domenica 4 gennaio 2015

Buddismo e Società n.119 - novembre dicembre 2006
Speciale
"Con coraggio e diligenza"
Quinta lezione

Per trasformare l'illusione in Illuminazione bisogna recitare Daimoku con la stessa cura e tenacia che serve per tenere uno specchio costantemente splendente


Illustrazione di Valeria Gasparrini
Un cammino di trasformazione interiore aperto a ogni persona
Chi ha un cuore che brilla per dedizione alla verità e alla giustizia non perderà mai la speranza anche di fronte alle peggiori avversità e, anzi, sarà come un faro in grado di illuminare l'oscurità della sofferenza della gente, fonte di ispirazione, fiducia e coraggio.
Quando noi cambiamo, il mondo cambia. La chiave di qualsiasi cambiamento è la nostra trasformazione interiore, un cambiamento del nostro cuore e della nostra mente. Questa è la rivoluzione umana. Tutti abbiamo il potere di cambiare, e quando comprendiamo questa verità possiamo fare emergere tale potere in qualsiasi luogo, momento o situazione.
Il Buddismo di Nichiren Daishonin, che si basa sui principi trasformativi del Sutra del Loto, ha reso accessibile a tutti questo grande cammino di cambiamento interiore attraverso la pratica fondamentale della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo.
Discutiamo ora il brano in cui il Daishonin spiega l'atteggiamento di base con cui svolgere la pratica fondamentale di recitare Daimoku.

Cambiare noi stessi e cambiare la terra

«Per esempio il Sutra Vimalakirti afferma che quando si ricerca l'emancipazione del Budda nella mente degli esseri comuni si scopre che gli esseri comuni sono l'entità dell'Illuminazione e che le sofferenze di nascita e morte sono nirvana. Afferma inoltre che, se la mente degli esseri viventi è impura, anche la loro terra è impura, ma se la loro mente è pura, lo è anche la loro terra; non ci sono terre pure e terre impure di per sé: la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente.
Lo stesso vale per un Budda e una persona comune. Quando una persona è illusa è chiamata essere comune, ma una volta illuminata è chiamata Budda. È come uno specchio appannato che brillerà come un gioiello se viene lucidato. Una mente annebbiata dalle illusioni derivate dall'oscurità innata è come uno specchio appannato che però, una volta lucidato, sicuramente diverrà chiaro e rifletterà la natura essenziale di tutti i fenomeni e il vero aspetto della realtà. Risveglia in te una profonda fede e lucida con cura il tuo specchio notte e giorno. Come dovresti lucidarlo? Solo recitando Nam-myoho-renge-kyo».

