venerdì 12 aprile 2019

LA BADIA FIORENTINA-FIRENZE

La badia Fiorentina è, situata nel cuore della città antica davanti al Bargello e intitolato alla Vergine Maria.
"Badia" è una contrazione popolare della parola abbazia. A Firenze e dintorni sono esistite cinque abbazie, situate come ai punti cardinali della città: a nord la Badia Fiesolana, a ovest la Badia a Settimo, a sud l'abbazia di San Miniato, a est la Badia a Ripoli e al centro la Badia fiorentina.

L'alto medioevo
Antichissima esisteva in questo luogo la chiesa di Santo Stefano detta "del popolo", che è ricordata già nel 960, quando venne venduta da un privato a Willa di Toscana, madre del marchese Ugo, per costruirvi attorno l'abbazia benedettina detta poi Badia Fiorentina (badia significa abbazia). La primitiva chiesa si trova dove oggi sorge la cappella Pandolfini, a fianco della chiesa principale, ricostruita nel Rinascimento su disegno di Benedetto da Rovezzano.
L'abbazia fu fondata invece nel 978. Ugo, divenuto marchese di Toscana, accrebbe con grande munificenza le donazioni della madre e il suo ricordo è stato perpetuato nei secoli, tanto che ogni 21 dicembre viene ancora celebrata una messa per il nobile benefattore, detto da Dante il Gran barone: sulla sua tomba posto un cuscino di fiori bianchi e rossi (i colori del suo stemma) e celebrata all'altar maggiore una messa solenne di suffragio con la partecipazione di popolo e autorità.
Grazie ad altre ingenti donazioni ed anche ai privilegi concessi da papi e da imperatori, l'abbazia acquistò o ereditò varie proprietà ad essa circostanti, ove aprirono le loro attività cartolai, miniatori, legatori, librai, che connotarono la zona con una produzione legata alla realizzazione di libri e pergamene.
Bonifacio di Canossa insediò come abate della badia il monaco eremita benedettino San Maurilio, che lasciò l'incarico nel 1055 per essere eletto da Guglielmo I d'Inghilterra vescovo di Rouen.
Nel 1071 fu annesso un ospedale al monastero. Fra le attività dei monaci c'era anche la viticoltura, come suggeritoci anche dal nome della vicina via della Vigna Vecchia.
Il Duecento: Arnolfo di Cambio
I resti della facciata di Arnolfo, nascosta da edifici, e la torre campanaria
Nel 1285 la chiesa subì un radicale rifacimento in stile gotico ad opera di Arnolfo di Cambio, che ne cambiò l'orientamento con l'abside verso via del Proconsolo. L'orientamento era quello più tradizionale, con le finestre del retro a oriente per ricevere la luce solare ogni mattina. Ancora sono chiaramente visibili su via del Proconsolo i profili delle finestre gotiche, ormai cieche, e la parete absidale esterna, sulla quale è stato appoggiato, con una strettissima intercapedine, la struttura della chiesa odierna.
Anche una parte dell'antica facciata gotica, sopravvissuta solo per la parte superiore con timpano e rosone, è visibile dal cortile della Pretura in via de' Magazzini: si possono notare ancora gli inserimenti di materiale ceramico a decorazione. La chiesa aveva tre navate ed il suo aspetto era molto colorato: aveva un pavimento in materiale ceramico colorato, più antico di quello odierno del battistero, del quale è stata trovata qualche traccia durante alcuni scavi; era coperta da capriate anch'esse coperte di motivi ornamentali, le quali sopravvivono ancora oltre il soffitto a cassettoni odierno; inoltre si era iniziato a istoriare le sue pareti di affreschi.
La chiesa è legata anche a memorie dantesche. Qui, secondo la Vita Nuova, Dante Alighieri vide Beatrice Portinari per la prima volta, durante una messa. In seguito Boccaccio tenne in questa chiesa le celebri letture della Divina Commedia.

