venerdì 30 novembre 2018

CARAVAGGIO-BACCO-GALLERIA DEGLI UFFIZI FIRENZE

Bacco è un dipinto realizzato tra il 1596 ed il 1598 da Caravaggio.
Fu commissionato dal cardinal Francesco Maria Bourbon del Monte, ambasciatore mediceo a Roma e committente e protettore del Caravaggio, per regalarlo a Ferdinando I de' Medici in occasione della celebrazione delle nozze del figlio Cosimo II, per rinsaldare l'amicizia con Ferdinando che aveva avuto così tanta importanza per favorire la carriera del Del Monte. Il dipinto, in questo senso sarebbe concepito, secondo Maurizio Marini, come emblema oraziano dell'amicizia.
L'opera inizialmente venne destinata alla villa d'Artimino, progettata da Bernardo Buontalenti e solo in seguito venne collocata presso le collezioni granducali degli Uffizi con una cornice nera filettata d'oro come riporta l'inventario mediceo del 1609. In seguito venne quasi dimenticata ed accantonata nei depositi degli Uffizi, dopo l'Unità d'Italia; la riscoperta del Bacco si deve al Marangoni, che nel 1913 la trovò in un deposito di via Lambertesca.
L'opera rappresenta Bacco, dio del vino e dell'ebbrezza. Secondo l'iconografia tradizionale è nudo, con una corona di foglie di vite o di edera, con in mano il tirso e un grappolo d'uva o una coppa di vino. In due disegni e in una tavoletta di Domenico Veneziano, Bacco in trionfo porta un cesto di frutti (i doni pagani del dio). Questa immagine è presente anche in una illustrazione del romanzo mitologico di Francesco Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, un'opera molto diffusa negli ambienti colti del nord e del Centro Italia, le cui illustrazioni erano spesso replicate e diffuse nelle botteghe degli artisti.
Il Bacco del Caravaggio si presenta seduto su di una specie di triclinio, coperto da un lenzuolo in forma di tunica che scopre parte del torso. Il dio offre la coppa di vino appena versato (se ne vedono le bollicine) con la mano sinistra, per cui si pensa che il pittore abbia usato uno specchio in cui si riflette la propria immagine (il volto è più paffuto e colorito, offrendo un'immagine di salute e abbondanza (rispetto invece al dimagrimento patologico del cosiddetto "Bacchino malato"). La mano che versa il vino non sembra sicura, ma incerta (come mostrano la posizione delle dita e le vibrazioni sul bicchiere), ed è probabile che il pittore volesse inserire un indizio di ubriachezza.
Antinoo Pio-Clementino, conservato ai Musei Vaticani.
Non si conosce il modello dell'opera: alcuni sostengono che si tratti dello stesso Caravaggio (seppur molto trasformato) che avrebbe lavorato alla stesura dell'opera con un sistema di specchi; altri, invece, notano la somiglianza di questo Bacco con Mario Minniti, compagno e amico di Caravaggio, che probabilmente aveva posato in altre opere del pittore lombardo.
Le interpretazioni del dipinto sono diverse. Il Posner dà un significato omosessuale all'opera notando delle somiglianze con il ritratto di Antinoo, l'amato di Adriano; su questa linea Frommel ritiene che Caravaggio volesse rifarsi al rapporto che c'era tra lui e il modello, Mario Minniti; per Röttengen il Bacco vuole rappresentare un tema caro a Caravaggio, quello dell'eterna giovinezza. L'ipotesi formulata da Maurizio Calvesi, invece, è portata a vedere in Bacco Cristo redentore che offre il vino (il sangue di Dio) come simbolo di sacrificio e redenzione. Ed è possibile, sempre secondo Calvesi, che Caravaggio, inoltre, conoscesse il testo del Comanini, Gli effetti della mistica theologia, del 1590 che parla di Gesù come di un "grappolo d'uva" che viene "torchiato" e rinasce come vino. Ma Bacco, secondo un'allegoria nota anche al cardinal Del Monte, è anche lo Sposo del Cantico dei Cantici , dai capelli ricci e negri e la frutta rappresentata nel cesto allude anch'essa al Cantico (l'uva, le mele, la melograna, i fichi).
La mano destra del Bacco tiene un fiocco, posto in corrispondenza dell'ombelico "onfale del mondo". Esso sarebbe da interpretarsi come il nodo che unisce Dio all'uomo, è quindi un Homo copula mundi tipico della filosofia neoplatonica di Marsilio Ficino, che unitamente all'alchimia era ben nota al cardinale.
Nel corso di una fase di restauro, le sofisticate analisi utilizzate hanno permesso di scoprire, all'interno della citata caraffa di vino, un volto di uomo, che i ricercatori ritengono essere l'autoritratto dello stesso Caravaggio.
In Svizzera, di recente, è stato rinvenuto un altro Bacco ad olio su tela (cm 98x95) che a detta degli studiosi dovrebbe essere una copia realizzata da un seguace o collaboratore del Caravaggio, forse Prospero Orsi, con interventi e supervisione del maestro. Prospero avrebbe realizzato la copia del Bacco, commissionata dallo stesso Del Monte e realizzata contemporaneamente al dipinto degli Uffizi.
ORGOGLIOSO DI ESSERE TOSCANO 