Come ho già spiegato a fondo, la totalità del Buddismo esiste all'interno delle nostre vite e così anche la chiave per il conseguimento della Buddità - la trasformazione basilare della nostra condizione vitale - risiede in un cambiamento del nostro cuore o mente.
Per far capire questo punto il Daishonin cita il Sutra Vimalakirti1 riassumendone alcuni brani nella seguente affermazione: «Quando si ricerca l'emancipazione del Budda nella mente degli esseri comuni si scopre che gli esseri comuni sono l'entità dell'Illuminazione e che le sofferenze di nascita e morte sono nirvana».2
«Gli esseri comuni sono l'entità dell'Illuminazione» significa che la saggezza per conseguire la Buddità (Illuminazione) si manifesta nella vita delle persone comuni immerse nelle illusioni e nei desideri. Analogamente «le sofferenze di nascita e morte sono nirvana» significa che la condizione vitale di Budda, caratterizzata da vera pace e serenità (nirvana) si manifesta nella vita delle persone comuni afflitte dalle sofferenze di nascita e morte. Il Daishonin sta spiegando che il Budda e le persone comuni non sono separati da un baratro insormontabile, che tutto ciò che li distingue è una differenza «nella mente degli esseri comuni».
Il Daishonin cita anche il brano del sutra Vimalakirti che spiega la differenza fra terre pure e impure, riassumendolo nella frase «se la mente degli esseri viventi è impura, anche la loro terra è impura, ma se la loro mente è pura, lo è anche la loro terra».3 Vi si spiega che non esistono due terre separate ma che l'unica differenza fra terre pure e terre impure sta nella bontà o malvagità della nostra mente. Secondo questa visione la terra pura non esiste in qualche mondo ultraterreno bensì nel mondo reale, e le persone la raggiungono attraverso la propria trasformazione interiore. Si tratta di una visione dinamica e al tempo stesso pratica della terra pura, basata sul concetto di "purificazione delle terre del Budda" esposto nel Sutra del Loto.4
Il brano del Sutra Vimalakirti che il Daishonin cita è tratto dal quinto capitolo, Informarsi sulla malattia, che descrive il dialogo fra Vimalakirti, eminente credente laico che pratica la via del bodhisattva e che si è ammalato, e Manjushri, uno dei principali discepoli di Shakyamuni, che è andato a fargli visita. Quando gli viene chiesta la causa della sua malattia Vimalakirti risponde: «Poiché tutti gli esseri viventi sono malati, io sono malato».5 È un brano famoso, emblematico dello spirito del bodhisattva che condivide le sofferenze degli altri come se fossero le proprie. 
Vimalakirti prosegue spiegando che i bodhisattva scelgono di nascere fra gli esseri viventi, afflitti dalle illusioni, e di condividerne le sofferenze di nascita e morte allo scopo di istruirli e guidarli all'Illuminazione. Inoltre, poiché i bodhisattva hanno costruito dentro di sé una pura condizione vitale illuminata6, non vengono sviati né sopraffatti dalle sofferenze.
I brani del Sutra Vimalakirti che il Daishonin cita spiegano dunque il significato della Buddità e della terra pura dal punto di vista di un praticante bodhisattva che lotta in mezzo alla realtà della vita quotidiana. Perciò, concludendo, il Daishonin afferma: «Quando una persona è illusa è chiamata essere comune, ma una volta illuminata è chiamata Budda». Vale a dire che la differenza fra persone comuni e Budda non è altro che la differenza fra illusione e Illuminazione nella mente delle persone comuni. Come possiamo allora trasformare l'illusione in Illuminazione?
Nel brano precedente il Dashonin spiega che quando cambia il cuore delle persone, cambia anche la terra, cioè il loro ambiente esterno. Fondamentalmente, si tratta di una trasformazione da illusione a Illuminazione.
Come ho messo prima in evidenza, ciò che rende possibile questa trasformazione è il Daimoku e, sul piano spirituale, la fede. È attraverso la fede che possiamo vincere sull'ignoranza e l'oscurità che è alla radice delle illusioni e manifestare la Buddità di cui siamo originariamente dotati.
Il Daishonin impiega una metafora per descrivere questa potenzialità fondamentale di cambiamento: «È come uno specchio appannato che brillerà come un gioiello se viene lucidato», spiegando così che la recitazione del Daimoku - il mezzo per sconfiggere l'oscurità interna attraverso la fede - serve a "lucidare" la nostra vita.
Tutti gli esseri viventi sono per loro natura entità della Legge mistica. E, per sua stessa natura, la condizione vitale di Buddità ci permette di utilizzare, senza alcun impedimento o limitazione, l'infinito potere della Legge mistica che esiste dentro di noi, ogni qualvolta e in qualsiasi forma ci occorra.
Il Daishonin paragona questo supremo stato vitale a uno specchio limpido che brilla come un gioiello. E tuttavia, pur essendo entità della Legge mistica, se la nostra vita è immersa nell'ignoranza non siamo in grado di far emergere il potere di questa Legge; in questa condizione oscurata siamo come "uno specchio appannato" incapace di riflettere alcunché.
Recitare Daimoku è la pratica per lucidare lo specchio appannato della nostra vita.

