasione di ogni nostro incontro sono rimasto favorevolmente colpito dalla profondità del suo punto di vista. In un’intervista al Boston Research Center4(BRC), alla domanda sul ruolo dell’educazione nella società egli ha risposto: «Penso che la domanda dovrebbe invece essere: quale è il ruolo della società rispetto all’educazione? Poiché a mio parere l’educazione è lo scopo della vita umana».
Questa è un’intuizione davvero profonda. Thurman afferma inoltre che questo suo punto di vista è stato influenzato dagli insegnamenti di Shakyamuni, che considera uno dei primi maestri d’umanità. Il suo pensiero fa eco all’etica di Kant secondo cui gli esseri umani non devono mai essere considerati un mezzo per raggiungere uno scopo, insistendo invece sul rispetto dell’altrui autonomia.
L’apprendimento è il vero scopo dell’esistenza e l’ingrediente fondamentale che rende gli individui davvero umani. Tuttavia lo sviluppo della personalità è stato spesso relegato in una posizione subordinata e considerato solo un mezzo per raggiungere altri scopi. Questo punto di vista è prevalso in tutto il mondo moderno, e in particolare nel ventesimo secolo.
Il sistema scolastico è stato così ridotto a semplice meccanismo al servizio degli obiettivi del paese, siano essi politici, militari, economici o ideologici. Si tendeva a formare un certo tipo di carattere, non il completo sviluppo della personalità, come se si modellassero gli individui secondo uno stampo uniforme. Considerare l’educazione come un mezzo piuttosto che un fine rafforza una prospettiva utilitaristica della stessa vita umana.
Il ventesimo secolo è stato tragicamente teatro di interminabili guerre e violenze e di omicidi di massa senza precedenti. Una dimostrazione evidente dell’aumento del potere di morte, l’eredità negativa del progresso tecnologico. Ritengo inoltre che ciò sia in gran parte dovuto a un capovolgimento dei valori nella civiltà moderna: si è smesso di mettere al primo posto gli esseri umani e si assegna un ruolo subordinato all’educazione che dovrebbe essere un’attività umana di primaria importanza.
[…] Professori universitari e funzionari hanno spesso osservato che il peggioramento della conoscenza tra gli studenti giapponesi, in particolare della matematica e delle scienze, se non risolto può influenzare negativamente la capacità tecnologica ed economica del Giappone, che si ritroverebbe in ritardo nella corsa alla rivoluzione dell’Information Technology (IT). In questo senso è giusto essere preoccupati. Mentre la globalizzazione comporta aspetti sia positivi sia negativi, la corrente verso l’internazionalizzazione non potrà essere fermata. Nessun paese può rimanerne fuori.
Tuttavia la mia personale preoccupazione riguarda soprattutto la possibilità di un ritorno al passato, all’idea dell’educazione per il “bene della società”.
La rivoluzione dell’Information Technology, per sua natura, è in grado di provocare un cambiamento paradigmatico nella società contemporanea, e la sua influenza potrà essere sia positiva sia negativa. Però, a mio avviso, a tutt’oggi sono stati messi in evidenza solo gli aspetti più ottimistici.
Negli Stati Uniti, che per primi ne hanno fatto esperienza soprattutto nel settore finanziario, costruendo un settore di monopolio dove si mescolano materialismo e “capitalismo da casinò”, l’oscurità della rivoluzione dell’Information Technology getta un’ombra sempre più estesa. Ma allora, quale utilità può avere questa rivoluzione se tutto ciò che porta è solo una tendenza verso il materialismo?
Una società che confonde la felicità con il piacere
Di fronte a questa tendenza occorre tornare alla questione cruciale dei valori umani. Credo che dovremmo ridefinire il concetto di "sviluppo della personalità”.
