lunedì 22 ottobre 2018

COLLEZIONE AUTORITRATTI GALLERIA DEGLI UFFIZI FIRENZE 

Il primo nucleo della Collezione di autoritratti agli Uffizi è stato frutto di una intuizione felice del cardinale Leopoldo de' Medici. Alla morte del cardinale la collezione passò al granduca di Toscana che la versò agli Uffizi. Col tempo la collezione crebbe, il luogo d'esposizione divenne insufficiente e molti autoritratti furono relegati nei depositi.

Il granduca Cosimo III de' Medici ordinò di allestire agli Uffizi ambienti per ospitare la collezione di autoritratti del suo defunto zio, il cardinale Leopoldo de' Medici, morto nel 1675.
Recente è la storia degli autoritratti. Il più antico a noi noto e, che conosciamo solo in copia, è quello di Leon Battista Alberti: è un simbolo del Rinascimento e testimonia la volontà di fissare il proprio volto in una immagine che consenta il culto, tutto laico, di una gloria umana da trasmettere ai posteri.

A metà del Cinquecento i Medici iniziarono a collezionare autoritratti, ma in modo estemporaneo, sollecitando artisti di cui erano mecenati, oppure servendosi di esperti e di fiduciari, o di diplomatici fiorentini. Giambattista della Porta pubblicò nel 1586 Della fisionomia dell'omo, un testo che diede nuovo impulso alla moda di autodefinirsi esplicitamente in una singola opera pittorica; poiché l'autoritratto (pensiamo a quelli di Michelangelo) a volte era un rebus da decifrare, messo dentro un'opera più ampia.

Se Carlo I d'Inghilterra possedeva autoritratti di Rubens, di Mytens e di Van Dyck, era stato proprio il cardinale Leopoldo de' Medici, chiamato Principe della Toscana e raffinato e ordinato collezionista, a mettere insieme, per primo, 80 autoritratti di celebri pittori, dietro consiglio e aiuto di Filippo Baldinucci. Si trattava della creazione di una raccolta del tutto personale, ma fece scuola. Tra gli autoritratti di artisti stranieri c'erano quelli di Jacob Ferdinand Voet, di Rembrandt e di Van Dyck; tra quelli italiani c'erano autoritratti di Giorgio Vasari, di Francesco Salviati, di Alessandro Allori. Tredici erano gli autoritratti di pittori bolognesi; tra i veneti era presente Tintoretto, tra i romani Bernini, tra i napoletani Luca Giordano. Alcuni dipinti non erano originali, bensì copie, come l'autoritratto di Luca Cambiaso.

Nell'inventario degli Uffizi, redatto nel 1704, gli autoritratti erano 180, cui se ne aggiunsero altri 120, in parte frutto dell'acquisto della collezione dell'abate fiorentino Antonio Pazzi. Nel 1775 arrivò agli Uffizi l'autoritratto di Joshua Reynolds, cui seguirono altri autoritratti di pittori inglesi. Con il Regno d'Italia la funzione di collezionista, un tempo assunta dal granduca di Toscana, fu esercitata dal Ministero della Pubblica Istruzione del Regno.
I pittori moderni consideravano la presenza di un proprio autoritratto gli Uffizi un punto di attrazione della propria opera e lo spazio espositivo divenne presto insufficiente. Nel 1926 il catalogo degli Uffizi, predisposto da Giovanni Poggi, assegnava agli autoritratti le sale 41-46, accanto alla Loggia dei Lanzi; non esplicitava tuttavia l'elenco dei quadri esposti. Dopo il 1944 queste sale furono smantellate, gran parte degli autoritratti fu messa nei depositi e pochi furono esposti nel Corridoio Vasariano.

Il 4 novembre del 1966 l'Arno uscì dagli argini e molti autoritratti risultavano minacciati. La direttrice delle Gallerie Luisa Becherucci in gran fretta fece portare in salvo i dipinti, trasferendoli dal Corridoio Vasariano agli Uffizi, dove più tardi traslocò l'intera collezione di autoritratti. Tra quelli rimasti danneggiati c'erano gli autoritratti di Diego Velázquez, di Salvator Rosa, del Ribera: furono inviati tutti ai laboratori di restauro, alla Fortezza da Basso.

Nel 1973 il soprintendente Luciano Berti ha fatto esporre una galleria di 715 autoritratti nel Corridoio Vasariano. Nel catalogo degli Uffizi del 1979 gli autoritratti sono 1040 (non tutti sono originali, perché alcuni sono copie; quasi tutti sono dipinti, ma c'è anche qualche scultura e qualche pastello su carta

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