LA PENA DI MORTE IN GIAPPONE
L’esecuzione non viene preannunciata né al condannato né ai suoi parenti né tanto meno
all’avvocato. La mattina stessa il condannato, chiamato d’improvviso, viene informato che “è
arrivata l’ora della tua esecuzione” e subito portato al luogo dell’esecuzione, senza avere
nemmeno la possibilità di dire addio ai familiari. Non può chiamare l’avvocato, quindi non ha
alcuna opportunità di essere assistito legalmente.
Il fatto di non essere avvertito in anticipo, crea instabilità psicologica nel condannato.
Attualmente le esecuzioni avvengono dopo 6 o 7 anni dalla sentenza definitiva. Perciò,
trascorso questo periodo, egli è costretto a trascorrere ogni giorno nel terrore. Può capitargli di
essere mandato a morte mentre sta aspettando l’esito di una richiesta di revisione o, se aveva
presentato domanda di clemenza, può essere giustiziato quasi contemporaneamente
all’annuncio che essa è stata respinta.
Ogni mattina pensa che, se la guardia si fermerà davanti alla cella, sarà la fine. E anche se
non si fermerà oggi, nulla è sicuro per domani: può darsi che abbia avuto soltanto una proroga
di 24 ore. Così la vita continua fino all’esecuzione.
L'ESECUZIONE
Sul luogo dell’esecuzione, avviene una specie di rito programmato dalla direzione della
prigione. Al condannato vengono concessi alcuni minuti per scrivere un testamento, seguiti da
un colloquio di commiato col religioso addetto alla prigione.
Dopodiché, gli vengono legate le mani dietro la schiena, viene bendato e fatto salire sul
patibolo, il cui pavimento è progettato per aprirsi in due. Per impedirgli di agitarsi e procurarsi
ferite sul corpo, gli vengono legate anche le ginocchia, poi gli viene messa la corda intorno al
collo.
A un segnale convenuto, il pavimento si apre in due facendo cadere il condannato. La
lunghezza della corda è regolata in precedenza secondo la statura del condannato, in modo che
questi rimanga sospeso nel vuoto, a 15 cm da terra, dove resterà tremante fino all’ultimo
respiro.
Nel locale sottostante, è presente un medico che controlla il polso e il battito del cuore del
giustiziato. Si dice che ci vogliono da 15 a 20 minuti per spirare.
A esecuzione avvenuta, la famiglia viene messa al corrente dell’accaduto. Presentando
domanda entro 24 ore, è possibile ritirare la salma. Da quando sono riprese le esecuzioni, nel
marzo 1993, sono state giustiziate 41 persone e solo in due casi la salma è stata ritirata.
La salma di Norio NAGAYAMA, giustiziato nell’agosto 1997, era stata richiesta dal suo avvocato,
ma la restituzione è avvenuta in forma di ceneri: la direzione del carcere l’aveva fatta
cremare, probabilmente per nascondere le ferite sul corpo della vittima, segni della sua
resistenza.
Gli oggetti personali del giustiziato vengono restituiti ai familiari, ma i diari scritti dopo che la
sentenza era diventata definitiva vengono esclusi dalla restituzione. In ogni caso, anche se altri
oggetti non venissero resi indietro, non sarebbe possibile verificarne l’esistenza.
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