STORIE DI UN MONDO ANTICO
di guido michi
TRA STORIA E
FANTASIA
Era
all’incirca l’anno 1963, le scuole terminate ed i risultati pubblicati negli
appositi cartelloni. La tanto attesa e sperata parolina “PROMOSSO” accanto al
mio nome. La primavera era agli sgoccioli e stava già scoppiando un’estate che
si preannunciava particolarmente calda. Come tutti gli anni il nostro
professore di Costruzioni ci aveva dato un compito per le vacanze estive
lasciando alla nostra scelta il tema da trattare. Io avevo scelto le ville
antiche sulle colline di Firenze. La mattina preannunciava una giornata
piuttosto calda, il cielo era terso, di un azzurro quasi abbagliante le rondini
numerose svolazzavano alte in cerca del loro cibo preferito-insetti- al che
decisi di anticipare i tempi per realizzare il compito che avevo scelto. Mi
armai della mia macchinetta fotografica a fuoco fisso e con l’autobus mi
diressi verso il PIAZZALE MICHELANGELO che gli antichi chiamavano MONS
FLORENTINUS.
Giunto allo
chalet FONTANA pensando che quello fosse un luogo adatto per la mia ricerca
scesi dal bus ed indeciso se prendere la stradina che scende verso il Forte di
San Giorgio meglio conosciuto come forte Belvedere o le stradine che salgono
verso Arcetri dove si trova il celebre osservatorio astronomico e nelle cui
vicinanze c’è la dimora di GALILEO GALILEI nel periodo dell’esilio a seguito
delle note vicende che lo videro coinvolto con la chiesa cattolica.
Decisi di
salire e mi inoltrai in una stradina
stretta pavimentata con un lastricato sconnesso dal tempo e dalle intemperie.
Era incassata tra due muri che avevano l’intonaco scrostato in molti punti, era
in leggera, dolce e costante pendenza. Fatti alcuni passi mi rigirai ed allora
si mostrò ai miei occhi uno spettacolo di stupefacente bellezza. Il cielo era
di un azzurro intenso anche se mostrava alcune leggerissime venature
biancastre, sulla sinistra si stagliava la grossa ed elegante mole del Forte di
Belvedere ed accanto più in basso cominciava ad apparire il rosso della
copertura della cupola del Brunelleschi con accanto il campanile di Giotto, il
mio sguardo continuò fino ad incontrare l’elegante forma della torre di Arnolfo
che caratterizza Palazzo vecchio, di fronte a tanta bellezza non potei fare a
meno di scattare alcune foto.
Il Forte di
SAN GIORGIO o BELVEDERE fu fatto realizzare dal terzo GRAN DUCA di TOSCANA
FERDINANDO I DE’ MEDICI tra il 1590 ed il 1595.
Lo spostamento definitivo della corte granducale da
Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti, avrà certamente influenzato la decisione di
realizzare la nuova fortezza a ridosso delle mura che circondavano il giardino
di Boboli contiguo a Palazzo Pitti. Il principe e la corte avrebbero raggiunto,
in caso di pericolo interno, in velocità e sicurezza un rifugio fortificato da
dove si poteva dominare la città.
Il diarista fiorentino Agostino Lapi così lasciò
scritto in data 28 ottobre 1590: “… si
murò la prima pietra del fondamento primo della nuova muraglia e maravigliosa
fortezza, posta sopra Porta San Giorgio…nell’Orto de’Pitti li inventori e li
architettori principali furono il signor Giovanni figlio del Granduca Cosimo e
Messer Bernardo Buontalenti di ingegno elevatissimo”.
Per la realizzazione quindi di questa formidabile
fortezza “a guardia della città e del palazzo” il Granduca Ferdinando si
rivolse a due architetti esperti nelle fortificazioni: Bernardo Buontalenti e
Don Giovanni de’ Medici, fratellastro dello stesso Granduca. La coppia,
assistita da Alessandro Pieroni, lavorerà al progetto.