'30 NOVEMBRE 1786 IL GRANDUCATO DI TOSCANA, PRIMO STATO MODERNO, ABOLISCE LA PENA DI MORTE E LE TORTURE

(…) può egli albergare questa inutile crudeltà strumento del furore e del fanatismo o dei deboli tiranni? Le strida di un infelice richiamano forse dal tempo che non ritorna le azioni già consumate? Il fine dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque e quel metodo d’infliggerle deve esser prescelto che, serbata la proporzione, farà una impressione piú efficace e piú durevole sugli animi degli uomini, e la meno tormentosa sul corpo del reo”. Cesare Beccaria, dei delitti e delle pene.
Nel 1764 il milanese Cesare Beccaria pubblica l’opera dei delitti e delle pene. Il filosofo Lombardo, animato dalle idee illuministe diffuse negli ambienti letterari dell’epoca esprime una profonda critica condannando la prassi giudiziaria del suo tempo. Attacca in particolare l’uso della tortura e della pena di morte. Il punto di partenza è individuato nell’errore di valutazione spesso riguardante la misura delle pene. Il fine delle pene non dev’essere quello di annichilire il reo bensì quello di impedirgli di poter ancora nuocere individui e stato. La morte e la tortura son dunque discreditate. Beccaria propone in loro sostituzione l’ergastolo e i lavori forzati. Il principio di pena è accompagnato dall’etica della rieducazione. Esistono però delle eccezioni: “io non veggo necessità alcuna di distruggere un cittadino, se non quando la di lui morte fosse il vero ed unico freno per distogliere gli altri dal commettere delitti, secondo motivo per cui può credersi giusta e necessaria la pena di morte”. L’opera, letta da Voltaire e dalla cerchia dei philosophes illuministi Francesi è considerata un capolavoro. Non pochi sovrani tardo settecenteschi applicano in parte o integralmente i consigli del Beccaria modificando i codici penali. Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, granduca di Toscana, emana un codice legislativo illuminato. Il futuro imperatore Austro Ungarico abolisce tortura, mutilazioni, confische arbitrarie di beni e, per primo in Europa, la pena di morte. Il codice leopoldino contiene una legge di riforma criminale emanata a Pisa il 30 Novembre 1786.

“Siamo venuti nella determinazione di non più lungamente differire la riforma della Legislazione Criminale, con la quale abolita per massima costante la pena di Morte, come non necessaria per il fine propostosi dalla Società nella punizione dei Rei, eliminato affatto l'uso della Tortura, la Confiscazione dei beni dei Delinquenti, come tendente per la massima parte al danno delle loro innocenti famiglie che non hanno complicità nel delitto”
L’atto di enorme rilevanza giuridica, storica ed etica di Pietro Leopoldo inaugura un epoca di riforme giudiziarie mai vista in passato. La rivoluzione francese e la conquista dell’Italia da parte di Napoleone porteranno a un’abolizione del codice penale leopoldino, rimesso in vigore solo un decennio dopo.
30 Novembre 1786, il Granducato non indosserà più l’abito nero del boia. Pietro Leopoldo è un eroe del riformismo. L’evento ha una portata mediatica incredibile, giunge fino a noi. La Toscana innalza questo giorno a sua festa regionale.

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