giovedì 29 gennaio 2015

Buddismo e Società n.86 - maggio giugno 2001
Speciale Gli strumenti per crescere
Crescere sempre
di Lodovico Prola


Foto: Kirk Kondyles
Mettere in pratica gli insegnamenti buddisti significa educare la mente e agire con altruismo, senza mai farsi scoraggiare, approfondendo il rapporto con il maestro. Creare dentro di noi un’abitudine al cambiamento e la disposizione a migliorarci. Insegnando ad altri a essere felici senza dipendere. Crescere insegnando a crescere




La direzione che conduce verso la realizzazione personale sembra essere una soltanto: quella del continuo progresso. Anche soltanto di un centimetro, anche di un piccolo passo alla volta, ma mai la stasi completa. «Non avanzare – recita una delle massime del Buddismo – equivale a retrocedere». La strada per la realizzazione, il modo per dirigere la nostra vita verso una direzione positiva, non consente di mollare o abbandonare gli sforzi. Questo non vuol dire che ogni tanto non si possa perdere, subire una momentanea sconfitta, ma la chiave della felicità, il percorso indicato dal Buddismo per forgiare uno spirito invincibile, forte e veramente libero è quello di ripartire ogni volta, mantenendo uno sforzo costante, un allenamento continuo, una tendenza a lottare sempre, a non darsi mai per vinti.
Crescere sempre insomma.
Il che, naturalmente, non vuol dire nemmeno che non si debba mai riposare. Sforzarsi oltre il limite ragionevole o esaurirsi senza mai distrarsi o riprendere fiato non garantisce certamente una vita felice e realizzata. Il punto è piuttosto quello di costruire e mantenere un atteggiamento spirituale che renda giovani e forti tutta la vita, a venti come a novant’anni: «Non mi sentirò mai arrivato, voglio continuare a crescere, a imparare, cambierò questa situazione che non mi piace, voglio ancora migliorare me stesso, voglio creare un mondo migliore».
È un allenamento della mente e una disposizione del cuore che scaturisce dalla pratica buddista e al tempo stesso incoraggia e alimenta la voglia di praticare. È un’abitudine che si crea come tutte le tendenze, cioè rinforzandola ogni giorno. Dopo dieci, venti o trent’anni di pratica diventa parte del proprio essere e permette di vivere con ottimismo e speranza. Tutto sommato è l’atteggiamento che scaturisce quando il mondo di Buddità, il potenziale della vita pieno di forza vitale e di saggezza, comincia a diventare la tendenza fondamentale della propria vita.
Ma se anche per un breve periodo si perde il ritmo, si smette di crescere e si abbandona l’allenamento iniziano i guai.
Spiega Nichiren Daishonin: «Rafforzate la vostra fede giorno dopo giorno e mese dopo mese. Se vi rilassate anche solo un po’ i demoni prenderanno il sopravvento» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 188).
È proprio vero, la vita è fatta così: stare bene è difficile e richiede uno sforzo continuo, mentre stare male, essere dominati dalle tendenze pessimistiche e autodistruttive non richiede nessuno sforzo.
Praticare il Buddismo è ingaggiare una lotta contro gli aspetti e le tendenze negative della nostra vita, definite appunto l’oscurità fondamentale, per fare emergere la nostra natura illuminata. La lotta per manifestare la Buddità e la conseguente crescita che questo atteggiamento implica vennero definite da Josei Toda “rivoluzione umana”.
In questo particolare tragitto indicato dal Buddismo, ancora più importante dei risultati concreti che si ottengono è l’atteggiamento che si mette in gioco quando si incontrano i problemi, gli ostacoli o semplicemente quando si portano avanti i propri progetti. In questo senso una momentanea sconfitta ha poco peso se comunque stiamo forgiando quel carattere che ci permetterà di ottenere la vittoria finale, se stiamo acquisendo quegli strumenti che ci permetteranno di vincere sempre. «Molti sono gli aspetti importanti affinché una preghiera ottenga risposta – spiega Daisaku Ikeda – ma la cosa essenziale è continuare a pregare fino alla fine. In questo modo potremo riflettere su noi stessi con sincerità, muovendo la nostra vita in direzione positiva con solidità e convinzione. Anche se non conseguiamo immediatamente risultati visibili, la nostra pratica costante si concretizzerà in una forma migliore di quanto abbiamo mai osato sperare» (Giorno per giorno, Esperia, 2000, 30 marzo).