Sappiamo, da un disegno dell’epoca, che la fortificazione
doveva essere ancora più complessa con una serie di bastioni e tenaglie pronti
a inglobare le antiche mura e le difese più recenti per rendere ancora più
efficace la difesa dall’esterno. Comunque la spettacolare struttura messa
in atto sulla sommità del colle di Boboli ancora impressiona per potenza e
eleganza.
La caratteristica pianta stellare, prevista dalla
trattatistica per le fortezze poste in luoghi con accentuate variazioni
altimetriche, è definita con cinque bastioni dei quali due rivolti verso la
città (con i nomi suggestivi di Boboli e Le Monache) con al centro un
contrafforte triangolare detto la Diamantina, e gli altri tre posti a difesa di
Firenze ( chiamati La Pace, Casin Interno e San Giorgio) verso le colline di
San Miniato e Arcetri.
E’ importante sottolineare come la palazzina, forse
di disegno ammanatiano, fosse preesistente alla realizzazione del forte che la
ingloba e che rappresentasse un reale “belvedere” ad uso della corte
granducale. La palazzina divenne il centro di comando della fortezza e nei
suoi sotterranei venne realizzata una vera e propria camera “blindata” in grado
di tenere al sicuro, grazie a una serie di accorgimenti e trabocchetti, il
tesoro di stato. Per secoli il Forte del Belvedere ha assolto alla sua
funzione militare, senza peraltro subire attacchi né esterni né interni.
Come detto stavo percorrendo questa
stretta stradina che ascendeva con una pendenza che stava pian piano
aumentando, Sembrava un piccolo fiume incassato tra due muri scrostati
dall’usura del tempo che in alcune parti erano ricoperti da piante rampicanti
simili all’edera. Il caldo cominciava a farsi sentire ed il silenzio era
interrotto dal cinguettio di qualche uccellino e dal frinire delle cicale. I
muri che delimitavano la stradina che diventava sempre più tortuosa in alcuni
punti erano parzialmente crollati e sostituiti da una rete metallica
completamente arrugginita. Dalle rotture dei muri era possibile vedere i campi coltivati ad ulivi ed in mezzo
ai quali c’erano macchie coloratissime
di giaggioli od IRIS FIORENTINA ed i colori che prevalevano erano il
bianco, il viola, il giallo e spandevano nell’aria un dolce ed intenso profumo.
Mi ricordo quando ero bambino c’era un vecchio signore che coltivava questa
straordinaria pianta dalle cui radici otteneva dei tuberi che dopo aver
attentamente ripuliti dalla terra, tagliava a fette sottili che faceva
essiccare al sole su grandi graticole che poi rivendeva alla FARMACIA DI SANTA MARIA NOVELLA
da dove venivano realizzate delle essenze base per produrre pregiati e
raffinati profumi.
Il Giglio di Firenze è il simbolo della città fin dal secolo
XI. Al contrario della blasonatura attuale
anticamente i colori erano invertiti. La sua origine è incerta, tra le varie
leggende sorte in merito vi è quella che vede derivare l'abbinamento della
città (Florentia) con il fiore perché la sua fondazione da parte dei romani avvenne
nell'anno del 59 a.C., durante le celebrazioni romane
per l'avvento della primavera, i festeggiamenti in onore alla dea Flora (Ludi
Florales o Floralia - giochi e competizioni pubbliche) che si svolgevano dal 28
aprile al 3 maggio. L'associazione tra i festeggiamenti e il nome venne
spontanea come accadde successivamente tra il nome e i fiori numerosi che
crescevano intorno; un'altra leggenda vede derivare nome e simbolo dal mitico
fondatore Fiorino, pretore romano, perito durante
l'assedio di Fiesole. In merito al giaggiolo (“Iris
germanica variante florentina”, detto giglio di Firenze o giaggiolo
bianco), specie che cresce numerosa e florida nei dintorni della città e da cui
il simbolo con tutta probabilità discende, vi è da dire che esso ebbe
sempre vari significati allegorici,
tra cui quello di simbolo di purezza che lo rendeva il fiore della Madonna,
non si può perciò escludere che l'adozione del giglio quale simbolo della città
sia da ricondurre a una manifestazione di culto mariano risalente forse
al IX secolo. Comunque esso veniva già usato
come propria insegna dai fiorentini alla prima
crociata.