La strada per lucidare la propria vita: primo, sfidarsi coraggiosamente
Riguardo alla funzione del Daimoku di "lucidare" la vita, il Daishonin afferma:
«Una mente annebbiata dalle illusioni derivate dall'oscurità innata della vita è come uno specchio appannato, che però, una volta lucidato, sicuramente diverrà chiaro e rifletterà la natura essenziale di tutti i fenomeni e il vero aspetto della realtà. Risveglia in te una profonda fede e lucida con cura il tuo specchio notte e giorno. Come dovresti lucidarlo? Solo recitando Nam-myoho-renge-kyo».
La metafora dello specchio è veramente calzante. Così come lo specchio è dotato della proprietà della riflessione, così la nostra vita è dotata della mistica verità. Ma se uno specchio non viene lucidato diventerà opaco. Poiché ai tempi del Daishonin gli specchi erano fatti principalmente di bronzo si opacizzavano facilmente; ma se uno specchio è opaco non può più adempiere alla sua funzione originale e quindi va lucidato regolarmente. Anche la nostra vita, se la trascuriamo e non la coltiviamo, sarà avvolta dall'ignoranza. Da qui la metafora dello specchio.
L'atto di lucidare è indispensabile per ripristinare la proprietà innata dello specchio, e inoltre non è sufficiente pulirlo una volta soltanto. Se vogliamo che mantenga la proprietà della riflessione dobbiamo continuare a lucidarlo. Come questa metafora acutamente suggerisce, la nostra pratica di recitare Daimoku è una lotta per pulire la nostra vita, per spazzar via la polvere dell'ignoranza e aumentare al massimo lo splendore della nostra illuminata natura del Dharma.
La pratica di "lucidare" la nostra vita ha due aspetti. Uno consiste nel risvegliare una fede profonda, come ci esorta a fare il Daishonin; potremmo dire anche che consiste nel trovare il coraggio di combattere la nostra oscurità interna. L'altro aspetto è continuare questo sforzo costantemente, secondo il monito del Daishonin di "lucidare con cura il nostro specchio notte e giorno".
Questi due punti ricordano i due aspetti della recitazione del Daimoku di cui tratta Nichikan Shonin facendo riferimento all'espressione del secondo capitolo del Sutra del Loto,Espedienti; «Si è esercitato con coraggio e diligenza».7 Nichikan, famoso per essere un grande restauratore del Buddismo di Nichiren Daishonin, spiega che "con coraggio e diligenza" (yumyo) significa far sgorgare con coraggio il potere della fede mentre recitiamo Daimoku, ed "esercitarsi" (shojin) significa impegnarsi sinceramente nella pratica della recitazione.8
Quando si recita Daimoku la prima cosa importante è avere lo spirito di sfida per agire con coraggio. Potremmo definirlo come l'atto di risvegliare una fede profonda dalle più riposte intimità della nostra vita in accordo con le parole del Daishonin, credendo fermamente di riuscire ad attivare la Legge mistica dentro di noi, a manifestare la nostra Buddità innata e a ottenere senz'ombra di dubbio l'Illuminazione in questa esistenza. Significa anche affrontare direttamente i tre ostacoli e i quattro demoni che cercano di impedirci di recitare il Daimoku. Ci occorre uno spirito di sfida instancabile, impavido e assiduo per affrontare e vincere le schiere di ostacoli che sorgono per assalirci. È proprio sfidando, combattendo e sconfiggendo l'ignoranza che possiamo "lucidare" la nostra vita.

