no alla pena di morte
1. LA STORIA DELLA
SETTIMANA : MORTE DETENUTO PER CORONAVIRUS: NESSUNO TOCCHI CAINO, INTERVENGANO
CAPO DEL GOVERNO E CAPO DELLO STATO 2.
NEWS FLASH: IRAN HUMAN RIGHTS PUBBLICA IL SUO “RAPPORTO ANNUALE SULLA
PENA DI MORTE IN IRAN NEL 2019”: 280 ESECUZIONI 3. NEWS FLASH: TAIWAN: GIUSTIZIATO DETENUTO CHE
APPICCO’ INCENDIO E UCCISE SEI PERSONE 4.
NEWS FLASH: KENYA: COMMUTATE 23 CONDANNE A MORTE 5. NEWS FLASH: BOTSWANA: DUE UOMINI GIUSTIZIATI
PER OMICIDIO 6. I SUGGERIMENTI DELLA
SETTIMANA :
MORTE DETENUTO PER CORONAVIRUS: NESSUNO TOCCHI CAINO,
INTERVENGANO CAPO DEL GOVERNO E CAPO DELLO STATO L’associazione “Nessuno tocchi
Caino-Spes contra spem”, di fronte alla notizia della prima morte di un
detenuto legata al coronavirus, che segue a quella altrettanto tragica di due
agenti della polizia penitenziaria deceduti nei giorni scorsi, “chiede al Presidente
del Consiglio e al Presidente della Repubblica di prestare la massima
attenzione al rischio di una pandemia estesa alle carceri, che avrebbe effetti
disastrosi non solo per i detenuti e gli operatori penitenziari ma anche per la
comunità esterna.”
I dirigenti dell’associazione Sergio D’Elia, Rita
Bernardini ed Elisabetta Zamparutti, rispettivamente Segretario, Presidente e
Tesoriere, “chiedono altresì al Presidente del Consiglio e al Presidente della
Repubblica di intervenire con urgenza e di adottare, per quanto
istituzionalmente loro compete, tutte le misure necessarie volte a disinnescare
la bomba ad orologeria, ora anche epidemiologica, che apprendisti artificieri
della ‘certezza della pena’ hanno da tempo dolosamente innescato nelle carceri
e che ora non vogliono o non sanno più disinnescare”.
Sul caso del detenuto deceduto all’ospedale civile di
Bologna, i dirigenti di Nessuno tocchi Caino si sono chiesti “quale senso abbia
avuto tenere in carcere un uomo di 76 anni, affetto da altre patologie oltre
che dal Coronavirus, e tenerlo poi in stato di detenzione anche quando è finito
in ospedale, e tenerlo ancora agli arresti domiciliari una volta finito in
terapia intensiva”. “E’ un vero e proprio Stato-canaglia quello che per
difendere Abele si comporta da Caino, quello che nel nome della
certezza-della-pena pratica la pena fino alla morte e la morte per pena.”
“Il Presidente del Consiglio – propongono Sergio D’Elia,
Rita Bernardini ed Elisabetta Zamparutti – decreti una moratoria immediata
dell’esecuzione penale volta a ridurre drasticamente i numeri della popolazione
carceraria, a partire ad esempio dai casi di detenzione per pene o residui di
pena brevi da espiare, senza le attuali preclusioni previste dal decreto legge
n. 18 del 2020 in discussione alle Camere, anzi allargando la platea a chi ha
un residuo pena inferiore a quattro anni e limitando al massimo la custodia
cautelare in carcere.”
“In assenza della volontà politica di seguire quella che
consideriamo la via maestra per affrontare seriamente il problema del
sovrannumero di detenuti nelle carceri e di processi pendenti nei tribunali,
cioè quella dell’indulto e dell’amnistia, da parte sua – concludono Sergio
D’Elia, Rita Bernardini ed Elisabetta Zamparutti – il Presidente della
Repubblica eserciti intanto il suo potere di grazia a fini umanitari a fronte
dell’incombente minaccia ai diritti fondamentali dei cittadini detenuti e alla
stessa sicurezza dei cittadini liberi, e la conceda anche cumulativamente, come
proposto il 23 marzo scorso dal Partito Radicale e ribadito dal
costituzionalista Andrea Pugiotto, perché è una sua prerogativa che il Ministro
della Giustizia non può ostacolare”.
