giovedì 4 ottobre 2018


STORIE DI UN MONDO ANTICO

di guido michi

TRA STORIA E FANTASIA


Era all’incirca l’anno 1963, le scuole terminate ed i risultati pubblicati negli appositi cartelloni. La tanto attesa e sperata parolina “PROMOSSO” accanto al mio nome. La primavera era agli sgoccioli e stava già scoppiando un’estate che si preannunciava particolarmente calda. Come tutti gli anni il nostro professore di Costruzioni ci aveva dato un compito per le vacanze estive lasciando alla nostra scelta il tema da trattare. Io avevo scelto le ville antiche sulle colline di Firenze. La mattina preannunciava una giornata piuttosto calda, il cielo era terso, di un azzurro quasi abbagliante le rondini numerose svolazzavano alte in cerca del loro cibo preferito-insetti- al che decisi di anticipare i tempi per realizzare il compito che avevo scelto. Mi armai della mia macchinetta fotografica a fuoco fisso e con l’autobus mi diressi verso il PIAZZALE MICHELANGELO che gli antichi chiamavano MONS FLORENTINUS.
Giunto allo chalet FONTANA pensando che quello fosse un luogo adatto per la mia ricerca scesi dal bus ed indeciso se prendere la stradina che scende verso il Forte di San Giorgio meglio conosciuto come forte Belvedere o le stradine che salgono verso Arcetri dove si trova il celebre osservatorio astronomico e nelle cui vicinanze c’è la dimora di GALILEO GALILEI nel periodo dell’esilio a seguito delle note vicende che lo videro coinvolto con la chiesa cattolica.
Decisi di salire e mi  inoltrai in una stradina stretta pavimentata con un lastricato sconnesso dal tempo e dalle intemperie. Era incassata tra due muri che avevano l’intonaco scrostato in molti punti, era in leggera, dolce e costante pendenza. Fatti alcuni passi mi rigirai ed allora si mostrò ai miei occhi uno spettacolo di stupefacente bellezza. Il cielo era di un azzurro intenso anche se mostrava alcune leggerissime venature biancastre, sulla sinistra si stagliava la grossa ed elegante mole del Forte di Belvedere ed accanto più in basso cominciava ad apparire il rosso della copertura della cupola del Brunelleschi con accanto il campanile di Giotto, il mio sguardo continuò fino ad incontrare l’elegante forma della torre di Arnolfo che caratterizza Palazzo vecchio, di fronte a tanta bellezza non potei fare a meno di scattare alcune foto.
Il Forte di SAN GIORGIO o BELVEDERE fu fatto realizzare dal terzo GRAN DUCA di TOSCANA FERDINANDO I DE’ MEDICI tra il 1590 ed il 1595.

Lo spostamento definitivo della corte granducale da Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti, avrà certamente influenzato la decisione di realizzare la nuova fortezza a ridosso delle mura che circondavano il giardino di Boboli contiguo a Palazzo Pitti. Il principe e la corte avrebbero raggiunto, in caso di pericolo interno, in velocità e sicurezza un rifugio fortificato da dove si poteva dominare la città.
Il diarista fiorentino Agostino Lapi così lasciò scritto in data 28 ottobre 1590: “… si murò la prima pietra del fondamento primo della nuova muraglia e maravigliosa fortezza, posta sopra Porta San Giorgio…nell’Orto de’Pitti li inventori e li architettori principali furono il signor Giovanni figlio del Granduca Cosimo e Messer Bernardo Buontalenti di ingegno elevatissimo”.
Per la realizzazione quindi di questa formidabile fortezza “a guardia della città e del palazzo” il Granduca Ferdinando si rivolse a due architetti esperti nelle fortificazioni: Bernardo Buontalenti e Don Giovanni de’ Medici, fratellastro dello stesso Granduca. La coppia, assistita da Alessandro Pieroni, lavorerà al progetto.
Sappiamo, da un disegno dell’epoca, che la fortificazione doveva essere ancora più complessa con una serie di bastioni e tenaglie pronti a inglobare le antiche mura e le difese più recenti per rendere ancora più efficace la difesa dall’esterno. Comunque la spettacolare struttura messa in atto sulla sommità del colle di Boboli ancora impressiona per potenza e eleganza.
La caratteristica pianta stellare, prevista dalla trattatistica per le fortezze poste in luoghi con accentuate variazioni altimetriche, è definita con cinque bastioni dei quali due rivolti verso la città (con i nomi suggestivi di Boboli e Le Monache) con al centro un contrafforte triangolare detto la Diamantina, e gli altri tre posti a difesa di Firenze ( chiamati La Pace, Casin Interno e San Giorgio) verso le colline di San Miniato e Arcetri.
E’ importante sottolineare come la palazzina, forse di disegno ammanatiano, fosse preesistente alla realizzazione del forte che la ingloba e che rappresentasse un reale “belvedere” ad uso della corte granducale. La palazzina divenne il centro di comando della fortezza e nei suoi sotterranei venne realizzata una vera e propria camera “blindata” in grado di tenere al sicuro, grazie a una serie di accorgimenti e trabocchetti, il tesoro di stato. Per secoli il Forte del Belvedere ha assolto alla sua funzione militare, senza peraltro subire attacchi né esterni né interni.

