NO ALLA PENA DI MORTE
1. LA STORIA DELLA
SETTIMANA : TUNISIA: CONFERENZA SULLA PENA DI MORTE IN TEMPO DI GUERRA AL TERRORISMO
2. NEWS FLASH: MADAGASCAR RATIFICA IL
SECONDO PROTOCOLLO OPZIONALE, IL GAMBIA LO FIRMA 3. NEWS FLASH: USA: PROCESSI PIU' IRREGOLARI NEI
CASI PIÙ GRAVI 4. NEWS FLASH: USA: LA
PENA DI MORTE NON PROTEGGE I POLIZIOTTI 5.
NEWS FLASH: TEXAS (USA): PUBBLICA ACCUSA NON CHIEDE LA PENA DI MORTE PER
SHANNON MILES 6. I SUGGERIMENTI DELLA
SETTIMANA :
TUNISIA: CONFERENZA SULLA PENA DI MORTE IN TEMPO DI
GUERRA AL TERRORISMO
21 settembre 2017: La conferenza sulla pena di morte in
tempo di guerra al terrorismo che si è conclusa a Tunisi è stata unanime nel
ritenere che la pena di morte non contiene né risolve il problema del
terrorismo.
All'evento, organizzato dall'Istituto Arabo per i Diritti
Umani con Nessuno tocchi Caino nell'ambito di un progetto sostenuto dall'Unione
europea, sono intervenuti diversi parlamentari, avvocati, intellettuali e
militanti dei diritti umani.
Per Elisabetta Zamparutti, tesoriera di Nessuno tocchi Caino,
che ha aperto i lavori, la battaglia per l'abolizione della pena di morte va
contestualizzata in quella per l'affermazione dello Stato di Diritto tenuto
conto che il 99 per cento delle esecuzioni si concentra nei Paesi autoritari.
Laura Harth, del Consiglio direttivo ha ricordato che i primatisti mondiali
l'anno scorso sono stati la Cina, l'Iran e l'Arabia Saudita.
L'avvocato Roberto Giovene di Girasole, presente per
conto del Consiglio Nazionale Forense, ha sottolineato il ruolo che gli
avvocati hanno avuto nella storia della Tunisia manifestando la volontà di
affiancare il progetto.
Il progetto riguarda azioni di formazione ed informazione
sugli standard internazionali sulla pena di morte ed il giusto processo rivolte
all'opinione pubblica, parlamentari, magistrati, avvocati e giornalisti. Il
documento conclusivo ha salutato la partecipazione all'evento del personale
dell'amministrazione penitenziaria e condiviso le attività del progetto.
Durante l'incontro è emerso che vi sono 77 condannati a morte nel braccio della
morte della Tunisia con un'escalation di condanne capitali dal 2011 in poi che
ha raggiunto il record di 44 condanne a morte nel 2016. Quarantacinque sono i
crimini capitali estesi anche al terrorismo con la legge del 2015.
Il presidente dell'Istituto arabo per i diritti umani,
Abdelbasset Ben Hassan, ha sottolineato "la fragilità della cultura dei
diritti umani in Tunisia". Per lui, "la pena di morte è il risultato
di una filosofia della pena che si è evoluto dal Medio Evo", ed il terrorismo
non può essere affrontato utilizzando "la via più facile".
Per Chokri Latif, presidente della Coalizione tunisina
contro la pena di morte, il terrorismo è diventato un fenomeno globale che
colpisce non solo i paesi arabi e islamici, ma anche le grandi capitali
occidentali.
"Il fenomeno del terrorismo è diventato un pretesto
per il bullismo verso i diritti umani e per mettere in discussione la
democrazia emergente in alcuni paesi arabi", ha aggiunto. Ha detto che
"la pena di morte contro i terroristi è una ricompensa nei loro occhi,
perché ciò che aspirano è la morte".
Nel frattempo, la parlamentare Leila Hamrouni,
coordinatrice della rete dei parlamentari per l'abolizione della pena di morte,
ha sostenuto che "lo Stato moderno deve proteggere i suoi cittadini, anche
i peggiori e la pena di morte non è una soluzione per mitigare il
terrorismo".
Più realisticamente, la parlamentare Bochra Belhaj Hamida
ha osservato che "l'abolizione della pena di morte è impossibile oggi in
Tunisia, ma possiamo limitare i verdetti di pena di morte o introdurre una
moratoria" nell'esecuzione delle condanne a morte.
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
MADAGASCAR RATIFICA IL SECONDO PROTOCOLLO OPZIONALE, IL
GAMBIA LO FIRMA
22 settembre 2017: Il Gambia ha firmato il Secondo
Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (per
l'abolizione della pena di morte) il 20 settembre 2017 mentre il Madagascar lo
ha ratificato il 21 settembre 2017 insieme al Protocollo Opzionale alla
Convenzione contro la Tortura.