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
IRAN HUMAN RIGHTS PUBBLICA IL SUO “RAPPORTO ANNUALE SULLA
PENA DI MORTE IN IRAN NEL 2019”: 280 ESECUZIONI Il 12° Rapporto annuale sulla
pena di morte di Iran Human Rights (IHR) e ECPM (Ensemble Contre la Peine de
Mort), pubblicato il 31 marzo 2020, fornisce una valutazione e un'analisi delle
tendenze della pena di morte nel 2019 nella Repubblica islamica dell'Iran.
Riassume il numero di esecuzioni nel 2019, la tendenza rispetto agli anni
precedenti, il quadro legislativo e procedurale, i capi d’imputazione, la
distribuzione geografica e una ripartizione mensile delle esecuzioni. Include
anche una lista delle donne e dei minorenni giustiziati nel 2019.
Il rapporto esamina anche il movimento abolizionista
all'interno dell'Iran, incluso il “movimento per il perdono” e il suo
contributo alla limitazione dell'uso della pena di morte, gli artisti e i
cineasti che tentano di promuovere l'abolizione e, di contro, l’operare delle
autorità per incentivare l’uso della pena di morte e il contesto generale di
repressione dei difensori dei diritti umani.
Il rapporto del 2019 è il risultato del duro lavoro di
membri e sostenitori dell'IHR che hanno collaborato alla raccolta e analisi dei
dati. “Siamo particolarmente grati alle fonti di IHR che, riferendo di esecuzioni
segrete in 27 carceri diverse, corrono un rischio significativo”.
A causa del contesto molto difficile, della mancanza di
trasparenza e degli evidenti rischi e limitazioni che i difensori dei diritti
umani affrontano nella Repubblica islamica dell'Iran, IHR ritiene che il suo
rapporto non possa in alcun modo fornire un quadro completo dell'uso della pena
di morte in Iran. Esistono segnalazioni di esecuzioni che non sono incluse in
questo rapporto a causa della mancanza di dettagli sufficienti o dell'incapacità
di confermare i casi attraverso due diverse fonti. Tuttavia, questo rapporto
cerca di fornire le cifre più complete e realistiche possibili nelle
circostanze attuali. L'attuale rapporto non include morti sospette di
prigionieri, né le centinaia che sono state uccise a seguito dei colpi d’arma
da fuoco che le forze di sicurezza hanno, in più occasioni, rivolto
intenzionalmente contro i manifestanti durante le proteste nazionali di
novembre.
IL RAPPORTO 2019 IN BREVE
Almeno 280 persone sono state giustiziate nel 2019, 7 in
più rispetto al 2018.
84 esecuzioni (30%) sono state annunciate da fonti
ufficiali. Nel 2018 e 2017, rispettivamente il 34% e il 21% erano stati
annunciati dalle autorità.
Il 70% di tutte le esecuzioni incluse nel rapporto del
2019, ovvero 196 esecuzioni, non sono state annunciate dalle autorità.
Almeno 225 esecuzioni (l'80% di tutte le esecuzioni) sono
state accusate di omicidio (è il secondo numero più alto in 10 anni).
Almeno 30 persone (circa l'11%) sono state giustiziate
con imputazioni di droga.
13 esecuzioni sono state condotte in spazi pubblici.
Almeno 4 minorenni sono stati giustiziati.
Almeno 15 donne sono state giustiziate.
Almeno 55 esecuzioni nel 2019 e oltre 3.581 esecuzioni
dal 2010 sono state basate su condanne a morte emesse dalle Corti
rivoluzionarie.
Almeno 374 prigionieri condannati a morte per accuse di
omicidio sono stati perdonati dalle famiglie delle vittime - un aumento
significativo rispetto agli anni precedenti.
Il Rapporto è stato pubblicato mentre migliaia di
iraniani stanno piangendo la perdita dei loro cari che sono stati uccisi dalle
forze di sicurezza della Repubblica islamica nelle proteste nazionali del
novembre 2019. La repressione della società civile è stata senza precedenti e
molti difensori dei diritti umani e avvocati sono stati condannati a pesanti
pene detentive.