Come detto stavo percorrendo questa stretta stradina che ascendeva con una pendenza che stava pian piano aumentando, Sembrava un piccolo fiume incassato tra due muri scrostati dall’usura del tempo che in alcune parti erano ricoperti da piante rampicanti simili all’edera. Il caldo cominciava a farsi sentire ed il silenzio era interrotto dal cinguettio di qualche uccellino e dal frinire delle cicale. I muri che delimitavano la stradina che diventava sempre più tortuosa in alcuni punti erano parzialmente crollati e sostituiti da una rete metallica completamente arrugginita. Dalle rotture dei muri era possibile  vedere i campi coltivati ad ulivi ed in mezzo ai quali c’erano macchie coloratissime  di giaggioli od IRIS FIORENTINA ed i colori che prevalevano erano il bianco, il viola, il giallo e spandevano nell’aria un dolce ed intenso profumo.
Mi ricordo quando ero bambino  c’era un vecchio signore che coltivava questa straordinaria pianta dalle cui radici otteneva dei tuberi che dopo aver attentamente ripuliti dalla terra, tagliava a fette sottili che faceva essiccare al sole su grandi graticole che poi  rivendeva alla FARMACIA DI SANTA MARIA NOVELLA da dove venivano realizzate delle essenze base per produrre pregiati e raffinati  profumi.
L’IRIS FIORENTINA GIGLIO DI FIRENZE:


Il Giglio di Firenze è il simbolo della città fin dal secolo XI. Al contrario della blasonatura attuale anticamente i colori erano invertiti. La sua origine è incerta, tra le varie leggende sorte in merito vi è quella che vede derivare l'abbinamento della città (Florentia) con il fiore perché la sua fondazione da parte dei romani avvenne nell'anno del 59 a.C., durante le celebrazioni romane per l'avvento della primavera, i festeggiamenti in onore alla dea Flora (Ludi Florales o Floralia - giochi e competizioni pubbliche) che si svolgevano dal 28 aprile al 3 maggio. L'associazione tra i festeggiamenti e il nome venne spontanea come accadde successivamente tra il nome e i fiori numerosi che crescevano intorno; un'altra leggenda vede derivare nome e simbolo dal mitico fondatore Fiorino, pretore romano, perito durante l'assedio di Fiesole. In merito al giaggiolo (“Iris germanica variante florentina”, detto giglio di Firenze o giaggiolo bianco), specie che cresce numerosa e florida nei dintorni della città e da cui il simbolo con tutta probabilità discende, vi è da dire che esso ebbe sempre vari significati allegorici, tra cui quello di simbolo di purezza che lo rendeva il fiore della Madonna, non si può perciò escludere che l'adozione del giglio quale simbolo della città sia da ricondurre a una manifestazione di culto mariano risalente forse al IX secolo. Comunque esso veniva già usato come propria insegna dai fiorentini alla prima crociata.
I colori attuali risalgono al 1251 quando i Ghibellini, in esilio da Firenze, continuavano a ostentare il simbolo di Firenze come proprio. Fu allora che i Guelfi, che controllavano Firenze, si distinsero dai propri avversari invertendo i colori che poi sono rimasti fino ai giorni nostri. Nel 1252 compare sulla prima emissione del fiorino. Ai tempi del Comune di Firenze, il giglio era il simbolo della città, talvolta rappresentato su uno scudo retto dalla zampa di un leone (il cosiddetto marzocco). In seguito venne imposto ai territori sotto il dominio fiorentino (e ancora oggi il simbolo di Castelfiorentino e Scarperia ad esempio), ma con l'importante differenza di essere privo degli stami, organi atti alla riproduzione.
Il tradizionale simbolo fiorentino subì nel 1809 un tentativo di sostituzione del governo napoleonico che, con un decreto del 13 giugno 1811, provò a imporre un nuovo simbolo per Firenze: una pianta di giglio fiorito su un prato verde e uno sfondo argentato.
sormontato da un capo di rosso a tre api d'oro (il capo indicava l'appartenenza di Firenze alle classe delle grandi città dell'impero napoleonico (le cosiddette bonne ville). Il dissenso fiorentino non fece dare seguito al decreto.
Nel percorrere la stradina che si inerpicava verso il colle di San Miniato e quello di Arcetri, finalmente giunsi ad un bivio e senza pensarci su decisi di prendere la deviazione posta a sinistra ed in base all’orientamento ero certo che essa mi avrebbe condotto verso SAN MINIATO. Ma che santi strani e stranieri ha Firenze. SAN GIOVANNI, il patrono, SANTA REPARATA, colei a cui era dedicato il vecchio Duomo e poi questo SAN MINIATO.
SAN MINIATO:

E’ stato un santo venerato, ed importante almeno nel Medioevo, in Toscana più che altrove. Narra la leggenda che Miniato fosse un re armeno il quale, di passaggio a Firenze nel 250 d.C., durante una delle tante persecuzioni contro i Cristiani, rifiutatosi di venerare l’imperatore Decio e gli dei, fu condannato a morte. Narra la leggenda che nell’anfiteatro (di cui ancora oggi si riconosce il perimetro nell’andamento di alcune case e alcune vie vicino a Santa Croce) fu sottoposto alle più svariate torture dalle quali uscì, però, sempre indenne. Solo il definitivo taglio della testa lo uccise. O forse no, perché Miniato si prese la testa sottobraccio, corse fuori da Florentia, attraversò l’Arno e salì sul Mons Florentinus. Qui, finalmente, giacque e sul luogo della sua morte fu costruita, poi, la chiesa di San Miniato al Monte.
Una versione meno fantasiosa della leggenda, senza andare a scomodare i re armeni, sostiene che Miniato fosse un soldato romano di Florentia. Non cambia però la sostanza, perché per il resto la leggenda è uguale e porta alla giustificazione del perché la splendida chiesa di San Miniato al Monte fu eretta in quella posizione, in collina, dominante sull’Arno e sulla città.
La leggenda di GIOVANNI GUALBERTO VISDOMINI  fondatore dell’ordine dei Valombrosani divenuto santo e PATRONO DEI FORESTALI 