Educazione permanente
La rivoluzione umana è un cammino che dura tutta la vita. Occorre avanzare fino all’ultimo istante di vita. Crescere sempre, appunto. Potremmo prendere in prestito dai pedagogisti un termine che qualche tempo fa era molto in voga nel loro ambiente e definire il Buddismo come una via di “educazione permanente”. La pratica buddista può certamente essere definita un permanente processo di autoeducazione in quanto ciascuno di noi diviene arbitro della propria disciplina e in fondo allenatore di se stesso. Esiste però nel Buddismo una relazione, anch’essa lunga tutto il percorso della nostra esistenza, in cui si evidenzia un altro processo educativo. È il rapporto maestro-discepolo. Occorre chiarire che non si tratta di una relazione accessoria, che può avere solo chi ne ha bisogno o che è adatta ad alcuni piuttosto che ad altri. La relazione maestro-discepolo è un requisito necessario per ottenere la Buddità. Occorre ricercarla, approfondirla e alimentarla giorno dopo giorno. Per tutta la vita, ovviamente. Occorre preparare il nostro atteggiamento affinché si possa imparare sempre.
La crescita è così come la relazione col maestro: finisce quando si spegne lo spirito di ricerca, il desiderio di progredire e migliorare. Quella vocina che dentro di noi inizia a suggerire espressioni come «questo già lo so», oppure «questo per me non vale» è il campanello di allarme: probabilmente stiamo esaurendo lo spirito di ricerca. Questo spirito infatti non è direttamente proporzionale alle conoscenze apprese. Non succede ad esempio che meno conosco il Buddismo e più ho spirito di ricerca. Oppure più so e meno possiedo spirito di ricerca. Non c’è nessuna relazione causale tra bagaglio culturale e voglia di crescere. Si incontrano talvolta (raramente a dire il vero) persone anziane con una cultura immensa che sono ancora umili e hanno ancora voglia di imparare, come bambini. E sono persone fantastiche, giovani nello spirito. Persone attrattive che viene la voglia di stare ad ascoltare.
Rimanere sempre giovani è tener vivo lo spirito di ricerca, la voglia di crescere e di migliorare.