La strada per lucidare la propria vita: secondo, continuare
Inoltre è indispensabile continuare. Continuare è assolutamente indispensabile per conseguire la Buddità in questa esistenza. Il Daishonin afferma: «Accettare è facile, continuare è difficile. Ma la Buddità si trova nel mantenere la fede».9 Ne Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza possiamo dedurre quanto sia importante la perseveranza dall'enfasi che il Daishonin pone ripetutamente sul bisogno di praticare "notte e giorno" e "con cura". Continuare a recitare costantemente Daimoku è un requisito essenziale per conseguire la Buddità.
Scrive il Daishonin: «Quando c'è la sofferenza illuminati rispetto alla sofferenza e quando c'è la gioia apriti alla gioia. Considera allo stesso modo sofferenza e gioia, e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo. Come potrebbe non essere questa la gioia senza limiti della Legge?».10 Dobbiamo continuare a recitare Daimoku sia nei momenti dolorosi che in quelli felici. Qui l'accento è sulla parola "continuare" e la chiave risiede nel continuare a farlo nella sofferenza e nella gioia. Quando ci troviamo di fronte alla sofferenza non dovremmo arretrare ma illuminarci rispetto alla sofferenza. Non si tratta né di rassegnarsi né di cercare di fuggire dalla realtà ma di guardarla ben dritta in faccia e sfidarla coraggiosamente basandoci sul Daimoku. Il Daishonin spiega che questo è l'atteggiamento corretto per chi pratica la Legge mistica. La fede nel Buddismo del Daishonin è diretta costantemente alla trasformazione della realtà.
Naturalmente non è una condizione vitale che si ottiene da un giorno all'altro. Ma se continuiamo a sforzarci di migliorare noi stessi giorno dopo giorno, mese dopo mese e anno dopo anno con costanza e continuità, giungeremo senz'altro in maniera del tutto naturale a conseguirla così come si afferma nel sutra: «Questo cumulo di gioielli inestimabili è venuto a noi senza bisogno di cercarlo».11
Quando invece stiamo provando gioia dovremmo ricordarci di avere gratitudine e sforzarci ancor di più nella recitazione del Daimoku mirando allo scopo ultimo di raggiungere la Buddità in questa esistenza. È più difficile approfondire lo spirito di ricerca nella fede nei momenti belli piuttosto che in quelli brutti, perché nei momenti felici è più facile lasciarsi andare e accontentarsi di come siamo. Invece di essere persone forti nelle avversità ma deboli quando le cose vanno bene, dovremmo cercare di costruire quel tipo di fede invincibile che ci consente di «considerare allo stesso modo sofferenza e gioia».12
Una fede simile si forgia attraverso la pratica come membri della Soka Gakkai che si sforzano di realizzare il nobile obiettivo di kosen-rufu e della propria Illuminazione in questa esistenza. Soprattutto recitare Nam-myoho-renge-kyo, che è la maniera in cui «lucidiamo con cura il nostro specchio notte e giorno», rafforza la nostra vita nello stesso modo in cui una magnifica spada viene forgiata e temprata. Il punto cruciale qui è recitare Daimoku con un atteggiamento di sfida nei confronti delle difficoltà nei momenti di sofferenza e recitare Daimoku con apprezzamento e gratitudine nei momenti di gioia.
"Continuare" è un altro modo per dire "non retrocedere". Attraverso le pagine degli scritti di Nichiren Daishonin possiamo vedere quanta importanza egli attribuisca al non retrocedere mai e al non permettere che la propria fede si indebolisca. Per citare solo alcuni brani:
«Chi recita il Daimoku è l'inviato del Tathagata. Inoltre chi persevera di fronte a grandi persecuzioni [letteralmente "difficoltà", n.d.t.] e abbraccia il sutra dall'inizio alla fine è l'inviato del Tathagata».13
«Rafforzate la vostra fede giorno dopo giorno e mese dopo mese. Se vi rilassate anche solo un po' i demoni prenderanno il sopravvento».14 
«Porta avanti la tua fede nel Sutra de Loto. Se ti fermi a metà strada non potrai mai far scaturire il fuoco dalla pietra focaia».15
Senza una battaglia per vincere l'ignoranza e l'oscurità non possiamo manifestare la natura essenziale dei fenomeni o natura del Dharma. E, a meno che non continuiamo a ingaggiare questa battaglia sforzandoci nella fede, non possiamo costruire una condizione vitale incrollabile che sia una sola cosa con la natura del Dharma (cioè con la condizione vitale di Buddità). Questo perché se "ci rilassiamo anche solo un po'", come scrive il Daishonin, diventeremo vulnerabili alle influenze demoniache.
Inoltre quando ci sforziamo nella fede sorgono inevitabilmente i tre ostacoli e i quattro demoni ed è sconfiggendoli che possiamo stabilire lo stato vitale di Buddità. Quando purifichiamo la nostra vita al livello più fondamentale attraverso la pratica della recitazione del Daimoku possiamo approfondire, rafforzare ed espandere oltre ogni limite la nostra condizione spirituale. 