Prendo a prestito  alcune righe dalla Splendida storia di Firenze di Piero Bargellini, in cui recita: “Uscendo da Porta San Miniato, lungo la stradetta, che serpeggiando tra gli olivi, sale all’antico monastero, si vede sulla facciata d’una casa, un grande tabernacolo, da poco restaurato, che ricorda il perdono di Giovanni Gualberto.”
Da questo tabernacolo parto oggi per ricordare un avvenimento che fa parte della più antica agiografia su Giovanni Gualberto.
Le antiche Vitae del santo (se ne conoscono quattro: una scritta da Andrea Strumi da Parma, una da Attone da Pistoia, e due anonime) riportano sostanzialmente lo stesso episodio: Giovanni, rampollo della nobile famiglia fiorentina dei Visdomini, perde il fratello in un agguatoteso da una potente famiglia avversaria e si impegna per questo, come avveniva di solito all’epoca, a non darsi pace fino a che non avesse avuto la propria vendetta.Incontra casualmente l’uccisore del fratello, un giorno, appena fuori l’attuale Porta di San Miniato, mentre scende dal Pian dei Giullari alla chiesa di San Niccolò Soprarno, e lì, vistosi perso e senza via di fuga, il suo avversario si prostra con le braccia in croce per ricevere il primo colpo.
E’ il momento in cui Giovanni, colto da immediata ispirazione, riconosce nel nemico con le braccia in croce il Cristo Crocifisso: raccontano le Vitae che Giovanni perde di colpo ogni velleità di vendetta, rialza l’assassino di suo fratello e lo perdona. Secondo i suoi agiografi, Giovanni desiste dal suo proposito omicida perchè ha riconosciuto nella croce disegnata dal suo avversario il Cristo che, sulla croce, ha perdonato i suoi persecutori, e decide per questo di farsi imitazione del Crocifisso.
La nota leggenda tramandataci prosegue con Giovanni che, assieme all’avversario risparmiato, sale dalla Porta alla vicina basilica di San Miniato. Insieme si inginocchiano a pregare e, sempre secondo la leggenda, il Crocifisso cui si rivolgono i due oranti miracolosamente annuisce a dimostrare l’approvazione per il gesto di perdono compiuto da Giovanni.
Oltrepassata una curva finalmente mi ritrovai di fronte all’oggetto della mia ricerca. Un edificio cinquecentesco composto da due piani, il terreno ed il primo. Al piano terreno sul lato destro vi erano due finestre una delle quali finta al fine di creare una forma simmetrica alla facciata e a sinistra un ampio portone verniciato di verde scuro. Sia le finestre che il portone erano ad arco i cui ritti e gli stessi archi realizzati con un bugnato ben lavorato, salvo qualche crepa dovuta al trascorrere del tempo, in pietra serena. Le tre finestre poste al primo piano erano rettangolari chiuse da persiane piuttosto sgangherate e in molti punti ormai prive del loro colore. La finestra vera del piano terreno era protetta da una robusta inferriata ben lavorata e sulle ante del portone vi erano due grossi batacchi a forma di anello con all’interno una figurina che somigliava al famoso DIAVOLETTO DEL GIAMBOLOGNA. Sotto le due finestre del piano terreno a mo’ di decorazione, con le tecnica dello stiacciato, erano riprodotte due grandi teste di pipistrello con le ali ben aperte. Motivo ornamentale, questo, che ritroviamo spesso nei palazzi realizzati nello stesso periodo del nostro palazzotto.
Firenze  pullula di leggende e di cuirosità legate al passato. Tra queste c'è quella di una scultura posta in  un angolo di strada: si tratta di un Diavolo, che si trova a Palazzo Vecchietti, nella via che porta lo stesso nome.

Fu proprio vicino a quell'angolo del palazzo che, nel 1243, San Pietro Martire fece una predica per la crociata contro i Patarini. La leggenda dice che mentre l'uomo parlava, improvvisamente arrivò un cavallo nero verso la folla di fedeli. Tutti pensarono che doveva trattarsi sicuramente del Diavolo! Munitosi di preghiere e croci, il futuro santo allontanò l'animale malefico.

Passò il tempo e nel 1584 l’allora proprietario del palazzo, Bernardo, diede allo scultore fiammingo Giambologna (Jean de Boulogne) l'incarico di rinnovare il suo palazzo. Fu proprio il Giambolgona che, in un angolo, pose quel demone scolpito e, secondo la leggenda, si ispirò al Diavolo, ricordando così la sua apparizione.