La gente ormai dà per scontata questa espressione, che descrive l’obiettivo dell’educazione. Si tratta invece di uno scopo universale che può essere trasformato in realtà solo tramite il nostro impegno. Questo è un concetto fondamentale, un punto chiave mai sottolineato a sufficienza come fulcro della riforma scolastica.
Proviamo a sostituire l’espressione “sviluppo della personalità” con la parola “felicità”. Il primo presidente della Soka Gakkai, Tsunesaburo Makiguchi, un grande educatore, affermava sempre che la felicità dei bambini è lo scopo dell’educazione.
Oggi la pedagogia di Makiguchi è sempre più conosciuta e apprezzata a livello internazionale, nonostante sia stata concepita in Giappone durante il regime militarista prebellico, che mobilitò tutte le istituzioni educative alla formazione di obbedienti sudditi dell’impero. Fu proprio contro questo sistema che Makiguchi protestò, affermando che il vero scopo dell’educazione dovrebbe essere il benessere duraturo dei bambini e criticando l’Editto imperiale sull’educazione, poiché questo non forniva altro che una “minima base di riferimenti morali”.
Era un individuo lungimirante, che durante un periodo di militarismo fanatico tenne fede alla propria convinzione secondo cui la società avrebbe dovuto essere al servizio delle necessità fondamentali di un’educazione umanistica, e tale educazione non sarebbe mai dovuta essere sacrificata a vantaggio di scopi nazionalistici.
Tuttavia non si deve confondere la felicità con il puro piacere. Scambiare il piacere momentaneo con una vita di vera soddisfazione e felicità mette in evidenza la deviazione dei valori che, secondo me, è alla base delle distorsioni della società nipponica postbellica. Questo atteggiamento errato si manifesta in una libertà che porta alla condiscendenza e all’egoismo, a una pace che sfocia nella codardia e nell’indolenza, dove i diritti umani si trasformano in compiacimento e la democrazia diventa governo della plebaglia.
Di conseguenza lo sviluppo della personalità si interrompe, lasciandoci alla mercè di individui immaturi e arroganti, incapaci di abbandonare il proprio comportamento infantile e di ascoltare gli altri, così come descritti dal filosofo José Ortega y Gasset5.
L’esperienza di un’esistenza davvero umana – la vera felicità – può essere realizzata solo nell’ambito dei legami e dell’interazione tra gli individui. In ciò risiede l’essenza della prospettiva buddista sulla vita e la felicità. L’ostilità, la contraddizione e la discordia possono sembrare aspetti inevitabili delle relazioni tra esseri umani, e tra esseri umani, natura e universo. Ma attraverso la perseveranza e la trasformazione di questi conflitti, ristabilendo e rinnovando i legami tra noi, riusciremo a rafforzare e raffinare il nostro carattere.
Se questi legami vengono meno, lo spirito umano potrà solo vagare senza scopo nell’oscurità della propria solitudine. In termini psicologici ciò può essere definito come “disordine della comunicazione,” patologia della società moderna dovuta a un indebolimento dei legami umani.
Il comportamento antisociale e l’aumento della violenza tra i giovani sono evidenti manifestazioni di questo “male” sociale. In Giappone è in corso un dibattito sulla possibilità di modificare il diritto minorile, ma il cambiamento della legge non porterà di per sé a una soluzione del problema. Gli adulti hanno la responsabilità di ricostruire con pazienza la capacità di comunicare, ascoltando le voci dei bambini che, isolati in questo mondo buio, chiedono aiuto.
L’influenza che Socrate aveva sulla gioventù fu paragonata a una scossa elettrica che stimolava tutti coloro che vi entravano in contatto. Il grande filosofo spiegava che poteva elettrizzare gli altri perché egli stesso era elettrizzato. Allo stesso modo, un insegnante deve essere costantemente creativo se desidera indurre la creatività nei propri studenti. Questa è una qualità essenziale in un educatore.
La cosa più importante è l’atteggiamento di chi sta in cattedra. L’interazione umana ne è la chiave.
