MICHELANGELO BUONARROTI-SAN LORENZO
FIRENZE
sacrestia nuova (1520-34 )
Quando Leone x, primo papa de' Medici, conferì al Buonarroti il prestigioso incarico di costruire la Sagrestia Nuova, un vincolo per l'artista era costituito dall'autorevole precedente della Sagrestia del Brunelleschi, posta simmetricamente rispetto al nuovo spazio. L'intento del pontefice era quello di dedicare una cappella funebre ai «Magnifici», suo padre Lorenzo e lo zio Giuliano, oltre che ai primi due duchi di casa Medici, il fratello Giuliano di Nemours e il nipote Lorenzo di Urbino.
La commissione impegnò Michelangelo, con varie interruzioni, fino al 1534, ma non fu mai completata. Le vicissitudini individuali di Michelangelo, impegnato in molteplici imprese, e quelle, particolarmente drammatiche, della città di Firenze in quegli anni (dalla cacciata dei Medici all'assedio del 1530), ostacolarono l'esecuzione del progetto, che rimase interrotto alla definitiva partenza dell'artista per Roma nel 1534. Inizialmente il Buonarroti studiò il progetto di un monumento isolato, al centro dell'ambiente, simile alla prima idea della «sepoltura» di Giulio u, anche se di dimensioni ridotte, in seguito preferì la soluzione di tombe a parete, con i monumenti dei duchi al centro delle pareti laterali e quello dei «Magnifici» addossato alla parete di fronte all'altare. AI centro di quest'ultimo, che non fu mai realizzato, doveva essere collocata la Madonna col Bambino, scolpita dallo stesso Michelangelo, ma rimasta semplicemente appoggiata sul nudo e liscio sarcofago, insieme con le statue dei santi Cosma e Damiano, protettori della famiglia Medici, scolpite su modelli del Buonarroti dal Montorsoli e da Raffaello di Montelupo.
La pianta del nuovo sacello e la bicromia delle membrature in pietra serena sull'intonaco bianco riprendono il prototipo della Sagrestia del Brunelleschi, ma in alzato Michelangelo aggiunse un piano intermedio tra l'ordine inferiore e la cupola, aperto da finestre timpanate. Le pareti sono suddivise in tre campate, di cui la centrale maggiore rispetto alle laterali, ma le lesene che le scompartiscono sono sospinte verso le estremità laterali, rompendo il calmo equilibrio dell'esempio brunelleschiano, e aumentando l'effetto di tensione, ulteriormente accentuato dal loro restringersi verso l'alto, una rastremazione che prosegue nella cupola, decorata da lacunari scalati in profondità. Anche le paraste grigie poste tra le lesene e i monumenti marmorei sottolineano una compressione che sembra enfatizzare lo slancio verso l'alto. È stato peraltro osservato che stringendo in questo modo lo spazio dei monumenti parietali, Michelangelo ha ridotto le dimensioni delle loro nicchie, con uno scarto di scala e di proporzioni rispetto all'involucro architettonico, creando così una sensibile disarmonia che viene corretta solo dalla presenza delle sculture e dai rimandi spaziali che queste creano tra loro. L'emergere delle statue dai monumenti, l'essere sbalzate fuori dalle nitide e strette membrature che le inquadrano produce effetti dinamici che mutano la percezione dello spazio della cappella.
Sulla parete di destra è collocato il sepolcro di Giuliano di Nemours, seduto, con la corazza e il bastone da capitano, energicamente girato verso l'ingresso, con piglio volitivo, da uomo d'azione. Ai suoi piedi, le allegorie del Giorno e della Notte sembrano gravare sui coperchi delle tombe, spezzandoli come a liberare l'anima del defunto. Le allegorie del Giorno e della Notte, come quelle dell'Aurora e del Crepuscolo, sono concepite come immagini della forza distruttrice del tempo. La Notte, circondata da simboli del buio e del sonno (un diadema con crescente lunare, un barbagianni, una maschera dalle orbite vuote, un mazzo di papaveri), si mostra levigatissima, riflettendo la luce con autentici bagliori lunari. A un sonetto di elogio della statua scritto da Giovan Battista Strozzi, che si concludeva con il verso «déstala, se noi credi, e parleratti», lo stesso Michelangelo rispose con parole colme di amarezza, velatamente allusive al crollo della Repubblica fiorentina: «Caro m'è il sonno, e più l'esser di sasso, / mentre che il danno, e la vergogna dura; / non veder, non sentir, m'è gran ventura; / però non mi destar; deh, parla basso». La statua del Giorno fu lasciata scabra e appositamente non finita (soprattutto nel volto, che sembra non ancora completamente riemerso dal sonno) in modo che la luce si rapprenda sulla superficie.
Di fronte è l'altro monumento, con la figura di Lorenzo di Urbino in posa meditativa, un atteggiamento pensieroso volutamente contrapposto a quello dell'altro duca. Ai piedi di Lorenzo, l'Aurora e il Crepuscolo, la prima raffigurata come appena riemersa dal sonno, con un'espressione amara che esprime tutta l'ansia di affrontare il nuovo giorno, l'altro come abbandonato in una dolorosa inerzia, con i lineamenti come offuscati, per effetto del non-finito. Le statue dei duchi sembrano rivolgersi alla contemplazione della Madonna col Bambino, simbolo di vita perenne, che nel progetto originario doveva collocarsi alla loro stessa altezza, al centro del monumento sulla parete dell'ingresso.
Lo spazio della Cappella appare come separato da quello della vita: agli angoli sono disposte simmetricamente otto porte, quattro reali e quattro finte. Dall'alto la luce spiove verso le tombe con un effetto particolare, determinato dal diverso livello delle cornici delle finestre, più alte all'esterno che all'interno. Alla pietra serena dell'architettura della cappella, Michelangelo contrappone il marmo dei monumenti, che Vasari intese nella loro funzione eminentemente scultorea, chiamandoli «ornamenti», qualcosa di inserito in una struttura architettonica già autosufficiente. In alcuni di questi «ornamenti» Michelangelo elabora alcune ardite variazioni rispetto al canone classico, come nelle fantasiose edicole che pose sopra le porte laterali. Anche nelle membrature di pietra serena, nell'ordine inferiore, l'architetto si attiene al modello brunelleschiano, mentre la sua fantasia si mostra più libera via via che sale agli ordini superiori. Vasari notò che egli «fece assai diverso da quello che di misura, ordine e regola facevano gli uomini secondo il comune uso e secondo Vitruvio e le antichità... la quale licenzia ha dato grande animo a quelli che hanno veduto far il suo... di mettersi ad imitarlo, e nuove fantasie si sono vedute poi alla grottesca più tosto che a ragione o a regola...». In altri termini, si era aperta la strada verso una libertà creativa che conduceva a quella dialettica di regola-licenza che caratterizzò l'ultima fase del rinascimento.
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