L’evento relativo ai trattati Onu si sta svolgendo a New
York, all’inizio dell’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite, ed è l’occasione in cui spesso i Paesi ratificano i
trattati internazionali.
L’anno scorso, in questo spesso periodo, si è registrato
l’accesso al Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti
Civili e Politici di Togo e Repubblica Dominicana.
USA: PROCESSI PIU' IRREGOLARI NEI CASI PIÙ GRAVI
19 settembre 2017: Uno studio sostiene che tanto sono più
gravi i reati, tanto sono più gravi le irregolarità nei processi. "The
Worst of the Worst: Heinous Crimes and Erroneous Evidence" prende il
titolo dalla definizione “worst of the worst” (peggiori tra i peggiori) che si
usa per dire che la pena di morte deve essere riservata solo, appunto, ai
peggiori tra i peggiori. “I peggiori tra i peggiori: crimini efferati e prove
sbagliate” è uno studio su 1500 casi analizzati da Scott Phillips e Jamie
Richardson, professori di sociologia e criminologia della University of Denver
(Colorado), ed è stato pubblicato sul n. 45 di Hofstra Law Review. Prende in
esame 1500 casi di persone prima condannate, poi prosciolte. “più il crimine è
grave, più la pubblica accusa sembra affidarsi a prove inaccurate e
inaffidabili. I reati più efferati, quelli per i quali è più probabile che la
pubblica accusa chieda la pena di morte, sono anche quelli in cui la pubblica
accusa ha la tendenza a partecipare
nella produzione di prove sbagliate, dalle false confessioni, all’uso di
delatori inaffidabili, pressioni sulla polizia ed esami di laboratorio inaccurati”.
Approfondendo il tema delle false confessioni, i professori sostengono che “più
cresce la gravità del crimine, o l’allarme sociale collegato al crimine, più
cresce l’aggressività dalla polizia nel condurre gli interrogatori. E di fatto
interrogatori più aggressivi producono sia più vere confessioni, che più false
confessioni. Secondo lo studio, il comportamento della polizia è condizionato
dalle pressioni politiche. La parte dello studio che riguarda le false
confessioni è diviso in due parti, una riguarda persone condannate a pene detentive
per reati molto gravi, compreso l’omicidio, e persone condannate a morte per
omicidio di primo grado. Di tutti i casi viene creata una specie di classifica
di “gravità”.
Utilizzando i dati del the National Registry of
Exonerations (un progetto della University of California, University of
Michigan e Michigan State University), 234 delle 1535 prosciolte dal 1989 al
2014 aveva fatto confessioni ritrattate in un secondo tempo. Di queste 234
persone, 22 hanno avuto una condanna a morte. Lo studio ha calcolato che il 21%
delle persone erroneamente condannate per omicidio avevano fornito confessioni
rivelatesi in seguito false. La percentuale scende al 7% quando si esaminano
(nello stesso Registry) reati meno gravi. Nei casi di “esonerati” in cui test
del Dna hanno dato forza alla proclamazione di innocenza, il 41% delle persone
condannate per omicidio avevano in un primo tempo confessato, un tasso di
confessione 7 volte più alto rispetto a persone condannate (e poi prosciolte)
per reati non di omicidio. Tra i prosciolti dal braccio della morte, il 39%
aveva confessato, un tasso 5 volte maggiore rispetto al 7% delle persone
condannate sempre p er omicidi, ma
considerati “meno gravi”. Secondo i professori Phillips e Richardson il livello
di gravità di un omicidio permettere di prevedere il livello di affidabilità
che la pubblica accusa (spesso indicata come “lo Stato”) darà a informatori,
delatori, prove di laboratorio ambigue e comportamenti irregolari della polizia
(definita “condotta impropria del governo”). Tra i casi di proscioglimento dal
braccio della morte, il governo ha tenuto comportamenti scorretti nell’86% dei
casi gravi, rispetto al 66% in casi di omicidio considerati meno gravi. Lo
stato ha utilizzato testimonianze di informatori all’interno delle carceri nel
42% dei casi gravi, contro il 15% nei casi meno gravi. Uso improprio di analisi
forensi ricorrono nel 39% dei casi molto gravi, contro il 23% dei casi meno
gravi.
USA: LA PENA DI MORTE NON PROTEGGE I POLIZIOTTI
12 settembre 2017: Uno studio del DPIC evidenzia che la
pena di morte non protegge i poliziotti.
Il Death Penalty Information Center, probabilmente la più
importante organizzazione statunitense contro la pena di morte, ha esaminato le
statistiche ufficiali degli omicidi di poliziotti avvenuti tra il 1987 e il
2015, ed ha rilevato che gli stati dove la pena di morte è in vigore hanno un
numero di poliziotti uccisi più alto rispetto agli stati senza pena di morte.