La ricostruzione dei legami umani
La coesistenza creativa è dunque uno dei concetti fondamentali per il ventunesimo secolo. Ho trattato questo argomento alcuni anni fa in una Proposta di pace presentata all’ONU intitolata Un rinascimento di speranza e umanità6.
Foto: S.Cavalli
La geografia della vita umana7 fu pubblicata nel 1903, più di mezzo secolo prima che le questioni ambientali, come la carenza di risorse naturali e di energia e l’inquinamento dell’atmosfera e dell’acqua costringessero l’umanità a riconsiderare il proprio rapporto con la natura. Già allora Makiguchi intuiva che l’interruzione nella comunicazione con la natura non solo provoca danni fisici agli stessi esseri umani, ma distrugge virtù essenziali allo sviluppo della personalità come la compassione.
Se il ventesimo secolo è stato un periodo in cui gli esseri umani hanno distrutto violentemente l’ambiente come invasori rapaci, la perseveranza nella comunicazione e il contatto con la natura diventano ingredienti indispensabili per l’educazione dei giovani che saranno responsabili del ventunesimo secolo. Proprio come nella comunicazione tra esseri umani, dovremmo aumentare le occasioni di interagire in modo diretto con la natura piuttosto che con il mondo della realtà virtuale. Cosa può offrire di più la realtà virtuale in confronto alla sensazione vera di comunicare con la natura, respirare la stessa aria e scaldarsi allo stesso sole di cui godono anche la terra, gli alberi e gli animali, manifestazioni dinamiche della vita?
Mi viene in mente un brano di un saggio di Nobukiyo Takahashi, un’autorità nel campo della ricerca forestale: «La bellezza della foresta di sera, soprattutto al chiarore della luna piena, evidenzia il nitido contrasto tra il cielo e le creste delle montagne come in una xilografia. Questo è un mondo in bianco e nero. Ma è un mondo di cui può godere solo chi ne fa esperienza. In foto o su video queste immagini si possono percepire fino a un certo punto, ma non si possono vivere allo stesso modo. Perché quando sei lì non sono solo i tuoi occhi a esserne colpiti: la tua pelle sente il calore e l’umidità; percepisci i profumi della notte nella foresta; suoni che sfuggono a qualsiasi definizione giungono fugacemente alle tue orecchie. Se di notte ti inoltri in una foresta, raccogli una foglia e guardala dai due lati. Quanta bellezza puoi scoprire!»8.
Se desideriamo costruire una società che sia al servizio dell’educazione non dobbiamo né isolarci né allontanarci gli uni dagli altri. Dovremmo, al contrario, approfondire i legami che trascendono le differenze di razza o nazionalità e stabilire un contatto pieno e diretto con la natura. Dovremmo inoltre ritenere come una priorità assoluta che i giovani crescano con una forte personalità e con valori che consentano loro di costruire un mondo in cui la coesistenza diventi creativa.[…]
Una riforma equilibrata
Tra i punti più dibattuti attinenti alla riforma dell’educazione nelle scuole, oggi questione di grande interesse in Giappone, c’è quello della “liberalizzazione strutturale”. Quest’ultima sarà promossa nel campo dell’educazione tramite l’abolizione degli esami tra le medie e le superiori e con l’introduzione di una maggiore scelta di scuole. Il cambiamento include anche una riduzione delle ore scolastiche con una frequenza di cinque giorni alla settimana allo scopo di dare più spazio alla crescita dei bambini. Queste soluzioni sono frutto dell’incoraggiamento alla competitività tra le scuole e della reazione a un tipo di apprendimento troppo meccanico.
Nel contesto nipponico, nel caso in cui queste riforme siano attuate senza ulteriore riflessione e senza fornire le basi necessarie affinché funzionino, finiremmo per chiedere troppa auto-motivazione da parte dei bambini. Makiguchi descrisse così l’impatto che la difesa indiscriminata della “libertà” può avere sul processo educativo: «La semplice liberazione, separata da un elemento creativo, costruttivo, si trasforma in condiscendenza priva di scopo. Quando si considera l’impatto di ciò sull’educazione di bambini innocenti, non si può rimanere indifferenti»9.
