martedì 5 dicembre 2017

TESSUTO E RICCHEZZA-MOSTRA AL MUSEO DELL'ACCADEMIA FIRENZE

FIRENZE - La Galleria dell'Accademia ospita, dal 5 dicembre al 18 marzo 2018, "Tessuto e ricchezza a Firenze nel Trecento. Lana, seta, pittura”, una esposizione ideata e curata dalla direttrice Cecilie Hollberg.


A dispetto delle guerre, delle frequenti epidemie, nonché delle crisi finanziarie e dei conflitti sociali, le lussuose stoffe fiorentine riuscirono ad imporsi in tutta Europa nonostante i costi molto alti. Le grandi corporazioni del settore, della Lana e della Seta, l'Arte di Calimala e di Por Santa Maria, oltre ad essere strutture portanti dell'economia divennero autentici detentori del potere politico nonché straordinari committenti d'arte.
Gli artigiani e i pittori, in particolare, trovarono ampia ispirazione dalle stoffe e dalla moda del tempo, tanto da ''trasferire'' le lussuose trame dei tessuti nelle tavole e negli affreschi custoditi in città così come sarà possibile riscontrare nelle sfavillanti opere tessute e dipinte che saranno visibili nell'esposizione alla Galleria dell'Accademia.

Il complesso, affascinante intreccio fra tessuti e dipinti dell'epoca sarà documentato da una serie di importanti dipinti del Due-Trecento.
Tra le opere ci sarà il grande Crocifisso del tardo Duecento appartenente alla Galleria dell'Accademia - restaurato appositamente per la mostra - che testimonierà, con il raffinato motivo decorativo del tabellone centrale, la ricchezza delle stoffe islamiche più antiche, riscontrabili in alcuni tessuti presenti in Spagna alla metà del Trecento.
In esposizione infine si potrà ammirare anche un eccezionale prestito, un grazioso vestitino in lana proveniente dal National Museum di Copenhagen, confezionato intorno alla metà del XIV secolo per una bimba, recuperato dagli archeologi in Groenlandia.
La piccola veste, che aprirà il percorso espositivo, proviene da scavi condotti nel 1921 a Herjolfnaes sulla costa orientale della Groenlandia, che portarono al rinvenimento di un cospicuo numero di costumi, databili per la maggior parte al Trecento. L’abitino era probabilmente confezionato per una bambina di tre anni. Il busto e le maniche sono strette, mentre la parte inferiore si allarga verso il fondo grazie all’inserzione di due gheroni triangolari davanti e due dietro, posti al centro della figura. Quelli anteriori partono da uno sprone che manca nella parte posteriore. L’ampio scollo ovale non rende necessari spacchi o allacciatura per indossare il capo.
Probabilmente la veste era stata cucina con un tessuto riciclato da un altro abito, come dimostrerebbe lo sprone anteriore, non riscontrabile negli esemplari coevi effettivamente pervenuti o raffigurati nei dipinti. Il tessuto, costruito con una lana locale lavorata su di un telaio verticale a intreccio classico (saia da 2 lega 2), aveva in origine un ordito grigio e una trama bianca, privi di tintura. La forma, aderente in alto e alle maniche e più ampia in fondo, è quella semplificata degli abiti degli adulti, con un numero minimo di gheroni, date le piccola dimensioni della veste: un’esemplificazione significativa del taglio sartoriale del tempo. È interessante notare come, anche nei luoghi più remoti e distanti dai centri dove s’inventavano e si elaboravano le fogge, che facevano moda, queste fossero conosciute e in qualche modo seguite: i ritrovamenti della Groenlandia nel loro insieme ripercorrono le variazioni del taglio che caratterizzano il XIV secolo in tutta Europa.
Chiude il percorso espositivo il sontuoso piviale del Museo Nazionale del Bargello, che testimonia la stupefacente sfarzosità raggiunta da Firenze nel corso del Quattrocento, nel campo della seta e dei velluti.

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