Questo palazzotto era circondato da campi coltivati ad olivi nella buona tradizione fiorentina che anche le lussuose ed imponenti ville dovevano essere anche aziende agricole e così allo stesso tempo si univa l’utile al dilettevole
Tutto sembrava abbandonato da tanto tempo e mentre scattavo le foto che mi sarebbero servite per la mia ricerca ebbi la netta sensazione che qualcuno o qualcosa mi stesse osservando da l’unica persiana leggermente socchiusa al primo piano.
Ed infatti, di li a poco…………..
Ed infatti, di li a poco…………il grande portone verde si  aprì e dal piccolo spiraglio, una vocina flebile
-giovanotto, giovanotto!
Ed io stupito guardai verso la porta cercando di mettere a fuoco la figurina che si appena si intravedeva dentro quello piccolo spicchio di porta semi aperto. Mi portai le punta della mano destra sul petto un modo di dire a quella persona invisibile che mi stava chiamando:
-dice a me?
-si giovanotto dico proprio a lei, è così buono e gentile a venire dentro per darmi una mano?
Allora mi avvicinai con passo esitante e solo in quel momento vidi la figurina esile di una vecchia signora tutta vestita di nero in una foggia un po’ démodé.
-giovanotto mi perdoni…..perdoni la mia sfacciataggine, ma sa io son sola e come può vedere piuttosto in la con gli anni. Ho una vecchia pendola di quelle che battono le ore con un bel suono di campane , mi si è fermata perché ha finito la carica ed io non ce la faccio a rimetterla in funzione.
-volentieri signora, ci mancherebbe!
A quel punto lei aprì un varco più ampio per farmi entrare in casa, si scostò quasi non volesse toccarmi o essere toccata.
Il piano terreno era costituito da un unico grande ambiente che su un lato aveva un grande camino in pietra serena con sulla cappa un grande stemma gentilizio pure esso in pietra, il tutto era annerito dal fumo prodotto dal fuoco anche se aveva tutta l’apparenza di non essere stato utilizzato almeno negli ultimi tempi. Nella parete opposta c’era una monumentale credenza di legno massiccio completamente disadorna. E nel mezzo della stanza due seggioloni a spalliera alta nel cui centro c’era impresso lo stesso stemma visibile sul camino.
Un po’ di luce filtrava dalla persiana sgangherata della finestra che dava sulla strada e di fronte c’erano altre due porte finestra anch’esse chiuse da persiane  in mal arnese. Vicino alla credenza c’era la pendola che in effetti non dava segni di vita.
Solo a quel punto vidi la signora, una figurina minuta tutta vestita di nero e da una specie di corpetto usciva  una camicia bianca con un alto collo increspato che per chiusura usava una spilla dorata ove era dipinto un volto probabilmente di uomo che io non potevo ben distinguere a causa della distanza e della piccolezza del gioiello.
Un volto minuto incorniciato da capelli candidi raccolti nella nuca ma ciò che mi impressionò di più furono gli occhi di un azzurro intenso, come il cielo di quella giornata di inizio estate, privi di vita e con una  innaturale fissità.
Dopo aver aperto il grande sportello a vetri della pendola con una chiavetta riposta su un ripiano cominciai a caricare il vecchio orologio, fatto ciò cominciai a girare le lancette delle ore  e dei minuti fino ad arrivare all’ora giusta che era mezzogiorno meno un quarto, dopo di che con un colpetto al pendolo  rimisi in azione lo strumento, richiusi lo sportello dopo aver rimesso al suo posto la chiavetta:
-grazie giovanotto, non so come ringraziarla, per fortuna ho trovato una persona gentile e disponibile, cosa non facile ai giorni nostri, purtroppo in casa non ho niente da poterle offrire, sa sono sola e son secoli che qualcuno viene a trovarmi, ma prego si sieda mi faccia un po’ di compagnia se questo non le crea disturbo!
Io guardandola con tenerezza pensavo “POVERA VECCHIETTA, LA SOLITUDINE DEVE ESSERE VERAMENTE UNA BRUTTA BESTIA CHE FA PERDERE ANCHE UN PO’ LA TESTA, ADDIRITTURA SECOLI CHE NESSUNO LE FA VISITA? MA NON AVRA’ FIGLI O MAGARI QUALCHE PARENTE? Decisi di accontentarla e mi misi a sedere sul seggiolone che mi era più vicino il quale scricchiolò in modo inquietante sotto il mio peso.
La vecchia signora mi guardò  ed i suoi occhi immobili mi sembrava che esprimessero un misto di tristezza e rassegnazione.
-Caro giovanotto mi voglio presentare il mio nome è Eleonora come la nostra grande signora e lei come si chiama?
La grande signora? Chi sarà mai questa grande signora mah, questa sua strana affermazione mi incuriosiva.
, che strana donna è mai questa?
-Signora Eleonora io mi chiamo Guido
-Un bellissimo nome Guido si è veramente un bellissimo nome!
Ed io per cortesia ribattei
-anche Eleonora è un bellissimo nome!
-grazie Guido lei è veramente gentile!
Dopo essersi rassettata i capelli iniziò la sua strana  narrazione:
-Caro Guido mi permette di chiamarla semplicemente con il suo nome?
Io annuii facendo un semplice cenno con la testa e lei continuò con una vocina flebile e monocorde:
-caro Guido, come ho avuto modo di dirle io vivo da sola ormai da tanto, tanto tempo.
Si soffermò un attimo per riprendere fiato e forse per riordinare le sue idee …….
-ero sposata con un bellissimo giovane alto, forte, coraggioso con dei bei riccioli ed una barba folta nera come le ali di un corvo, la guerra……si la guerra me lo portò via che ero ancora molto giovane. Morì vicino a…….non ricordo bene mi sembra che il paese si chiamasse Montalcino, un paese vicino alla nemica ed odiata Siena.
A queste affermazioni pensavo Montalcino ? Odiata Siena ? ma di cosa sta parlando e cominciavo ad essere a disagio.
-Quando il mio Duccio morì stavo aspettando una creatura che nacque pochi giorni prima del Santo Natale ed io in memoria del padre chiamai Duccio.
Anche come il padre era bello alto forte con un cuore gentile ed allo stesso tempo impavido ed aveva solo sedici anni che entrò al servizio di monsignore Francesco.
Questa sua strana narrazione mi incuriosiva sempre di più ed ero sempre più convinto che questa stranissima vecchietta fosse totalmente fuori di testa…………..