Oggi si dovrebbe dare ascolto a queste parole del passato. Le nostre comunità, le nostre scuole e le famiglie hanno bisogno di una profonda preparazione. Come affermò lo stesso Makiguchi, le riforme metodologiche devono essere precedute da una chiara definizione dello scopo dell’educazione, cioè la felicità degli studenti. I cambiamenti istituzionali non guidati da scopi e princìpi ben definiti potrebbero facilmente fallire come già è avvenuto in passato.
Il sistema scolastico proposto da Makiguchi si basava su una frequenza di mezza giornata, riducendo la quantità di tempo trascorso a scuola. Ciò non era dovuto all’avversione per l’apprendimento pedissequo, come succede oggi, ma lo scopo era una crescita equilibrata dal punto di vista fisico e spirituale, dove i bambini avrebbero avuto la possibilità di arricchirsi sia con l’apprendimento a scuola sia con l’esperienza diretta nella società.
Makiguchi affermava: «La malattia dell’educazione contemporanea non risiede tanto nella particolare enfasi sull’apprendimento effettivo quanto nel fatto che gli educatori non affrontano l’educazione con il giusto atteggiamento». Egli desiderava un cambiamento totale nell’atteggiamento dei giapponesi verso l’educazione, trasformando l’importanza data alla sola conoscenza in uno sviluppo dell’intelletto e della saggezza. Sentiva che questa era ed è la vera sfida che la scuola dovrebbe portare avanti.
Invece di fermarsi a criticare il sistema scolastico esistente, riducendone le funzioni tanto da attaccarne le fondamenta, credo che si dovrebbe ricercare un tipo di riforma che porti alla restaurazione della funzione fondamentale della scuola, ovvero diffondere un’educazione intellettuale nel vero significato del termine.
Creatività e sperimentazioneIl conferimento di un maggior potere agli insegnanti è una delle componenti necessarie per poter cambiare davvero la scuola. Propongo un periodo di transizione verso una maggiore decentralizzazione che dia più libertà di azione alla scuola e più autorità ai presidi, attraverso nomine basate sulla democrazia e la trasparenza, e anche un incoraggiamento verso la creatività degli insegnanti. Poiché le riforme attuate in passato sono state imposte secondo un modello uniforme, penso che sia stato difficile per i docenti formulare nuove idee, visto che si richiedeva loro solo di fare il proprio lavoro senza aggiungervi altro. L’educazione dovrebbe avere come unico scopo il bene dei bambini e non dovrebbe sottostare al controllo monopolistico del governo. In Giappone, per esempio, quest’ultimo ha un controllo sempre maggiore sulla scelta dei testi e sui programmi, con il risultato di impedire lo sviluppo di strumenti per l’autonomia delle scuole e degli insegnanti o per lo sviluppo dell’individualità e della creatività dei bambini.
I modelli di riferimento uniformi dovrebbero essere limitati a questioni di base, mentre per quelle pratiche dovrebbe essere rispettata l’indipendenza della scuola. Allo stesso tempo, gli insegnanti dovrebbero incoraggiarsi l’un l’altro per rafforzare la qualità dell’educazione attraverso la sperimentazione pratica in un processo di prova ed errore.
Nei recenti dibattiti sulla riforma scolastica si è affrontato anche il problema della qualità dei singoli insegnanti, suggerendo la possibilità di una verifica periodica. In ogni caso, ciò che è davvero necessario è che la scuola si unisca per affrontare la sfida verso il proprio miglioramento. Ciò potrebbe avvenire, per esempio, aprendo le lezioni agli altri colleghi, o promuovendo scambi tra insegnanti di differenti materie e tra scuole.