I colori attuali risalgono al 1251 quando
i Ghibellini, in esilio da Firenze,
continuavano a ostentare il simbolo di Firenze come proprio. Fu allora che
i Guelfi, che controllavano Firenze, si
distinsero dai propri avversari invertendo i colori che poi sono rimasti fino
ai giorni nostri. Nel 1252 compare
sulla prima emissione del fiorino. Ai tempi del Comune
di Firenze, il giglio era il simbolo della città, talvolta rappresentato su
uno scudo retto dalla zampa di un leone (il
cosiddetto marzocco). In seguito venne imposto ai
territori sotto il dominio fiorentino (e ancora oggi il simbolo di Castelfiorentino e Scarperia ad
esempio), ma con l'importante differenza di essere privo degli stami,
organi atti alla riproduzione.
Il tradizionale simbolo fiorentino subì nel 1809 un
tentativo di sostituzione del governo napoleonico che,
con un decreto del 13 giugno 1811, provò a
imporre un nuovo simbolo per Firenze: una pianta di giglio fiorito su un prato
verde e uno sfondo argentato.
sormontato da un capo di
rosso a tre api d'oro (il
capo indicava l'appartenenza di Firenze alle classe delle grandi città
dell'impero napoleonico (le cosiddette bonne
ville). Il dissenso fiorentino non fece dare seguito al decreto.
Nel
percorrere la stradina che si inerpicava verso il colle di San Miniato e quello
di Arcetri, finalmente giunsi ad un bivio e senza pensarci su decisi di
prendere la deviazione posta a sinistra ed in base all’orientamento ero certo
che essa mi avrebbe condotto verso SAN MINIATO. Ma che santi strani e stranieri
ha Firenze. SAN GIOVANNI, il patrono, SANTA REPARATA, colei a cui era dedicato
il vecchio Duomo e poi questo SAN MINIATO.
E’ stato un santo venerato, ed
importante almeno nel Medioevo, in Toscana più che altrove. Narra la
leggenda che Miniato fosse un re armeno il quale, di passaggio a
Firenze nel 250 d.C., durante una delle tante persecuzioni contro
i Cristiani, rifiutatosi di venerare l’imperatore Decio e gli dei, fu
condannato a morte. Narra la leggenda che nell’anfiteatro (di cui ancora
oggi si riconosce il perimetro nell’andamento di alcune case e alcune vie
vicino a Santa Croce) fu sottoposto alle più svariate torture dalle quali
uscì, però, sempre indenne. Solo il definitivo taglio della testa lo uccise. O
forse no, perché Miniato si prese la testa sottobraccio, corse fuori
da Florentia, attraversò l’Arno e salì sul Mons Florentinus. Qui,
finalmente, giacque e sul luogo della sua morte fu costruita, poi, la chiesa
di San Miniato al Monte.
Una versione meno fantasiosa della
leggenda, senza andare a scomodare i re armeni, sostiene che Miniato fosse
un soldato romano di Florentia. Non cambia però la sostanza, perché per il
resto la leggenda è uguale e porta alla giustificazione del perché la splendida
chiesa di San Miniato al Monte fu eretta in quella posizione, in
collina, dominante sull’Arno e sulla città.
La leggenda di GIOVANNI GUALBERTO
VISDOMINI fondatore dell’ordine dei
Valombrosani divenuto santo e PATRONO DEI FORESTALI
Prendo a
prestito alcune righe dalla Splendida storia di Firenze di Piero Bargellini,
in cui recita: “Uscendo da Porta San Miniato, lungo la
stradetta, che serpeggiando tra gli olivi, sale all’antico monastero, si vede
sulla facciata d’una casa, un grande tabernacolo, da poco restaurato, che
ricorda il perdono di Giovanni Gualberto.”