Nam-myoho-renge-kyo è una pratica diligente
Il Daishonin si sforzò di condividere la suprema condizione interiore del raggiungimento della Buddità in questa esistenza con tutti i suoi seguaci, e di fatto con tutta l'umanità. 
La vera grandezza della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo è che essa permette a ogni persona di manifestare la stessa condizione vitale del Budda e condurre un'esistenza di suprema profondità e significato, come indica il famoso brano della Raccolta degli Insegnamenti orali:
«Se in un singolo istante di vita esauriamo le sofferenze e gli sforzi di milioni di kalpa, allora istante dopo istante sorgeranno in noi i tre corpi del Budda16 di cui siamo eternamente dotati. Nam-myoho-renge-kyo è proprio una tale pratica diligente».17
Sin dal momento in cui mi fu spiegata dal secondo presidente della Soka Gakkai, Josei Toda, questa frase è diventata il motto in base al quale ho vissuto. In tutte le mie battaglie ho sempre tenuto a mente queste parole.
Il capitolo quindicesimo del Sutra del Loto, Emergere dalla terra, descrive l'apparizione dei Bodhisattva della Terra, un numero infinito di bodhisattva che emergono da sotto terra, e spiega che essi dimoravano nello spazio vuoto sottostante al mondo di saha e ricercavano la via del Budda con costanza e diligenza.18 Il brano citato dagli Insegnamenti oralichiarisce la natura di tale diligenza e di tale sforzo instancabile secondo il Buddismo del Daishonin.
L'essenza del Buddismo di Nichiren è che coloro che si sforzano assiduamente di ricercare la via del Budda manifestano automaticamente la condizione vitale del Budda eternamente dotato dei tre corpi, in altre parole fanno emergere la loro Buddità innata.
Quando recitiamo Daimoku concentrando in un singolo istante gli ardui sforzi di incalcolabili eoni, cioè «esauriamo le sofferenze e gli sforzi di milioni di kalpa», la condizione vitale del Budda eternamente dotato dei tre corpi (cioè la Buddità) appare dentro di noi momento per momento.
Nam-myoho-renge-kyo è una pratica che richiede diligenza. Per risvegliare una fede profonda e continuare costantemente a recitare Daimoku ci vuole davvero un impegno deciso e instancabile. Perseverare con coerenza e totale determinazione19 ci condurrà al raggiungimento della Buddità in questa esistenza. Attraverso tali sforzi la nostra Buddità intrinseca - il Budda eternamente dotato dei tre corpi - si manifesta in un inesauribile coraggio, perseveranza, gioia, saggezza e compassione.

Pregare perché appaiano giovani coraggiosi e pieni di vigore
"Esercitarsi" significa impegnarsi con coraggio e vigore. Senza coraggio ed energia non c'è vero impegno. Anche il primo presidente della Soka Gakkai, Tsunesaburo Makiguchi, condusse una vita di ricerca continua, coraggiosa ed energica. Una volta disse ai giovani: «Applicatevi con coraggio e vigore! Il Buddismo è azione; significa darsi da fare costantemente. È quello che faccio io, persino alla mia età».
Anche il presidente Toda disse ai giovani: «I giovani che desiderano la felicità dell'umanità dovrebbero per primi ricercare l'essenza di questa nobile filosofia della rivoluzione umana e impegnarsi con coraggio e vigore per combattere e vincere su ogni manifestazione dei tre potenti nemici, dei tre ostacoli e dei quattro demoni».
Io la penso allo stesso modo e prego ardentemente che in tutto il mondo appaiano discepoli coraggiosi e pieni di vigore, giovani coraggiosi e pieni di vigore. Ogni giorno prego per questo, con tutto il cuore.
Impegnarsi con coraggio e vigore è veramente il segno distintivo dello spirito Soka di maestro e discepolo.
Daimoku è la forza trainante del progresso e della vittoria. Ogni impresa dovrebbe iniziare con la preghiera. Nessuno può competere con coloro che recitano Daimoku con tenacia.
Recitiamo assiduamente Nam-myoho-renge-kyo mattina e sera, lucidiamo con cura la nostra interiorità e costruiamo una vita in cui conseguire una vittoria dopo l'altra.