[…] La rivitalizzazione della nostra società dipende da una competitività positiva. Per arricchire l’educazione scolastica gli insegnanti hanno bisogno di un mutuo incoraggiamento, di solidarietà e motivazione. Inoltre, per approfondire la cooperazione, sarebbero utili anche delle giornate aperte alle famiglie degli alunni e ai membri della comunità e uno scambio di esperienze e punti di vista tra insegnanti delle scuole elementari, medie e del liceo appartenenti a una stessa comunità.
[…]
Altri paesi riconoscono vari tipi di scuole che portano avanti differenti approcci educativi – le scuole steineriane basate su una particolare filosofia dell’educazione, le charter schoolsnegli Stati Uniti, e le “scuole libere” che lasciano scegliere ai bambini le materie che più li interessano. Anche il Giappone ha bisogno di una maggiore varietà di scuole, cosa che oggi sono in molti a riconoscere. […]
Inoltre, per poter mettere in pratica idee innovative, i criteri di approvazione dei nuovi tipi di scuola dovrebbero essere meno intransigenti. Si dovrebbe poi incoraggiare lo sviluppo di classi sperimentali nell’ambito del sistema ora vigente e diffondere una maggiore informazione sugli interventi innovativi che sono stati già sperimentati.
Nell’affrontare i problemi di teppismo, violenza e assenteismo, la divisione educatori della Soka Gakkai ha redatto una raccolta di esperienze sui passi intrapresi dai membri insegnanti allo scopo di risolvere questi problemi. Questo progetto è stato realizzato in risposta a una proposta sull’educazione da me suggerita sedici anni fa. Ho sentito un’immensa gratitudine nel sapere che sono diecimila le esperienze riportate, testimonianze degli sforzi continui dei docenti in tutti questi anni. Sono preziosi resoconti su metodologie di insegnamento applicate sul campo, e mezzi di condivisione delle esperienze degli insegnanti.
Oltre alla crescente preoccupazione circa la “fuga dalla conoscenza”, ora il ruolo dell’educazione è di creare un tipo di scuola in cui i bambini possano sentire la gioia di imparare e di vivere.
[…] L’interazione tra teoria e risultati concreti derivati dalla sperimentazione è un requisito fondamentale al buon funzionamento della scuola, come dimostra il lavoro del filosofo americano John Dewey, che approfondì le proprie teorie educative attraverso l’esperienza diretta presso la Chicago Laboratory School10. Allo stesso modo il Sistema della pedagogia per la creazione di valore di Makiguchi e la Guida deduttiva all’aritmetica (Suirishiki Shido Sanjutsu) di Josei Toda sono opere basate sull’esperienza diretta in classe.
Toda, discepolo di Makiguchi e mio maestro, fondò nel 1923 una scuola elementare, la Jishu Gakkan, al fine di verificare attraverso la sperimentazione la teoria della educazione per la creazione di valore. Makiguchi considerava la Jishu Gakkan una materializzazione delle proprie idee sulla scuola elementare. Con la determinazione di continuare il lavoro di Toda, anche io ho fondato un sistema di scuole che comprende tutti i livelli, dalle elementari all’università fino ai corsi di specializzazione, basato sui principi dell’educazione per la creazione di valore di Makiguchi.
Attività di volontariatoOltre a stabilire un ambiente in cui sia possibile un apprendimento creativo, è importante stimolare i valori umanistici nei nostri bambini attraverso l’esperienza concreta nella società. Una tendenza evidente nei bambini moderni è il comportamento egoista e l’indebolimento delle relazioni umane mentre le loro vite si concentrano solo sulla competitività esaltata dal sistema scolastico. Inoltre molti sono così assorbiti nel mondo virtuale di Internet, della televisione e dei video-giochi da diventare indifferenti agli stimoli provenienti dal mondo reale.
