LEON BATTISTA ALBERTI-PALAZZO RUCELLAI FIRENZE
Il palazzo Rucellai è uno dei migliori esempi di architettura quattrocentesca a Firenze, posto in via della Vigna Nuova 18. La sua facciata venne progettata da Leon Battista Alberti e fu il primo di una serie di importanti interventi architettonici che l'architetto e teorico del Rinascimento eseguì per la famiglia Rucellai.
Il palazzo, commissionato dal ricco mercante Giovanni Rucellai, fu costruito tra il 1446 e il 1451 da Bernardo Rossellino, su disegno di Leon Battista Alberti, che era legato al Rucellai da amicizia e da affinità culturale. L'Alberti curò solo un intervento parziale, con gli ambienti interni composti da edifici diversi e irregolari, che richiesero una concentrazione, anziché sul volume, sulla facciata, completata verso il 1465. L'Alberti stesso sminuì benevolmente il suo intervento definendolo come "decoro parietale".
Alberti realizzò un capolavoro di stile e sobrietà, e si dice che progettò questo palazzo quasi come illustrazione del suo manuale De Re Aedificatoria (Sull'architettura) del 1452, dove si spiega che l'architettura deve imporsi più per il prestigio delle proporzioni che per la dimostrazione di bellezza e fasto: in questo senso il Palazzo può essere considerato come il primo esempio di tentativo coerente nel sintetizzare norme pratiche e teoriche, come è evidente nell'uso dei tre ordini classici sulla facciata. Il Rossellino non si limitò a mettere in opera i lavori, ma apportò un aumento delle dimensioni originarie.
L'ordine architettonico del piano nobile e stemma
La facciata, di un bugnato di pietraforte uniforme e piatto, è organizzata come una griglia, scandita da elementi orizzontali (le cornici marcapiano e la panca di via) e verticali (le paraste lisce), entro la quale si inseriscono le aperture. Al pianterreno lesene di ordine tuscanico dividono la superficie in spazi dove si aprono i due portali (in origine era uno solo, ma fu raddoppiato simmetricamente quando venne raddoppiato il palazzo e la facciata). Al piano nobile si trovano numerosi elementi classici (i portali, gli ordini architettonici dei capitelli) fusi sapientemente con elementi della tradizione medievale locale, quali il bugnato e le bifore, e con elementi celebrativi dei committenti, come lo stemma e le imprese dei Rucellai, inseriti nei fregi e nei blasoni sopra i portali.
La facciata, di un bugnato di pietraforte uniforme e piatto, è organizzata come una griglia, scandita da elementi orizzontali (le cornici marcapiano e la panca di via) e verticali (le paraste lisce), entro la quale si inseriscono le aperture. Al pianterreno lesene di ordine tuscanico dividono la superficie in spazi dove si aprono i due portali (in origine era uno solo, ma fu raddoppiato simmetricamente quando venne raddoppiato il palazzo e la facciata). Al piano nobile si trovano numerosi elementi classici (i portali, gli ordini architettonici dei capitelli) fusi sapientemente con elementi della tradizione medievale locale, quali il bugnato e le bifore, e con elementi celebrativi dei committenti, come lo stemma e le imprese dei Rucellai, inseriti nei fregi e nei blasoni sopra i portali.
Il piano terra, più alto dei piani superiori, ha i capitelli decorati da una reinterpretazione dell'ordine dorico e due portali rettangolari classicheggianti (in epoca gotica tutti i portali erano ad arco o con arco e architrave). Vi corre davanti una "panca di via", un elemento oltre che di utilità pratica per i passanti, creava una sorta di piano base per il palazzo, come se si trattasse di uno stilobate. Lo schienale della panca riproduce il motivo dell'opus reticulatum romano.
Al primo piano (piano nobile) le paraste sono di tipo composito e vi si aprono delle ampie bifore a tutto sesto, con cornice bugnata, colonnina e oculo al centro. All'ultimo piano si hanno paraste di tipo corinzio, alternate a bifore dello stesso tipo. La sovrapposizione degli ordini come teorizzato da Vitruvio[3], è di conci levigati si ispira all'architettura romana, come nel motivo del basamento a imitazione dell'opus reticolatum. Le paraste decrescono progressivamente verso i piani più alti, dando un effetto prospettico di maggior slancio del palazzo rispetto alla sua vera altezza.
In alto il palazzo è coronato da un cornicione poco sporgente, sostenuto da mensole, oltre il quale è nascosta una loggetta ornata da pitture a monocromo del XV secolo, da alcuni attribuite alla cerchia di Paolo Uccello: l'elemento della loggia è un'ulteriore riprova della rottura con la tradizione medievale e di apertura verso la grande stagione del Rinascimento. Il fregio del piano terra contiene le insegne della famiglia Rucellai: tre piume in un anello, le vele gonfiate dal vento e lo stemma familiare, che compare anche sui blasoni sopra i portali. A destra si vede bene come la facciata sia incompleta, infatti non finisce in maniera netta, ma è frastagliata perché era prevista la continuazione con un terzo portale.
L'effetto generale è vario ed elegante, per il vibrare della luce tra le zone chiare e lisce (lesene) e quelle scure (aperture, solchi del bugnato)[1]. Nel trattato l'Alberti scrisse infatti "La casa del signore sarà ornata leggiadramente, di aspetto piuttosto dilettevole che superbo".
Lo stile del palazzo costituì un punto di partenza per tutta l'architettura di residenza civile del Rinascimento, venendo citato quasi alla lettera dal suo allievo Bernardo Rossellino per il Palazzo Piccolomini a Pienza.
Interno
All'interno del palazzo è di rilievo il cortile rinascimentale, anche se oggi su due lati le arcate sono state murate. Ampie arcate a tutto sesto sono sostenute da colonne con capitelli corinzi molto elaborati, che ricordano quelli delle colonne sopra il portale del Battistero di San Giovanni.
All'interno del palazzo è di rilievo il cortile rinascimentale, anche se oggi su due lati le arcate sono state murate. Ampie arcate a tutto sesto sono sostenute da colonne con capitelli corinzi molto elaborati, che ricordano quelli delle colonne sopra il portale del Battistero di San Giovanni.
Alcune stanze vennero decorate con affreschi di Gian Domenico Ferretti, di Lorenzo del Moro e di Pietro Anderlini.
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