Da
questo tabernacolo parto oggi per ricordare un avvenimento che fa parte della
più antica agiografia su Giovanni Gualberto.
Le
antiche Vitae del santo (se ne conoscono quattro: una
scritta da Andrea Strumi da Parma, una da Attone da Pistoia, e due anonime)
riportano sostanzialmente lo stesso episodio: Giovanni, rampollo della nobile
famiglia fiorentina dei Visdomini, perde il fratello in
un agguatoteso da una potente famiglia avversaria e si impegna
per questo, come avveniva di solito all’epoca, a non darsi pace fino a che non
avesse avuto la propria vendetta.Incontra casualmente l’uccisore del fratello,
un giorno, appena fuori l’attuale Porta di San Miniato, mentre
scende dal Pian dei Giullari alla chiesa di San Niccolò Soprarno, e lì, vistosi
perso e senza via di fuga, il suo avversario si prostra con le braccia in croce
per ricevere il primo colpo.
E’ il
momento in cui Giovanni, colto da immediata ispirazione, riconosce nel nemico con le braccia in croce il Cristo Crocifisso:
raccontano le Vitae che Giovanni perde di colpo ogni velleità di vendetta,
rialza l’assassino di suo fratello e lo perdona. Secondo i suoi agiografi,
Giovanni desiste dal suo proposito omicida perchè ha riconosciuto nella croce
disegnata dal suo avversario il Cristo che, sulla croce, ha perdonato i suoi
persecutori, e decide per questo di farsi imitazione del Crocifisso.
La nota
leggenda tramandataci prosegue con Giovanni che, assieme all’avversario
risparmiato, sale dalla Porta alla vicina basilica di San Miniato. Insieme si
inginocchiano a pregare e, sempre secondo la leggenda, il Crocifisso cui si rivolgono i due oranti miracolosamente annuisce a
dimostrare l’approvazione per il gesto di perdono compiuto da Giovanni.
Oltrepassata
una curva finalmente mi ritrovai di fronte all’oggetto della mia ricerca. Un
edificio cinquecentesco composto da due piani, il terreno ed il primo. Al piano
terreno sul lato destro vi erano due finestre una delle quali finta al fine di
creare una forma simmetrica alla facciata e a sinistra un ampio portone
verniciato di verde scuro. Sia le finestre che il portone erano ad arco i cui
ritti e gli stessi archi realizzati con un bugnato ben lavorato, salvo qualche
crepa dovuta al trascorrere del tempo, in pietra serena. Le tre finestre poste
al primo piano erano rettangolari chiuse da persiane piuttosto sgangherate e in
molti punti ormai prive del loro colore. La finestra vera del piano terreno era
protetta da una robusta inferriata ben lavorata e sulle ante del portone vi
erano due grossi batacchi a forma di anello con all’interno una figurina che
somigliava al famoso DIAVOLETTO DEL GIAMBOLOGNA. Sotto le due finestre del
piano terreno a mo’ di decorazione, con le tecnica dello stiacciato, erano
riprodotte due grandi teste di pipistrello con le ali ben aperte. Motivo
ornamentale, questo, che ritroviamo spesso nei palazzi realizzati nello stesso
periodo del nostro palazzotto.
Firenze pullula di leggende e di cuirosità legate al passato. Tra queste
c'è quella di una scultura posta in un
angolo di strada: si tratta di un Diavolo, che si trova a Palazzo Vecchietti, nella via che porta lo stesso nome.
Fu proprio vicino a quell'angolo del palazzo che, nel 1243, San Pietro Martire fece una predica per la crociata contro i Patarini. La leggenda dice
che mentre l'uomo parlava, improvvisamente arrivò un cavallo nero verso la
folla di fedeli. Tutti pensarono che doveva trattarsi sicuramente del Diavolo! Munitosi di
preghiere e croci, il futuro santo allontanò l'animale malefico.