Come si possono incoraggiare i ragazzi a comunicare direttamente con la società e con la natura? Un’idea efficace è l’attività di volontariato. Credo che questa dovrebbe essere promossa come esperienza quotidiana e non solo occasionale. In particolare si dovrebbero portare avanti esperienze che abbiano risultati tangibili – l’impegno nell’ambito della propria comunità per il riciclaggio dei rifiuti, ad esempio – che contribuiscano alla società e forniscano un senso di soddisfazione, come piantare alberi, curare i fiori oppure tutelare il patrimonio forestale.
Ultimamente i bambini sono diventati sempre più violenti e l’incidenza dei crimini in età minorile sta crescendo. Il coinvolgimento in attività costruttive e creative porterebbe a una crescita interiore e fisica dei bambini. Attraverso attività di questo tipo e progetti costruttivi i bambini sperimenterebbero emozioni più sane e una tranquillità d’animo, a conferma delle parole del filosofo William James, secondo il quale esiste la necessità di un «sostituto morale della guerra»11 al fine di sviluppare la disciplina e canalizzare l’aggressività.
A questo proposito Makiguchi affermava che con una frequenza scolastica di sola mezza giornata l’energia in eccesso dei giovani, spesso diretta verso obiettivi antisociali, può essere trasformata positivamente a vantaggio della felicità individuale e di quella di tutta la comunità. Sentire che le proprie azioni sono utili agli altri dà fiducia ai ragazzi e costituisce la base di partenza per la loro crescita interiore.
Il 2001 è stato designato dall’ONU come Anno internazionale del volontariato. Questa è per noi una grande opportunità per approfondire la comprensione di questo tipo di attività, non solo limitata al campo della scuola, aprendo la strada a una società umanistica nel ventunesimo secolo.
La riforma delle università e l'Università Soka[…] Quando si riflette sulla questione dell’educazione universitaria è necessario prendere in considerazione sia i corsi di specializzazione sia l’educazione in generale. In una società soggetta a cambiamenti così rapidi, le discipline accademiche rischiano di diventare altamente specialistiche, con una conseguente diminuzione dell’importanza nei programmi delle materie umanistiche di base. Ciò porterebbe a notevoli limitazioni nel tipo di educazione che uno studente può ricevere. In Giappone, per esempio, le materie umanistiche nelle università stanno perdendo sempre più importanza e penso sia necessaria una loro rivalutazione. Allo stesso tempo l’educazione in settori specializzati dovrebbe espandersi e si dovrebbe promuovere un maggiore coordinamento tra le varie facoltà.
Si può dare una direzione ideale per una scuola umanistica creando un nuovo tipo di educazione per il ventunesimo secolo. La Soka University of America, ad Aliso Viejo, sarà inaugurata nel 2001 con lo scopo di fornire un’istruzione varia basata sulle materie umanistiche, preparando gli studenti a corsi sempre più specializzati. Come suo fondatore mi impegnerò perché segua gli ideali dell’educazione per la creazione di valore.
In tutti i campi dell’educazione accademica, ma in modo particolare nelle materie umanistiche, è evidente la necessità di una minore separazione tra i dipartimenti e di un approccio organico e interdisciplinare. A questo scopo i professori universitari dovrebbero essere stimolati a introdurre delle riforme nei loro metodi di insegnamento. Gli studenti trovano inoltre poco attraenti le lezioni per i contenuti obsoleti, sempre uguali anno dopo anno. Ho già accennato a questo problema riguardo ad altri livelli dell’istruzione, ma si tende a tralasciare questo aspetto per quanto riguarda l’università.
[…] Nel 2000 in Giappone l’Università Soka ha fondato un Centro per il perfezionamento dell’insegnamento e dell’apprendimento. Il centro ha la funzione di supporto alle facoltà nei vari progetti per lo sviluppo di metodi di educazione innovativi e per fornire assistenza agli studenti che incontrano difficoltà.
