SESTO
FIORENTINO e CALENZANO TERRA DI PIEVI
PIEVE DI SAN MARTINO A SESTO FIORENTINO
PIEVE DI SANT’ANDREA A CERCINA SESTO
FIORENTINO
PIEVE DI SAN DONATO A CALENZANO
PIEVE DI SAN SEVERO A LEGRI
PIEVE DI SANTA MARIA A CARRAIA
Che cosa
sono le pievi?
La
parola PIEVE deriva dal latino plebs (popolo),
il termine ha tre significati correlati: una comunità di battezzati, un
edificio di culto provvisto di fonte battesimale, il distretto di pertinenza
questa chiesa. Durante l’evangelizzazione fra tarda antichità e alto medioevo,
si svilupparono comunità periferiche di credenti che avevano come nodi le
chiese battesimali sparse nelle campagne. Queste ebbero in genere il nome di
parrocchie, ma in Italia centrosettentrionale e in Corsica furono chiamate
pievi. Il limite meridionale della loro presenza, già ritenuto corrispondente
all’asse Viterbo-Chieti, è stato spostato dalla ricerca contemporanea fino a
comprendere anche l’area salernitana e beneventana. Il resto d’Italia
meridionale e insulare non conobbe invece questa forma di organizzazione del territorio.
Le
prime pievi sono attestate in Toscana – almeno come termine impiegato nella
documentazione – alla fine del VII secolo e si diffondono in tutta l’Italia
centrosettentrionale nel corso dei tre secoli seguenti, costituendo i gangli
fondamentali, soprattutto a partire dalle riforme del periodo carolingio, di un
articolato sistema di gestione e controllo del territorio rurale.
Differentemente dalle numerose chiese e cappelle fondate da privati, la pieve
era una chiesa pubblica, sottoposta – almeno in termini di diritto –
direttamente al vescovo e affidata a un collegio di chierici retto da un
arciprete. Essa aveva una propria circoscrizione ricavata all’interno della
diocesi, entro la quale esercitava le prerogative di chiesa matrice sul popolo
abitante nell’area, che doveva ricevervi il battesimo, corrispondere le decime
e le primizie e accorrere in occasione delle festività maggiori. All’interno
del distretto plebano (detto anche piviere e pievania), le cappelle, gli
oratori e gli altri edifici di culto (qualora non fossero stati resi esenti)
dipendevano dalla pieve e dal suo clero e non godevano dei diritti
parrocchiali. Esistevano anche pievi cittadine, con funzioni di matrice,
distinte rispetto a quelle della cattedrale: per esempio ad Arezzo.
Questa
organizzazione fu tipica dell’alto medioevo, fino al secolo XI compreso, quando
erano pienamente in essere i sistemi abitativi e gestionali delle curtes (in area
franco-longobarda) e dei fundi (in
area bizantina), nei quali le grandi proprietà fondiarie erano spesso non
compatte e in cui la principale forma di insediamento nelle campagne era ancora
l’abitato sparso, cosicché le cappelle private non erano in grado di acquisire
ampie funzioni pastorali e di cura d’anime. La pieve, al contrario, funzionava
proprio come centro di raccordo e di raccolta di una popolazione che,
sparpagliata in villaggi e case isolate, vi confluiva per ricevere il
battesimo: per questa ragione, l’edificio sacro si trovava spesso lungo una
importante via di comunicazione, o sulle sponde di un fiume, o nel fondovalle.
Da ciò scaturisce la questione, molto dibattuta dalla storiografia, se le pievi
siano o meno da considerarsi come prosecuzione diretta, in senso istituzionale
e finanche topografico, degli antichi pagi romani.
La risposta che è stata data è articolata, occorrendo distinguere tra l’area
bizantina, dove la continuità è riconoscibile, e l’area franco-longobarda, dove
le cesure sono più evidenti (Castagnetti); ma in effetti tale correlazione va
sottolineata, almeno dal punto di vista tipologico, in quanto sia il pagus che la pieve
rispondevano ad esigenze insediative analoghe.
Il
sistema per pievi cominciò a entrare in crisi nel corso del secolo XI, quando
la formazione delle signorie territoriali di banno e l’incastellamento sempre
più diffuso mutarono profondamente i sistemi abitativi, che divennero sempre
più accentrati. Dall’inizio del XII secolo le chiese castrali, a volte
sostenute dal signore del luogo, presero a rivendicare con sempre maggior
determinazione alcuni diritti parrocchiali (messa pubblica festiva, penitenza
privata, decime, cimitero e diritti di sepoltura), dando vita a conflitti molto
accesi con i collegi dei chierici della pieve. In alcune zone, come nel Lazio,
l’incastellamento provocò la definitiva scomparsa del sistema plebano e
l’attribuzione di tutti i diritti parrocchiali alle chiese di castello. Nel
resto dell’Italia centrosettentrionale, invece, il fenomeno della
rivendicazione dei diritti parrocchiali complicò il quadro gerarchico,
comportando la creazione delle parrocchie come elemento intermedio tra la sede
cattedrale e la pieve. Quest’ultima non fu peraltro esautorata, continuando
invece a mantenere la funzione di chiesa battesimale e di centro di raccordo,
ora non più di cappelle, ma di parrocchie. Il sistema fu reso ancora più
complesso dal fatto che i comuni cittadini, nella fase di conquista del contado
operata spesso ai danni del vescovo e dei signori rurali, assunsero come
proprio il reticolo delle pievi: soprattutto in Toscana e nella Pianura Padana,
i pivieri divennero circoscrizioni amministrative con le quali la città si
proiettava nel distretto. La crisi, dovuta alle nuove forme di insediamento
(borghi franchi e “ville nove”), ai nuovi indirizzi della pastorale, che
insistevano sulla necessità di un frequente accesso ai sacramenti, e
soprattutto alle nuove forme di devozione popolare, indirizzata verso altri
luoghi di culto, portarono al tramonto del sistema delle pievi. Durante i
secoli XIII e XIV il sistema per parrocchie – detentrici di tutti i diritti
legati alla cura d’anime e provviste di un clero stabile e residente – si andò
sostituendo un po’ dovunque. Ciononostante, in alcune aree periferiche – come
per esempio nel Montefeltro – il sistema più antico sopravvisse durante tutta l’età
moderna.
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