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1. Condono e Fanghi:
due piccioni con una fava. Ovvero il Decreto Toninelli.
Sono intervenuto in Senato parlando del Decreto Genova. Qui il video. Lo hanno visto in tanti, oltre un milione di persone: grazie a chi lo ha condiviso sui social e con gli amici via whatsapp. L'atteggiamento di arroganza del ministro Toninelli è stato semplicemente squallido: si è comportato come allo stadio mentre discutevamo di una strage con 43 morti. E così la maggioranza ha approvato il condono per Ischia: i Cinque Stelle sono riusciti nell'impresa di cancellare dal proprio vocabolario con un colpo solo la parola ambiente e la parola legalità. Grazie a Toninelli i grillini hanno davvero preso due piccioni con una fava. E a chi mi dice: Matteo, non facciamo solo polemiche, avanziamo proposte, rispondo:
2. Politica estera, tra Referendum e Europa
a due velocità
Intensa settimana soprattutto per la politica europea. Qui in Italia stiamo dietro alle acrobazie verbali di Salvini e Di Maio (ogni giorno una litigata per poi fare un compromesso sul niente: non è politica, è wrestling pre-elettorale), ma fuori da qui c'è chi fa politica. Per esempio:
3. Travaglio, la
Gruber e Di Battista.
Per la seconda volta in meno di un mese, il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio è stato condannato in un procedimento contro mio padre: questa volta per 50.000 euro. Sulle condanne insomma Travaglio 2 - Renzi senior 0. Quanto fango ci hanno gettato addosso, quanto fango! Purtroppo una condanna non restituisce la serenità, la gioia, le emozioni perse in questi anni. Ma credo sia importante continuare a credere nella giustizia. Aspettare che si facciano i processi. Mi prendono in giro tutti perché ripeto spesso la frase: il tempo è galantuomo. E che devo dire? Che i giornalisti sono pennivendoli? Quello lo lascio fare ai grillini. O anche a Salvini, guardate qui. Perché Lega e Cinque Stelle hanno lo stesso DNA che rifiuta il confronto con i giornalisti. Attaccare i giornalisti da parte dei grillini è come minimo segno di ingratitudine: non dimentichiamo, mai, che l'Italia è l'unico Paese dove si è permesso di fare un dibattito elettorale senza il confronto televisivo perché Di Maio non voleva. E in trasmissione ci vanno senza contraddittorio grazie al codice Rocco (Casalino, lo squallido portavoce del Premier che ha insultato poveri e persone con sindrome di Down, mai dimenticarlo). Va fatta la battaglia giudiziaria, insomma. E la faremo (ci sono ancora una decina di procedimenti aperti). Ma va fatta anche una battaglia culturale. E la battaglia culturale deve essere fatta ovunque. Mi ha molto colpito, ad esempio, un fatto: la frase che ha portato Travaglio alla condanna è stata pronunciata durante una puntata di Otto e Mezzo, la trasmissione di Lilli Gruber. E proprio il giorno della condanna contro mio padre, Marco Travaglio era di nuovo ospite di Lilli Gruber a riflettere sulla deontologia del giornalista oggi. Mi sono messo davanti alla TV pensando di ascoltare delle scuse. O almeno una risposta a questo ironico e intelligente tweet di Massimo Mantellini. Niente. Non hanno aperto bocca. Nessuno dei giornalisti in studio ha fatto a Travaglio la domanda sulla seconda condanna ricevuta. Eppure la notizia era fresca, su tutte le agenzie. Otto e Mezzo ha dedicato ore di trasmissioni e filmati su mio padre. Io ho subito per mesi veri e propri interrogatori dalla Gruber e dai suoi ospiti su mio padre. Eppure - nel giorno della condanna di Travaglio per una frase contro mio padre detta a Otto e mezzo - nessuno ne ha parlato. Il tempo sarà anche galantuomo, ma qui la battaglia è deontologica, etica, culturale. Chi insulta i giornalisti, salvo poi farsi pagare dal Fatto Quotidiano come fa Di Battista, non appartiene al novero delle persone serie. Ma chiedere anche ai giornalisti il rispetto della verità e delle sentenze mi sembra il minimo sindacale. Sbaglio? matteo@matteorenzi.it Pensierino della sera, sul congresso del PD. Ho chiarito la mia posizione sulla sconfitta del PD in un discorso del luglio 2018 che trovate qui. Ho sottolineato allora i nostri errori ma ho anche detto - e ribadisco - che sono fiero e orgoglioso del lavoro di questi anni. Chi vuole abiurare, vergognarsi, tornare indietro faccia pure. Io non mi vergogno del lavoro sull'economia, sui diritti, sul rinnovamento, sull'Europa, sul sociale, sulla cultura. Per chi non vuole seguire un'ora di discorso, qui - in 100 secondi pronunciati venerdì scorso a Palazzo Vecchio - chiarisco il mio pensiero. Non ho mai voluto organizzare una corrente e non lo farò adesso. Opportunamente Marco Minniti ha sottolineato come la sua storia sia una storia di autorevolezza e indipendenza. Bene! Mi sembra che adesso si possa fare il congresso sulle idee, non su di me. Nel frattempo c'è un Governo che sta facendo male all'Italia. E io ho rinunciato a correre per la segreteria del PD ma non ho rinunciato a combattere contro la cialtronaggine fatta Governo. Per questo ogni giorno lavoriamo in Senato e lavoriamo tra la gente sui comitati d'azione civile Ritorno al Futuro. Qui c'è il discorso di Jacopo, che a 14 anni ha partecipato alla riunione dei comitati di Torino. Un segno di speranza, uno dei tanti. Un sorriso, Matteo App Matteo Renzi |
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lunedì 19 novembre 2018
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