Alla Soka University of America ogni studente e insegnante parteciperà a un programma centrale, una serie di quattro corsi su questioni di rilievo concernenti il mondo nel ventunesimo secolo:
- Cosa si intende per vita umana individuale?
- Qual è la relazione tra l’individuo e l’ambiente fisico in cui vive?
- Qual è la relazione tra l’individuo e l’ambiente umano in cui viviamo?
- Questioni generali sulla pace, la cultura e l’educazione.
Ogni argomento sarà trattato secondo varie prospettive – storica, multiculturale, analitica e pratica – al fine di fornire una base per un processo continuo di apprendimento.
Anche in Giappone, credo, l’educazione alle materie umanistiche dovrebbe essere un elemento fondamentale nel primo periodo di frequenza dell’università, poiché queste portano a una comprensione generale dell’umanità. Nella seconda parte del corso di laurea il sistema universitario dovrebbe essere più flessibile introducendo un sistema che permetta gli scambi e i trasferimenti tra scuole, affinché gli studenti possano migliorare la propria specifica preparazione.
In Giappone, quando gli studenti scelgono una facoltà universitaria tendono a dare priorità a quelle cui è più facile accedere. Questa situazione non porterà a nessun risultato positivo, né per gli studenti né per le università. Per evitare ciò, il mondo accademico dovrebbe cooperare offrendo corsi di studio su materie che gli studenti intendono davvero approfondire. Durante il corso di laurea è possibile che gli interessi dello studente cambino, rendendo necessario un trasferimento ad altra università. Il sistema ora in vigore scoraggia tale processo non consentendo questa possibilità.
[…] Le università, idealmente, dovrebbero permettere a ogni studente di scegliere quando, cosa e dove studiare. A questo scopo si dovrebbe permettere una maggiore mobilità, concentrandosi sulla disciplina accademica e sulla specializzazione e non sull’università di per sé. Questo sarà fondamentale per lo sviluppo di un’educazione che continui per tutta la vita.
Promuovere lo scambio internazionaleUn altro obiettivo verso cui le università dovrebbero tendere è lo scambio a livello internazionale. In Giappone per esempio si sente molto la necessità di promuovere l’internazionalizzazione in tutte le istituzioni di educazione superiore.
Scopo dell’Università Soka è rappresentare un nuovo tipo di università basata sui princìpi dell’umanesimo. Per questo, a partire dalla sua fondazione, ha promosso attivamente gli scambi internazionali con università di altri paesi del mondo. Ha già firmato accordi per un programma di scambi accademici con più di settanta università. Molti studenti hanno avuto così l’opportunità di studiare all’estero e anche gli insegnanti hanno potuto usufruire di questa novità. Ci stiamo impegnando per la globalizzazione dell’ambiente educativo accrescendo la comprensione tra le culture.
Si è fatta spesso menzione della qualità delle università americane in confronto con le università giapponesi. Sono convinto che la forza dei college americani risiede nel rispetto per la diversità e la libertà e nell’accoglienza di insegnanti e studenti di nazionalità diverse.
In Giappone gli insegnanti di solito lavorano all’estero solo per avanzare nella carriera, mentre gli studenti prendono in considerazione lo studio oltreoceano solo per avere maggiori possibilità nel futuro. Ma in vista del miglioramento della qualità dell’educazione e dello scambio culturale diventa ormai necessario trovare nuovi modi per accrescere il flusso di scambio tra studenti. Le borse di studio saranno un mezzo importante per sostenere questi giovani all’estero e allo stesso tempo per incoraggiare quelli stranieri a venire a studiare in Giappone. […]
Per quanto riguarda questo argomento desidero mettere in evidenza l’importanza dell’educazione linguistica, in modo particolare dell’inglese, fin dalla più tenera età. Nonostante si gettino le basi strutturali, senza abbattere la barriera della lingua lo scambio a livello internazionale rimarrà infatti pura utopia. Inoltre globalizzazione significa che la conoscenza linguistica sta diventando sempre più indispensabile nella vita. La lingua può aiutare a unire il mondo. Essa è uno strumento che ci permette di espandere la nostra possibilità di conoscere gli altri popoli del mondo e di promuovere uno scambio da cuore a cuore.