Passò il tempo e nel 1584 l’allora proprietario del palazzo, Bernardo, diede allo
scultore fiammingo Giambologna (Jean de Boulogne) l'incarico di rinnovare il suo palazzo.
Fu proprio il Giambolgona che, in un angolo, pose quel demone scolpito e,
secondo la leggenda, si ispirò al Diavolo, ricordando così la sua apparizione.
Questo palazzotto era circondato da campi coltivati ad olivi
nella buona tradizione fiorentina che anche le lussuose ed imponenti ville
dovevano essere anche aziende agricole e così allo stesso tempo si univa
l’utile al dilettevole
Tutto sembrava abbandonato da tanto tempo e mentre scattavo le
foto che mi sarebbero servite per la mia ricerca ebbi la netta sensazione che
qualcuno o qualcosa mi stesse osservando da l’unica persiana leggermente socchiusa
al primo piano.
Ed infatti, di li a poco…………..
Ed infatti, di li a poco…………il grande portone verde si aprì e dal piccolo spiraglio, una vocina
flebile
-giovanotto, giovanotto!
Ed io stupito guardai verso la porta cercando di mettere a fuoco
la figurina che si appena si intravedeva dentro quello piccolo spicchio di
porta semi aperto. Mi portai le punta della mano destra sul petto un modo di
dire a quella persona invisibile che mi stava chiamando:
-dice a me?
-si giovanotto dico proprio a lei, è così buono e gentile a
venire dentro per darmi una mano?
Allora mi avvicinai con passo esitante e solo in quel momento
vidi la figurina esile di una vecchia signora tutta vestita di nero in una
foggia un po’ démodé.
-giovanotto mi perdoni…..perdoni la mia sfacciataggine, ma sa io
son sola e come può vedere piuttosto in la con gli anni. Ho una vecchia pendola
di quelle che battono le ore con un bel suono di campane , mi si è fermata
perché ha finito la carica ed io non ce la faccio a rimetterla in funzione.
-volentieri signora, ci mancherebbe!
A quel punto lei aprì un varco più ampio per farmi entrare in
casa, si scostò quasi non volesse toccarmi o essere toccata.
Il piano terreno era costituito da un unico grande ambiente che
su un lato aveva un grande camino in pietra serena con sulla cappa un grande
stemma gentilizio pure esso in pietra, il tutto era annerito dal fumo prodotto
dal fuoco anche se aveva tutta l’apparenza di non essere stato utilizzato
almeno negli ultimi tempi. Nella parete opposta c’era una monumentale credenza
di legno massiccio completamente disadorna. E nel mezzo della stanza due
seggioloni a spalliera alta nel cui centro c’era impresso lo stesso stemma
visibile sul camino.
Un po’ di luce filtrava dalla persiana sgangherata della
finestra che dava sulla strada e di fronte c’erano altre due porte finestra
anch’esse chiuse da persiane in mal
arnese. Vicino alla credenza c’era la pendola che in effetti non dava segni di
vita.
Solo a quel punto vidi la signora, una figurina minuta tutta
vestita di nero e da una specie di corpetto usciva una camicia bianca con un alto collo
increspato che per chiusura usava una spilla dorata ove era dipinto un volto
probabilmente di uomo che io non potevo ben distinguere a causa della distanza
e della piccolezza del gioiello.
Un volto minuto incorniciato da capelli candidi raccolti nella
nuca ma ciò che mi impressionò di più furono gli occhi di un azzurro intenso,
come il cielo di quella giornata di inizio estate, privi di vita e con una innaturale fissità.