La vecchia signora continuò con questa sua storia originale che mi metteva sempre più a disagio:
-si entrò al servizio di monsignor FRANCESCO e questo era un grande onore e foriero di una carriera molto luminosa. Era la festa di nostra signora Maria madre di Dio che si teneva nel santuario a Lei dedicato che si trova vicino all’ospitale ove vengono accolti i poveri orfanelli.
Si fermo’ un attimo mise educatamente le mano destra sulla bocca e due colpetti di tosse per schiarire la sua voce che era sempre più flebile.
-Il corteo era bellissimo. Il nostro potente signore era preceduto da un gruppo di guardie armate a sua protezione ed al suo fianco cavalcava su un bel cavallino baio il mio Duccio bello come il sole ed ammirato dalla folla che si assiepava per vedere sfilare in parata tutti i potenti di Firenze. Giunti davanti al santuario il mio Duccio balzò giù dal suo cavallo per aiutare il suo signore a discendere dalla sua maestosa cavalcatura. Uno scarto del cavallo non consentì al mio adorato figlio di ben sorreggere monsignor Francesco il quale a causa di ciò cadde rovinosamente a terra battendo le regali terga sul selciato. Si sa che il popolino non ami i potenti ed alla visione del suo signore che in modo ignominioso era caduto a terra dalla folla si sollevarono grasse risate.
Monsignor Francesco iratissimo nei confronti del popolo ignorante ma soprattutto nei confronti di mio figlio che con la sua imperizia lo aveva messo alla berlina estrasse il pugnale che teneva in un fodero appeso ad una cintura e trafisse nel cuore il mio povero ragazzo il quale stramazzò senza vita su quel selciato ove pochi istanti prima era caduto monsignor Francesco, il quale senza degnare neanche di uno sguardo il corpo di quel giovane entrò in chiesa per non perdere le funzioni religiose che di lì a poco sarebbero iniziate, nel contempo il popolino di fronte a questa scena rimase in silenzio e pian piano si disperse.
Un frate Domenicano ed alcune pie donne accompagnate da due villici mi riportarono il corpo senza vita del mio ragazzo il cui corpo fu ripulito dal sangue ed avvolto in un sudario e dopo una breve cerimonia funebre fu collocato nell’avello di famiglia che si trovava e si trova nella chiesa di Santa Maria Novella.
La signora si fermò un attimo si coprì i suoi occhi inespressivi e mentre io ero sempre più in difficoltà ed a disagio a causa di questo stranissimo racconto riprese a parlare:
-due giorni dopo a casa mia, allora abitavo vicino allo spedale che fu fondato da messer Folco Portinari, arrivò un emissario del nostro sovrano monsignor Cosimo, padre dell’assassino di mio figlio, il quale mi consegnò un sacchetto contenente alcuni ducati d’oro e mi impose di trasferirmi in questa proprietà lontana dalla città perché la mia presenza sarebbe stata di scandalo ed avrebbe messo in cattiva luce la famiglia che stava governando Firenze e la Toscana. E da allora questa è la mia casa prigione !
Il racconto era terminato ed io sempre più imbarazzato decisi che era l’ora di andarmene da quel luogo strano e sinistro.
-signora Eleonora la ringrazio della sua ospitalità ma come vede è già mezzogiorno e mezzo ed io devo andare a casa che i miei mi stanno aspettando!
-Vada pure Guido  sono io che la ringrazio per avermi aiutato a rimettere in moto la mia pendola e per aver ascoltato le disgrazie di questa povera vecchia!