Compassione ed educazione
Abbiamo fin qui parlato della pratica buddista come un processo di autoeducazione, e della relazione maestro-discepolo come un altro aspetto del processo di crescita di ciascun praticante. Esiste insomma una relazione profonda, per nulla marginale, tra il Buddismo e l’educazione. E fin dalla sua nascita la Soka Gakkai a tale relazione si è interessata. Non a caso nel 1930 il filosofo e pedagogista Tsunesaburo Makiguchi, che trovò nella filosofia buddista da un lato la conferma alle sue teorie educative e dall’altro nuova linfa e nuovi spunti per la sua missione di pedagogista, fondò l’organizzazione con il nome di “Società educativa per la creazione di valore”. Solo in seguito il movimento allargò i suoi orizzonti, mantenendo però al tempo stesso la vocazione educativa. E non a caso i suoi primi due presidenti erano degli educatori. Per opera del suo attuale presidente, che sta concretizzando i sogni dei suoi predecessori, l’organizzazione ha fondato scuole e università che mettono in pratica le teorie educative del primo presidente Makiguchi.
Ma in realtà sarebbe semplicistico affermare che la Soka Gakkai promuove la pace anche attraverso l’educazione perché i primi due presidenti erano educatori.
Come abbiamo detto precedentemente, la relazione tra educazione e Buddismo è molto più profonda e si manifesta anche attraverso la relazione con gli altri. L’altruismo, la disponibilità, la volontà di sostenere gli altri sono infatti parte integrante della pratica buddista. Ma la compassione buddista è profondamente diversa dalla carità come essa è generalmente intesa. Carità è, nel nostro comune modo di intenderla, la donazione di beni, una relazione univoca tra chi possiede molto e chi poco: si esprime ad esempio nel regalare vestiti o cibo ai bisognosi o elargendo elemosina ai poveri e via discorrendo. 
La compassione buddista, nel suo aspetto peculiare, non si esprime con una donazione di beni materiali, ma nel fornire i mezzi per vivere in modo dignitoso e indipendente. Esiste a tal proposito un esempio molto illuminante. Di fronte a un bisognoso la compassione buddista si espleta non nel donare il pesce, ma nel donare la canna da pesca e nell’insegnare la tecnica di pesca. Ecco nuovamente apparire la vocazione educativa del Buddismo. La compassione si manifesta nell’offerta di quegli strumenti per divenire autonomamente felici e quindi liberi. Se si donano i beni si rendono gli altri in qualche modo schiavi. Attraverso l’educazione si insegna agli altri a essere felici senza dipendere da altri. 
Fermo restando che, se ci troviamo di fronte a un affamato, occorrerà innanzitutto dargli da mangiare. Solo con lo stomaco pieno potrà cominciare ad apprendere.

Educare la mente ed educare l'azione
Ottenere la Buddità è creare la tendenza a questo stato vitale tramite una disciplina e un’autoeducazione fatte di pratica assidua e del controllo della propria mente e delle proprie azioni. 
Nichiren Daishonin si rivolge ai suoi discepoli raccomandandosi di divenire padroni della propria mente e non permettere che la mente diventi la loro padrona. Cioè sforzarsi costantemente di sconfiggere il pessimismo, il risentimento verso le altre persone, la gelosia, l’odio, l’invidia. E sostituire metodicamente il pensiero positivo, ottimista. Quel pensiero che si sforza di far prevalere la speranza e si sofferma sugli aspetti positivi delle altre persone.
A esso deve seguire coerentemente un’azione positiva, cioè in accordo con l’insegnamento buddista. La pratica buddista implica anche un modo di vivere coerente. Non si è veramente buddisti se lo si è solo a metà, solo durante la preghiera o solo facendo bei discorsi. Il Buddismo è in realtà una via estremamente concreta, fatta di azioni coerenti, sempre più coerenti alla Via che si è abbracciata.
Strumentidella crescita continua sono quindi la pratica, l’educazione della mente e l’azione altruistica. Azione che sostiene gli altri, che lotta per la giustizia e per la difesa e l’attuazione dei diritti umani. Azione che include la diffusione del Buddismo, cioè introdurre amici e conoscenti nella comunità buddista e insegnare loro a percorrere il proprio stesso cammino. Crescere insegnando a crescere, in altre parole.

