maieutica
Teeteto, 150 c) – a suscitare dagli animi quelle verità che essi stessi non erano consapevoli di possedere («da me non hanno imparato mai nulla, ma da loro stessi scoprono e generano molte cose belle»). Ricordando come sua madre Fenarete fosse un’abile e stimata levatrice, Socrate rivendica l’ascendenza divina dell’arte di entrambi, «ricevuta in dono da un dio: lei per le donne, io per i giovani nobili e per quanti sono virtuosi» (210 c-d). Naturalmente l’arte di Socrate si applica non ai corpi ma alle anime, che tra dubbi e perplessità simili alle sofferenze del parto, danno vita a pensieri e, in alcuni casi, a verità. L’arte di Socrate è in questo più nobile di quella delle levatrici, perché deve poter distinguere se il pensiero partorito dal suo interlocutore sia «un fantasma e una falsità, oppure qualcosa di vitale e di vero» (150 c). Alcuni interpreti hanno posto in relazione la dottrina dell’anamnesi formulata
nel Menone (➔) con l’arte maieutica descritta nel Teetetocome la capacità di liberare i pensieri sulla scienza già posseduti dall’interlocutore del dialogo e fatti riemergere sotto lo stimolo del διαλέγεσθαι. In età moderna il concetto di m., insieme a quello di ironia, è tornato a svolgere un ruolo centrale nel pensiero di Kierkegaard e mantiene la sua vitalità negli indirizzi psicopedagogici che privilegiano l’aspetto del confronto e dello stimolo creativo in luogo di proposte educative cristallizzate in forme di sapere rigidamente predefinite.
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