Il Trecento
Il campanile (1310-30) cuspidato e a base esagonale è un punto celebre del profilo cittadino e si staglia fra le torri di Palazzo Vecchio e del Bargello (ultimo restauro terminato nel 2001). Per secoli le sue campane hanno scandito le ore in tutta la città. Fu costruito a base esagonale al posto di un vecchio campanile a base circolare.
Nel 1307 il campanile fu abbattuto a metà per punire i monaci riluttanti a pagare una tassa cittadina, ma fu comunque restaurato presto nel 1330. La sua altezza attuale è di circa 70 metri.
Risalivano per lo più a questo secolo gli affreschi che istoriavano le pareti. Sotto l'intonaco bianco seicentesco sono state ritrovate ampie porzioni di pittura, soprattutto parti di una rappresentazione della Tebaide nella controfacciata odierna e nella cosiddetta "cappella di San Bernardo", che un tempo era alla testata della navata sinistra. Anche nell'intercapedine della parte posteriore della chiesa sono stati trovati affreschi nascosti. Tra gli esecutori sono stati fatti i nomi di Nardo di Cione e Maso di Banco. Sull'altare campeggiava un bellissimo polittico di Giotto che oggi si trova agli Uffizi.


Il Rinascimento
Lo stemma di Ugo di Toscana
Nei secoli successivi, l'abbazia benedettina vide alternarsi periodi di decadenza a periodi di rinnovato splendore. Nel Quattrocento fu un centro di cultura umanistica sostenuto dall'abate portoghese Dom Gomes Eanes (OSB) ("il Beato Gomezio");[2] a quel periodo risale la costruzione e la decorazione del chiostro degli Aranci, opera di Bernardo Rossellino per l'architettura e di Giovanni da Consalvo per la maggior parte degli affreschi (1432-38). Numerose opere d'arte in stile rinascimentale la abbellivano: oltre alle sculture di Mino da Fiesole e di Bernardo Rossellino, l'Arte dei Giudici e Notai che aveva la sua sede proprio nel vicino palazzo in via del Proconsolo ed usava talvolta la badia per riunioni e funzioni pubbliche, aveva commissionato al grande Masaccio, tra l'altro egli stesso era figlio di un notaio, la realizzazione su un pilastro della badia di un Sant'Ivo affrescato, in quanto protettore dell'arte.
Pare che Cosimo il Vecchio si fosse offerto di finanziare la ristrutturazione della chiesa, ma il rifiuto dei padri benedettini di apporre il suo stemma lo fece ripiegare sulla chiesa di San Marco. Alla badia campeggia da secoli solo lo stemma del marchese Ugo di Toscana, visibile sia sul portale di via Ghibellina, sia al di sopra dell'altare maggiore.

Sempre al Quattrocento risale il preziosissimo parato di seta rossa ed oro con il classico motivo a "S", che nelle occasioni più importanti poteva coprire l'intera superficie interna della chiesa, cambiandone radicalmente l'aspetto. Quest'enorme quantità di tessuto prezioso ci è provvidenzialmente pervenuta e fu sorprendente quando questo apparato, il più antico del genere a Firenze e tra i più notevoli per antichità e preziosità in Europa, venne casualmente scoperto e riconosciuto nel suo valore durante un sopralluogo casuale di poche decine di anni fa, effettuato dalla professoressa dell'Università di Firenze Dora Liscia. Il tessuto, che ricopriva anche il soffitto, le pale d'altare, eccetera, è ovviamente tagliato sulle dimensioni della chiesa di Arnolfo, e per la sua inutilizzabilità venne relegato ad un armadio per circa tre secoli.

Ai primi del Cinquecento Giovan Battista Pandolfini fece ristrutturare a Benedetto da Rovezzano la parte del monastero all'angolo fra via del Proconsolo e via Dante Alighieri: ven
nero così costruiti la cappella Pandolfini e la loggia nord, che oggi si attraversa per entrare in chiesa.

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