DPIC ha creato una terza posizione, quella degli stati
“in transizione”, ossia gli stati che hanno abolito la pena di morte dal 2000
ad oggi. Per motivi che lo studio non spiega, sono questi gli stati
(Connecticut, New Jersey, Delaware, New York, Illinois, New Mexico e Maryland)
che hanno una più bassa percentuale (rispetto alla popolazione) di poliziotti
uccisi. Secondo lo studio, tra il 1987 e il 2015 negli Stati Uniti sono stati
uccisi 1.599 poliziotti in servizio. Di questi, 1.227 in stati con la pena di
morte, 171 in stati senza pena di morte, e 201 in stati “in transizione”.
Quanto agli omicidi generalmente intesi, nello stesso arco di tempo negli Usa
sono stati 526.064. Di questi, 374.814 in stati con la pena di morte, 51.528 in
stati senza pena di morte, e 99.722 in stati “in transizione”. Questi dati
ovviamente vanno messi in relazione alle popolazioni dei relativi stati e dei
relativi blocchi in cui lo studio li suddivide.
Fatto questo scorporo, il cosiddetto “tasso di omicidi”
per quel che riguarda i poliziotti è, nel complesso degli Usa, di 0,195 per
milione di abitanti. Negli stati con la pena di morte è 0,218.
Negli stati senza pena di morte è 0,159, e negli stati in
transizione è 0,136. Il “tasso di omicidi” “normali”, sempre 1987/2015, è, nel
complesso degli Usa, di 6,424 ogni 100.000 abitanti. Negli stati con la pena di
morte è 6,646, negli stati senza è 4,788, e negli stati in transizione è 6,767.
I dati provengono da “FBI Uniform Crime Reports
("UCR")” e da “FBI annual data on Law Enforcement Officers Killed
& Assaulted, Officers Feloniously Killed ("LEOKA reports")”.
Il direttore del DPIC, Robert Dunham, ha riassunto i dati
sostenendo che non ci sia nessuna prova che la pena di morte funga da
deterrente né negli omicidi “normali”, né in quelli di poliziotti. Anzi al
contrario, sembra che negli stati dove è in vigore la pena di morte i
poliziotti vengano uccisi più spesso. “Anche questo è un argomento da tenere
presente nel dibattito sulla pena di morte”.
TEXAS (USA): PUBBLICA ACCUSA NON CHIEDE LA PENA DI MORTE
PER SHANNON MILES
13 settembre 2017: La pubblica accusa non chiede la pena
di morte per Shannon Miles, un nero accusato di aver ucciso un poliziotto
bianco.
L’uomo risulta soffrire di seri problemi mentali, e già
questo fatto ne avrebbe comunque reso difficile l’esecuzione, ma sembra che
anche il rischio di uno “scandalo sessuale” per il comportamento di diversi
poliziotti, compresa la vittima, sia tra le motivazioni della scelta.
Shannon Miles, 32 anni, nero, è accusato di aver ucciso,
il 28 agosto 2015, apparentemente senza motivo, il vicesceriffo Darren Goforth,
47 anni, bianco, che si era fermato con l’auto di servizio ad un distributore
di carburante.
Il rappresentante della pubblica accusa della Montgomery
County, il procuratore distrettuale Brett Ligon, bianco, repubblicano,
contrariamente alla sua fama “da duro”, per questo caso il 13 settembre ha
annunciato di aver raggiunto un accordo con l’imputato, che se si dichiara colpevole
avrà in cambio una condanna all’ergastolo senza condizionale.
La vedova della vittima, la signora Kathleen Goforth, ha
detto di essere d’accordo con la decisione per il bene dei due figli minorenni,
ai quali “sarà risparmiata l’enorme fatica di un processo e continui appelli
che potrebbero durare fino a 25 anni”.
Il procuratore ha spiegato la sua scelta dicendo di aver
consultato diversi esperti, ed aver appurato che date le condizioni mentali
dell’imputato, al quale in passato è stata diagnosticata schizofrenia ed
episodi psicotici, “le probabilità di arrivare ad una esecuzione erano vicine
allo zero”.
Anche lo sceriffo della Harris County, Ed Gonzalez, e
Donald Cuevas, presidente della Associazione dei Vicesceriffi della Harris
County, hanno espresso consenso all’accordo.
Sembra che sullo sfondo di tanto consenso ci sia anche il
rischio di uno scandalo sessuale, perché risulta che la vittima, sposato con
due figli, si fosse fermato alla stazione di servizio per incontrare una sua
amante, che quindi, come testimone dell’omicidio, avrebbe dovuto essere
chiamata a testimoniare al processo. La donna sembra inoltre che abbia avuto
relazioni sessuali con altri due poliziotti (che per questo sono stati
licenziati), ed avesse ricevuto avances sessuali da un terzo poliziotto, anche
lui licenziato. Sullo sfondo anche un aspetto “pratico”, ossia il
riconoscimento o meno, per la vedova, del trattamento pensionistico che spetta
ai poliziotti caduti “nell’adempimento del dovere”.
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