Crescere allegramente
A prima vista questo continuo autocontrollo, questo dover avanzare sempre, può forse dare l’idea che la via all’Illuminazione sia una via di privazioni e di sacrifici, di fatiche e di pene. Nulla è più falso di questo: l’impegno di sostenere gli altri, per essere efficace, non può che essere condotto allegramente. Ma soprattutto riempie la vita di valore e dà profonda soddisfazione e leggerezza di per sé, è automotivante e rinforza se stesso. Ma l’importante è decidere. Certamente anche in questo caso bisogna creare un’abitudine e vincere quelle forze interiori che ci frenano e vorrebbero al contrario alimentare l’egoismo. Ma se si fa perché si deve o perché ci viene detto di farlo perde di naturalezza e diviene null’altro che una penosa austerità. 
Attraverso questa educazione permanente si manifesta la natura di Budda.
Il Budda utilizza tutto come occasione di crescita. Quando la vita è dinamica e ha grande forza vitale e saggezza, tutto serve per crescere e migliorare. Gli ostacoli, le difficoltà e i desideri diventano il carburante per la pratica buddista e l’occasione per migliorare se stessi. 
Nel Sutra del Loto viene chiarito questo processo dinamico che trasforma tutto in un’occasione di crescita, con alcuni princìpi piuttosto simili nella loro essenza. Negli anni che seguirono il suo completo risveglio, il Budda Shakyamuni insegnò che la strada per l’ottenimento dell’Illuminazione passava per l’estinzione dei desideri. Dal momento che essi producevano attaccamento e quindi sofferenza, la via per il nirvana, cioè per la completa estinzione, prendeva inizio dall’annullamento dei desideri. Nel Sutra del Loto si ha un completo capovolgimento di prospettiva: in esso vengono proposti principi come “i desideri terreni sono Illuminazione” e “le sofferenza di nascita e morte sono nirvana”. Non esiste una dimensione spazio-temporale diversa o migliore di quella attuale a cui aspirare. Questa, quella nella quale si vive, deve divenire la Terra del Budda. La sofferenza, così come i desideri, sono parte irrinunciabile della vita e debbono essere utilizzati come combustibile per la crescita. Devono essere vissuti, utilizzati e trasformati, attraverso la pratica buddista, per la propria riforma interiore. È la natura di Budda presente in ogni essere umano che può compiere questo processo di trasformazione.
Una volta attivato questo potenziale anche la sofferenza serve a crescere e, come indica il sutra, «il veleno si trasforma in medicina». Una caratteristica di chi attiva questo potenziale è quella di non evitare i problemi o sfuggire alle difficoltà, ma di considerarle occasioni per svilupparsi e migliorare. Accetta ogni sfida allegramente e trasforma anche le difficoltà in qualcosa di positivo. È autenticamente libero e trova felicità e soddisfazione in qualsiasi condizione, anche quelle più sfavorevoli. 
Scrive Daisaku Ikeda: «Le persone che vivono nello stato di Buddità possono anche non sembrare eccezionali, a prima vista. Le loro azioni sono quelle che caratterizzano i Bodhisattva della Terra: conducono esistenze piene di compassione perché sostenute dalla forza vitale del Budda e della Terra, che si identifica con la Legge mistica. I Bodhisattva della Terra comprendono tutti gli aspetti della vita dell’universo e i princìpi che li governano. Comprendono anche la società che li circonda e l’andamento dei tempi. Attingendo direttamente alla forza vitale cosmica scoprono che la propria energia cresce senza limiti e la loro libertà si estende per tutto l’universo.
La loro gioia è la gioia delle gioie: un’estasi indescrivibile che sgorga liberamente e spontaneamente dalla più riposta essenza della vita. C’è gioia nel vivere, gioia sulla terra, negli alberi e nei fiori, gioia nei volti e nei movimenti delle persone; tutto è colorato di gioia. Ogni respiro, ogni movimento delle mani, ogni passo porta gioia, gratitudine e amore per la vita. La nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte non sono più sofferenze ma parte della gioia di vivere. La luce della saggezza illumina l’intero universo, distruggendo l’oscurità innata dell’essere umano. Lo spazio vitale del Budda si unisce e si fonde con l’universo. L’io diviene il cosmo e in un solo istante il flusso vitale si estende ad abbracciare tutto ciò che è passato e ciò che è futuro. In ogni attimo l’eterna forza vitale del cosmo sgorga come una gigantesca fontana di energia. Nello stato vitale della Buddità ogni momento presente contiene l’eternità, poiché l’intera forza vitale dell’universo è contenuta in un singolo istante di esistenza» (La vita mistero prezioso, Sonzogno, 1995, p.144).

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