Dopo aver
aperto il grande sportello a vetri della pendola con una chiavetta riposta su
un ripiano cominciai a caricare il vecchio orologio, fatto ciò cominciai a
girare le lancette delle ore e dei
minuti fino ad arrivare all’ora giusta che era mezzogiorno meno un quarto, dopo
di che con un colpetto al pendolo rimisi
in azione lo strumento, richiusi lo sportello dopo aver rimesso al suo posto la
chiavetta:
-grazie
giovanotto, non so come ringraziarla, per fortuna ho trovato una persona
gentile e disponibile, cosa non facile ai giorni nostri, purtroppo in casa non
ho niente da poterle offrire, sa sono sola e son secoli che qualcuno viene a
trovarmi, ma prego si sieda mi faccia un po’ di compagnia se questo non le crea
disturbo!
Io
guardandola con tenerezza pensavo “POVERA VECCHIETTA, LA SOLITUDINE DEVE ESSERE
VERAMENTE UNA BRUTTA BESTIA CHE FA PERDERE ANCHE UN PO’ LA TESTA, ADDIRITTURA
SECOLI CHE NESSUNO LE FA VISITA? MA NON AVRA’ FIGLI O MAGARI QUALCHE PARENTE?
Decisi di accontentarla e mi misi a sedere sul seggiolone che mi era più vicino
il quale scricchiolò in modo inquietante sotto il mio peso.
La vecchia
signora mi guardò ed i suoi occhi
immobili mi sembrava che esprimessero un misto di tristezza e rassegnazione.
-Caro
giovanotto mi voglio presentare il mio nome è Eleonora come la nostra grande
signora e lei come si chiama?
La grande
signora? Chi sarà mai questa grande signora mah, questa sua strana affermazione
mi incuriosiva.
, che strana
donna è mai questa?
-Signora
Eleonora io mi chiamo Guido
-Un bellissimo
nome Guido si è veramente un bellissimo nome!
Ed io per
cortesia ribattei
-anche
Eleonora è un bellissimo nome!
-grazie
Guido lei è veramente gentile!
Dopo essersi
rassettata i capelli iniziò la sua strana
narrazione:
-Caro Guido
mi permette di chiamarla semplicemente con il suo nome?
Io annuii
facendo un semplice cenno con la testa e lei continuò con una vocina flebile e
monocorde:
-caro Guido,
come ho avuto modo di dirle io vivo da sola ormai da tanto, tanto tempo.
Si soffermò
un attimo per riprendere fiato e forse per riordinare le sue idee …….
-ero sposata
con un bellissimo giovane alto, forte, coraggioso con dei bei riccioli ed una
barba folta nera come le ali di un corvo, la guerra……si la guerra me lo portò
via che ero ancora molto giovane. Morì vicino a…….non ricordo bene mi sembra
che il paese si chiamasse Montalcino, un paese vicino alla nemica ed odiata
Siena.
A queste
affermazioni pensavo Montalcino ? Odiata Siena ? ma di cosa sta parlando e
cominciavo ad essere a disagio.
-Quando il mio
Duccio morì stavo aspettando una creatura che nacque pochi giorni prima del
Santo Natale ed io in memoria del padre chiamai Duccio.
Anche come
il padre era bello alto forte con un cuore gentile ed allo stesso tempo
impavido ed aveva solo sedici anni che entrò al servizio di monsignore
Francesco.
Questa sua
strana narrazione mi incuriosiva sempre di più ed ero sempre più convinto che
questa stranissima vecchietta fosse totalmente fuori di testa…………..
La vecchia
signora continuò con questa sua storia originale che mi metteva sempre più a
disagio:
-si entrò al
servizio di monsignor FRANCESCO e questo era un grande onore e foriero di una
carriera molto luminosa. Era la festa di nostra signora Maria madre di Dio che
si teneva nel santuario a Lei dedicato che si trova vicino all’ospitale ove
vengono accolti i poveri orfanelli.
Si fermo’ un
attimo mise educatamente le mano destra sulla bocca e due colpetti di tosse per
schiarire la sua voce che era sempre più flebile.