Si scostò ed io chinai la testa in segno di saluto aprii non senza difficoltà il pesante portone che fece un rumore lamentoso, lo richiusi dietro le mie spalle e mi ritrovai nella stradina che era inondata da un caldo ed abbagliante sole di fine primavera. Non ricordo come sono arrivato alla fermata del Bus che stava arrivando in quel momento. Feci cenno che si fermasse ed appena aperta la portiera salii rapidamente sul mezzo che mi avrebbe ricondotto a casa alla mia normalità e in quel momento mi sentii al sicuro ricuperando tutta la mia stabilità emotiva.
Trascorsero alcune settimana e non mi riusciva di togliermi dalla mente quello strano racconto di quella stranissima vecchietta. Ero alla vigilia  della mia partenza per andare a completare le mie vacanze in montagna, l’estate era scoppiata ed io avevo bisogno del fresco che sicuramente avrei trovato sulle montagne pistoiesi, però prima di partire decisi di tornare a quella misteriosa villa che si trovava sulle colline fiorentine tra Arcetri e  San Miniato.
Era una mattina molto calda il cielo era di un azzurro sbiadito solcato da alcune rondini che volavano molto in alto. Il silenzio della campagna era interrotto dal frinire delle cicale e dal rumore prodotto da altri numerosi insetti.
Arrivai davanti alla casa  notai che era desolatamente abbandonata, guardai le finestre al primo piano ma non scorsi niente che desse un segno di vita. Allora mi decisi presi uno dei pesanti battenti e detti tre colpi, aspettai qualche attimo nella speranza che qualcosa si muovesse all’interno di quelle vecchie mura ma non successe niente. Riprovai con altri tre colpi dati con maggior energia e mi scostai dalla porta per vedere se al primo piano qualcosa si movesse, ma ancora niente e mentre ero dubbiose se ritentare o andarmene, perché pensai che la vecchia era stata portata via magari in un ospizio ove si potessero prendere cura di lei e della sua mente sconvolta una voce baritonale mi fece soprassalire:
-Ei giovanotto che cerca in quella casa?
Io mi girai e mi trovai davanti la figura massiccia di un vecchio che si appoggiava su un nodoso bastone: Pantaloni di fustagno, scarponi, camicia con il colletto slacciato, un pesante gilet con una vistosa catena che passava da un taschino all’altro, una giubba sulle spalle e sulla testa un cappellaccio  a larghe tese  dal quale uscivano ciocche di capelli bianchi come bianchi erano i  baffoni che ornavano il suo labbro superiore. L’abbigliamento di questa persona mi sembravano fuori luogo data la stagione, la figura di questo vecchio sembrava uscita da un quadro di  GIOVANNI FATTORI.
-ei giovanotto in quella casa non abita più nessuno da decenni
Io cercai di interromperlo
-ma veramente io……
Lui imperterrito continuava senza starmi ad ascoltare
-gli ultimi che l’hanno abitata erano inglesi o forse americani che sono partiti perché avevano paura di essere bloccati dalla guerra che di li a poco avrebbe sconvolto il mondo era il 1937 o forse era il 38 non mi ricordo bene sa la vecchiaia fa brutti scherzi e poi in quella casa non ci è voluto più abitare nessuno…….sa ci si vede e ci si sente!
Io
-che cosa ci si sente e ci si vede?
-ragazzo mio i fantasmi, ad esempio quello di una vecchietta che è disperata per l’immatura morte del figlio!
A queste parole sentii un brivido freddo per tutta le schiena nonostante il caldo soffocante di quel giorno d’estate ed i peli dei bracci si rizzarono come se vi fosse passata una corrente elettrica.
Sempre il nostro vecchio
-allora giovanotto crede o non crede ai fantasmi ?
Io un po’ impacciato
-veramente, veramente direi di no
Mentre dicevo queste parole mi rigirai verso la casa per vedere se qualcosa si muoveva al suo interno, e mentre facevo ciò, una voce rimbombava alle mie spalle:
-fa male a non credere ai fantasmi, fa male
Di scatto mi rigirai e del vecchio non c’era più nessuna traccia. Quasi di corsa superai la semi curva per vedere dove era andato ma nel lungo rettifilo non c’era nessuna traccia di questo personaggio, come è mai possibile che un vecchio con difficoltà di deambulazione possa aver corso tanto per sparire così rapidamente?  fui preso dal panico e mi buttai a rotta di collo verso il viale e mentre nelle orecchie mi rimbombavano le parole:
-fa male a non credere……
Mi ritrovai alla fermata del bus finalmente in salvo e lontano da quel luogo misterioso che rischiava di mandarmi fuori di testa.
Son passati gli anni ed ancora ogni tanto mi ricordo questa strana avventura che io corsi in alcune calde giornate di  fine primavera e di inizio estate.
Il tutto tra storie e fantasia!





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