Note

1)Il Sutra Vimalakirti è un sutra mahayana sulla figura di Vimalakirti, ricco ed eminente cittadino di Vaishali vissuto all'epoca di Shakyamuni. In questo sutra rappresenta il modello ideale di credente laico. L'originale sanscrito del sutra non è più esistente ma sono rimaste tre traduzioni cinesi fra cui quella di Kumarajiva che è la più famosa e alla quale di solito si fa riferimento.
2) Qui il Daishonin riassume vari brani del Sutra Vimalakirti e il relativo commento del Gran Maestro T'ien-t'ai. Il capitolo quinto del sutra Informarsi sulla malattia contiene il seguente dialogo: «"E come va ricercata l'emancipazione dei Budda?" chiese Manjushri. "Può essere ricercata nelle menti [...] di tutti gli esseri viventi" replica Vimalakirti» (The Vimalakirti Sutratradotto da Burton Watson dalla versione cinese di Kumarajiva, New York, Columbia University Press, 1977, p. 66).
3) Questo riassunto è basato sul brano: «Quando la mente è pura, la terra del Budda sarà pura», Ibidem, p. 29.
4) SDL, 104.
5) Vimalakirti dice: «Poiché tutti gli esseri viventi sono malati, io sono malato. Se tutti gli esseri viventi vengono liberati dalla malattia allora la mia malattia sarà curata. Perché? Perché un bodhisattva, per il bene degli esseri viventi, entra nel regno di nascita e morte, e poiché è nel regno di nascita e morte è sottoposto alla malattia. Se gli esseri viventi possono ottenere la libertà dalla malattia allora il bodhisattva non sarà più ammalato», The Vimalakirti Sutra, op.cit., p. 65.
6) Ibidem, p. 65 e sgg.
7) SDL, 29, giapp.: yumyo shojin.
8) Nel trattato Interpretare il testo in base al suo significato originale in Scritti in sei volumi, Nichikan Shonin scrive: «Dovreste comprendere che "esercitasi con coraggio e diligenza" (yumyo shojin) si riferisce alla fede e alla recitazione del Daimoku. Significa quindi recitare il Daimoku dell'insegnamento originale. "Con coraggio e diligenza" (yumyo) è riferito alla fede. Perciò un commentario afferma: "Yu (con coraggio) significa agire con coraggio; myo (con diligenza) significa utilizzare tutta la propria saggezza. Quindi "con coraggio e diligenza" significa far emergere coraggiosamente e appieno il potere della fede. Shojin (esercitarsi) significa recitare Daimoku. Un commentario afferma: "Sho (puro) significa incontaminato; jin (sforzo) significa avanzare incessantemente"».
9) SND, 4, 153.
10) vedi SND, 4, 157: «Soffri per quel che c'è da soffrire e gioisci per quello che c'è da gioire». La traduttrice ha scelto di riportare la citazione letterale del Gosho Zenshu come comparirà nella nuova edizione italiana degli Scritti di Nichiren Daishonin in fase di revisione e miglioramento, n.d.t.
11) SDL, 112. Queste parole piene di gioia vengono pronunciate dagli ascoltatori della voce, discepoli di Shakyamuni, quando apprendono di poter concretamente raggiungere la Buddità che prima gli era preclusa.
12) Vedi SND, 4, 157: «Considera entrambe, sofferenza e gioia, come fatti della vita» e precedente nota della traduttrice.
13) WND, 942; SND, 5, 129. 
14) SND, 4, 188.
15) SND, 4, 147.
16) I tre corpi del Budda sono il corpo del Dharma, il corpo di ricompensa e il corpo di manifestazione. Il corpo del Dharma è la verità fondamentale o Legge alla quale il Budda si è illuminato. Il corpo di ricompensa è la saggezza per percepire la Legge e il corpo di manifestazione sono le azioni compassionevoli che il Budda compie per condurre le persone alla felicità.
17) The Record of the Orally Transmetted Teachings (Ongi Kuden), Soka Gakkai 2004, p. 214 (di prossima pubblicazione in italiano su Buddismo e Società).
18) SDL, 289.
19) Quella che Nichiren nel Gosho definisce "unica mente", n.d.t.




Mente, cuore, vita. Un concetto difficile da esprimere

Mente, cuore, vita. Tre parole che nella nostra lingua possono indicare concetti anche molto diversi ma che spesso corrispondono, in particolare nei testi buddisti, allo stesso carattere giapponese: kokoro (o shin, che corrisponde alla seconda lettura dello stesso carattere). 
Nel Gosho Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza il termine kokoro o shin è stato tradotto quasi sempre con "mente" e talvolta con "vita": indichiamo di seguito in breve le ragioni di queste scelte. 
Kokoro shin in generale indica contemporaneamente sia la mente che tutte le attività umane di cui essa sarebbe il centro, non solo quindi del pensiero e della volontà ma anche dei sentimenti.
Nel principio buddista di shikishin funi, non dualità di corpo e mente, shin (mente) è utilizzato in opposizione a shiki (corpo) - tutto ciò che ha forma e colore, ossia l'aspetto fisico dell'esistenza - e indica quindi ciò che non ha né forma né colore, l'aspetto mentale e psichico della vita. 
Dunque kokoro o shin designa sia la mente che tutte le funzioni mentali,1 come ad esempio la fede o la fiducia, la determinazione, il coraggio, la compassione, ecc., altre espressioni con cui spesso questo termine viene tradotto. 
Anche se in italiano è stato reso a volte con il termine "cuore", non risulta che vada mai interpretato come "cuore" nel senso di "sede dei sentimenti" separatamente da "mente" intesa come "sede del pensiero", ma piuttosto in termini di "vita" che può essere profondamente diretta verso la Legge o verso l'errore. Prendiamo ad esempio la seguente affermazione di Daisaku Ikeda: «Buddismo è vincere o perdere, ma cosa esattamente ci permette di vincere? È il nostro cuore, la nostra mente. Tutto dipende dal fatto che il nostro cuore si trovi dalla parte della Legge corretta e non dell'errore. Quando il Daishonin afferma che il Buddismo riguarda la vittoria o la sconfitta sta riferendosi a questa lotta che avviene nel profondo del nostro cuore» (MDG, 2, 287). Il termine qui tradotto con cuore e con mente è sempre kokoro. 