-Il corteo
era bellissimo. Il nostro potente signore era preceduto da un gruppo di guardie
armate a sua protezione ed al suo fianco cavalcava su un bel cavallino baio il
mio Duccio bello come il sole ed ammirato dalla folla che si assiepava per
vedere sfilare in parata tutti i potenti di Firenze. Giunti davanti al
santuario il mio Duccio balzò giù dal suo cavallo per aiutare il suo signore a
discendere dalla sua maestosa cavalcatura. Uno scarto del cavallo non consentì
al mio adorato figlio di ben sorreggere monsignor Francesco il quale a causa di
ciò cadde rovinosamente a terra battendo le regali terga sul selciato. Si sa
che il popolino non ami i potenti ed alla visione del suo signore che in modo
ignominioso era caduto a terra dalla folla si sollevarono grasse risate.
Monsignor
Francesco iratissimo nei confronti del popolo ignorante ma soprattutto nei
confronti di mio figlio che con la sua imperizia lo aveva messo alla berlina
estrasse il pugnale che teneva in un fodero appeso ad una cintura e trafisse
nel cuore il mio povero ragazzo il quale stramazzò senza vita su quel selciato
ove pochi istanti prima era caduto monsignor Francesco, il quale senza degnare
neanche di uno sguardo il corpo di quel giovane entrò in chiesa per non perdere
le funzioni religiose che di lì a poco sarebbero iniziate, nel contempo il
popolino di fronte a questa scena rimase in silenzio e pian piano si disperse.
Un frate
Domenicano ed alcune pie donne accompagnate da due villici mi riportarono il
corpo senza vita del mio ragazzo il cui corpo fu ripulito dal sangue ed avvolto
in un sudario e dopo una breve cerimonia funebre fu collocato nell’avello di
famiglia che si trovava e si trova nella chiesa di Santa Maria Novella.
La signora
si fermò un attimo si coprì i suoi occhi inespressivi e mentre io ero sempre
più in difficoltà ed a disagio a causa di questo stranissimo racconto riprese a
parlare:
-due giorni
dopo a casa mia, allora abitavo vicino allo spedale che fu fondato da messer
Folco Portinari, arrivò un emissario del nostro sovrano monsignor Cosimo, padre
dell’assassino di mio figlio, il quale mi consegnò un sacchetto contenente
alcuni ducati d’oro e mi impose di trasferirmi in questa proprietà lontana
dalla città perché la mia presenza sarebbe stata di scandalo ed avrebbe messo
in cattiva luce la famiglia che stava governando Firenze e la Toscana. E da
allora questa è la mia casa prigione !
Il racconto
era terminato ed io sempre più imbarazzato decisi che era l’ora di andarmene da
quel luogo strano e sinistro.
-signora
Eleonora la ringrazio della sua ospitalità ma come vede è già mezzogiorno e
mezzo ed io devo andare a casa che i miei mi stanno aspettando!
-Vada pure
Guido sono io che la ringrazio per
avermi aiutato a rimettere in moto la mia pendola e per aver ascoltato le
disgrazie di questa povera vecchia!
Si scostò ed
io chinai la testa in segno di saluto aprii non senza difficoltà il pesante
portone che fece un rumore lamentoso, lo richiusi dietro le mie spalle e mi
ritrovai nella stradina che era inondata da un caldo ed abbagliante sole di
fine primavera. Non ricordo come sono arrivato alla fermata del Bus che stava
arrivando in quel momento. Feci cenno che si fermasse ed appena aperta la
portiera salii rapidamente sul mezzo che mi avrebbe ricondotto a casa alla mia
normalità e in quel momento mi sentii al sicuro ricuperando tutta la mia
stabilità emotiva.
Trascorsero
alcune settimana e non mi riusciva di togliermi dalla mente quello strano
racconto di quella stranissima vecchietta. Ero alla vigilia della mia partenza per andare a completare le
mie vacanze in montagna, l’estate era scoppiata ed io avevo bisogno del fresco
che sicuramente avrei trovato sulle montagne pistoiesi, però prima di partire
decisi di tornare a quella misteriosa villa che si trovava sulle colline
fiorentine tra Arcetri e San Miniato.