Un intervento concreto è sicuramente la promozione dell’insegnamento dell’inglese fin dalla scuola elementare. Ciò non dovrebbe limitarsi a semplici lezioni ma a stimolare capacità comunicative in un ambiente divertente, che permetta anche una migliore comprensione della cultura (senza ovviamente tralasciare lo studio della lingua, storia, cultura, ecc. del Giappone).
Verso un secolo illuminato dal sorriso dei bambini
Infine vorrei parlare di nuovo della sfida globale a cui andiamo incontro: la creazione di una società umana che sia al servizio delle necessità fondamentali dell’educazione. In quanto insieme di attività che incoraggiano il talento e la personalità degli esseri umani, l’educazione non può limitarsi alle sole lezioni, ma diventa una missione che deve essere intrapresa da tutta la società. Si deve ora tornare allo scopo originale dell’educazione – la felicità dei bambini – e riflettere sullo stato delle nostre rispettive società e dei nostri modi di vivere.
Come dobbiamo costruire il mondo che i nostri bambini erediteranno? All’inizio di questo nuovo secolo abbiamo la grande opportunità di affrontare seriamente simili questioni – e questa è un’opportunità che non dobbiamo farci sfuggire.
L’ONU ha designato il primo decennio del ventunesimo secolo (2001-2010) come Decennio per una cultura della pace e della nonviolenza per i bambini del mondo. Ho accolto volentieri questa proposta poiché si tratta di un tema a me caro da lungo tempo. L’UNESCO avrà un ruolo di spicco in questa campagna, il cui successo dipende nondimeno dal supporto e dalla cooperazione da parte di tutti.
I giovani della SGI degli Stati Uniti sono impegnati nel movimento chiamato Vittoria sulla violenza (Victory on Violence, VOV), che dal 1999 ha l’obiettivo di educare le persone alla nonviolenza attraverso il dialogo. Il suo scopo è quello di trasformare la tendenza a sminuire la sacralità della vita, che si è fortemente radicata nella mente dei nostri bambini nel corso del ventesimo secolo. Il VOV si sta ampiamente diffondendo nella società statunitense e riceve un forte appoggio da parte di molte organizzazioni per i diritti umani, scuole e altre istituzioni educative. Ma soprattutto è diventato fonte di speranza e coraggio per i giovani che sono stati vittime di violenza.
Come gli Stati Uniti, anche il Giappone e altre nazioni devono modificare la tendenza a svalutare l’importanza della vita. Copertine di giornali che esaltano la triste condizione dei bambini non risolveranno il problema. Sono i valori della società che si sono capovolti. In quanto adulti dobbiamo parlare e agire. La Soka Gakkai dà importanza alla promozione di un’educazione per la pace fin dall’inizio della scuola. In linea con il decennio internazionale promosso dalle Nazioni Unite, i giovani e gli educatori della Soka Gakkai stanno svolgendo un ruolo attivo per diffondere una maggiore coscienza della cultura della pace e della nonviolenza nella società giapponese.
Credo che attraverso questo tipo di impegno riusciremo a costruire una società per la creazione di valore e a vivere delle vite fondate sul mutuo rispetto.
L’educazione, quando è separata dalla società, non può avere forza, e non c’è futuro per una società che non ha come scopo l’educazione stessa. L’educazione non è solo un diritto o un obbligo: credo che essa sia, in senso più ampio, la missione di ciascun individuo. Il risveglio a questa coscienza deve diventare la priorità assoluta in tutti i nostri sforzi.
Concludendo, anch’io dedicherò tutta la mia energia alla creazione di un secolo in cui le vite dei bambini risplendano di felicità, per realizzare così lo scopo dell’educazione.
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