Il Grande dizionario della filosofia buddista2 fornisce la seguente definizione di kokoro eshin: «"La mente principale che dà luogo alle funzioni mentali". Termine usato in relazione a "corpo" nel principio di non-dualità di corpo e mente (shikishin funi)». 
Lo stesso dizionario offre anche i seguenti approfondimenti: «Il Gran maestro T'ien-t'ai, nel quinto volume di Grande concentrazione e visione profonda, parla di tremila regni in un singolo istante di pensiero e chiarisce il principio secondo cui una singola mente compenetra perfettamente l'intero mondo dei fenomeni. Il Gran maestro Miao-lo eredita questo insegnamento ed espone, tra i "dieci principi di non-dualità", il principio secondo cui l'aspetto fisico e quello mentale o psichico della vita sono non-duali (shikishin funi). Inoltre Nichiren Daishonin nella Raccolta degli insegnamenti orali dice: "L'insegnamento fondamentale ci dice che forma e mente non sono due cose"3. [...] 
Nel quinto volume di Grande concentrazione e visione profonda si trova scritto: "Una singola mente è dotata dei dieci mondi. Poiché un mondo a sua volta è dotato di dieci mondi, ci sono cento mondi. Poiché un mondo è dotato di trenta regni, in cento mondi esistono tremila regni. Questi tremila regni in un istante indivisibile sono tutti presenti in una singola mente. Se non c'è una mente allora il discorso è chiuso, ma se c'è una mente anche estremamente debole, essa allora è dotata dei tremila regni. Non si può dire che una singola mente preceda tutti i fenomeni e che questi vengano dopo di essa, né si può dire che tutti i fenomeni precedano una singola mente e che questa venga dopo di essi. [...] Se una singola mente generasse tutti i fenomeni, allora sarebbe trascendente. Se invece una singola mente includesse tutti i fenomeni nello stesso momento allora sarebbe immanente. Ma non si può dire né che sia trascendente né che sia immanente. Quel che si può dire è che la mente è tutti i fenomeni e che tutti i fenomeni sono la mente. Essa non è né trascendente né immanente, non è una con i fenomeni né è diversa da essi. Ciò è estremamente oscuro, misterioso e profondo [...]". In questo caso singola mente e mente in un singolo istante vengono usati col significato di vita».
Dunque qui "mente" ha il significato di "vita". Perché? 
Secondo il Buddismo mahayana, e in particolare nella scuola di Vasubandhu (la scuola della Mente come unica realtà), la vita era definita in termini di flusso di istanti di coscienza, o di mente, legati da un rapporto causale. Fintanto che questo flusso è oscurato dall'ignoranza continuerebbe a portare con sé i semi del karma passato che, in qualità di cause e quindi di potenzialità in esso impresse, continuerebbero a determinare il nostro futuro. In questi termini, "mente" intesa come flusso di istanti di coscienza indicherebbe il cumulo delle cause, o semi, della produzione di tutti i fenomeni, ossia la sorgente fondamentale dalla quale sorgono tutti i fenomeni (l'ottava coscienza, la coscienza deposito o alaya). 
T'ien tai eredita questo concetto e, in Grande concentrazione e visione profonda, interpreta il termine sanscrito citta, di cui kokoro o shin è la traduzione in cinese, come proveniente dalla radice del verbo ci, accumulare, e lo spiega in termini di "nucleo degli aggregati combinati che formano un essere vivente". 

(a cura della redazione)

1) Fattori mentali associati, cfr. P. Cornu, Dizionario del Buddhismo, Bruno Mondadori, 2003.
2) Terza edizione, Soka Gakkai 2000, traduzione dal giapponese.
3) Buddismo e società, n. 109, p. 40.

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