Era una mattina
molto calda il cielo era di un azzurro sbiadito solcato da alcune rondini che
volavano molto in alto. Il silenzio della campagna era interrotto dal frinire
delle cicale e dal rumore prodotto da altri numerosi insetti.
Arrivai
davanti alla casa notai che era
desolatamente abbandonata, guardai le finestre al primo piano ma non scorsi
niente che desse un segno di vita. Allora mi decisi presi uno dei pesanti
battenti e detti tre colpi, aspettai qualche attimo nella speranza che qualcosa
si muovesse all’interno di quelle vecchie mura ma non successe niente. Riprovai
con altri tre colpi dati con maggior energia e mi scostai dalla porta per
vedere se al primo piano qualcosa si movesse, ma ancora niente e mentre ero
dubbiose se ritentare o andarmene, perché pensai che la vecchia era stata
portata via magari in un ospizio ove si potessero prendere cura di lei e della
sua mente sconvolta una voce baritonale mi fece soprassalire:
-Ei
giovanotto che cerca in quella casa?
Io mi girai
e mi trovai davanti la figura massiccia di un vecchio che si appoggiava su un
nodoso bastone: Pantaloni di fustagno, scarponi, camicia con il colletto
slacciato, un pesante gilet con una vistosa catena che passava da un taschino
all’altro, una giubba sulle spalle e sulla testa un cappellaccio a larghe tese
dal quale uscivano ciocche di capelli bianchi come bianchi erano i baffoni che ornavano il suo labbro superiore.
L’abbigliamento di questa persona mi sembravano fuori luogo data la stagione,
la figura di questo vecchio sembrava uscita da un quadro di GIOVANNI FATTORI.
-ei
giovanotto in quella casa non abita più nessuno da decenni
Io cercai di
interromperlo
-ma
veramente io……
Lui
imperterrito continuava senza starmi ad ascoltare
-gli ultimi
che l’hanno abitata erano inglesi o forse americani che sono partiti perché
avevano paura di essere bloccati dalla guerra che di li a poco avrebbe
sconvolto il mondo era il 1937 o forse era il 38 non mi ricordo bene sa la
vecchiaia fa brutti scherzi e poi in quella casa non ci è voluto più abitare nessuno…….sa
ci si vede e ci si sente!
Io
-che cosa ci
si sente e ci si vede?
-ragazzo mio
i fantasmi, ad esempio quello di una vecchietta che è disperata per l’immatura
morte del figlio!
A queste
parole sentii un brivido freddo per tutta le schiena nonostante il caldo
soffocante di quel giorno d’estate ed i peli dei bracci si rizzarono come se vi
fosse passata una corrente elettrica.
Sempre il
nostro vecchio
-allora
giovanotto crede o non crede ai fantasmi ?
Io un po’
impacciato
-veramente,
veramente direi di no
Mentre
dicevo queste parole mi rigirai verso la casa per vedere se qualcosa si muoveva
al suo interno, e mentre facevo ciò, una voce rimbombava alle mie spalle:
-fa
male a non credere ai fantasmi, fa male
Di
scatto mi rigirai e del vecchio non c’era più nessuna traccia. Quasi di corsa
superai la semi curva per vedere dove era andato ma nel lungo rettifilo non
c’era nessuna traccia di questo personaggio, come è mai possibile che un
vecchio con difficoltà di deambulazione possa aver corso tanto per sparire così
rapidamente? fui preso dal panico e mi
buttai a rotta di collo verso il viale e mentre nelle orecchie mi rimbombavano
le parole:
-fa
male a non credere……
Mi
ritrovai alla fermata del bus finalmente in salvo e lontano da quel luogo
misterioso che rischiava di mandarmi fuori di testa.
Son
passati gli anni ed ancora ogni tanto mi ricordo questa strana avventura che io
corsi in alcune calde giornate di fine
primavera e di inizio estate.
Il
tutto tra storie e fantasia!
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