Il Rapporto 2019 conta 280 esecuzioni, poco più delle 273
persone giustiziate censite nel Rapporto 2018. Quello degli ultimi due anni è
un calo significativo rispetto agli anni precedenti. Nel 2017, ad esempio, le
esecuzioni censite erano state 517.
Il calo è generato da modifiche alla legge anti-narcotici
entrate in vigore a fine 2017, che hanno ridotto le esecuzioni per droga da 230
nel 2017 a 24 nel 2018. Secondo il Rapporto 2019, almeno 30 persone sono state
messe a morte per accuse legate alla droga nel 2019, che è leggermente
superiore rispetto al 2018 ma significativamente inferiore alle esecuzioni
medie annue legate alla droga che erano 360 tra il 2010 e il 2017.
È importante sottolineare che le modifiche sono scaturite
da una forte pressione internazionale sulle autorità iraniane. Le autorità
iraniane hanno ammesso in diverse occasioni che il costo politico delle
esecuzioni legate alla droga era diventato troppo elevato. Nonostante la
limitazione dell'uso della pena di morte per reati di droga, la Repubblica
islamica dell'Iran rimane il paese che compie più esecuzioni al mondo dopo la
Cina.
Come nel 2018, la maggior parte di quelli giustiziati nel
2019 erano accusati di omicidio e condannati a “qisas” (punizione in natura).
Almeno 225 persone sono state giustiziate per accuse di omicidio nel 2019.
Questo è il secondo numero più alto di esecuzioni annuali di qisas negli ultimi
10 anni. Le autorità iraniane affermano che il qisas è il diritto della parte
lesa che può decidere se il condannato debba essere giustiziato o meno, e
lascia la responsabilità della condanna a morte sulle spalle dei familiari
della vittima. Commentando l'uso della legge qisas da parte delle autorità
iraniane, Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore dell'IHR, ha dichiarato: “Oltre a
essere una punizione disumana, qisas rappresenta una grave violazione dei
diritti delle famiglie delle vittime, che passano dalla condizione di vittime della
violenza piene di dolore per la perdita di un familiare, a quella di
carnefici”. IHR e ECPM chiedono la rimozione delle qisas dal diritto penale e
sottol ineano che la sanzione penale è
responsabilità degli stati e non dei comuni cittadini.
In violazione dei loro obblighi internazionali, le
autorità iraniane continuano le esecuzioni di minorenni. Almeno quattro
minorenni sono stati giustiziati nel 2019, e molti sono a rischio di
esecuzione. Le autorità iraniane continuano anche la pratica di esecuzioni pubbliche.
Commentando le esecuzioni pubbliche, Raphaël Chenuil-Hazan, direttore esecutivo
dell'ECPM, ha dichiarato: “L'Iran è uno degli ultimi paesi che praticano
esecuzioni pubbliche. Questa vergognosa pratica deve finire. Chiediamo alla
comunità internazionale, in particolare all'UE, di porre la questione della
pena di morte in generale e delle esecuzioni pubbliche in particolare in cima
alle loro richieste nel dialogo con le autorità iraniane”.
Più del 70% delle esecuzioni elencate in questo rapporto
non sono state comunicate dalle autorità iraniane. Pertanto, il numero totale
di esecuzioni e il numero di minori giustiziati nel 2019 potrebbero essere
molto più alti rispetto alle cifre presentate nel Rapporto. La mancanza di
trasparenza e affidabilità nel sistema giudiziario iraniano deve anche essere
affrontata dalla comunità internazionale per quel che riguarda la sanguinosa
repressione delle proteste nazionali nel novembre 2019. Durante i 3 giorni di
proteste in oltre 100 città in Iran, centinaia di persone sono state colpito a
morte dalle forze di sicurezza. I ricercatori di IHR hanno concluso che almeno
324 persone sono state uccise, la maggior parte a causa di proiettili alla
testa, al collo o al torace, e almeno 10.000 sono state arrestate nell’immediatezza
dei fatti o nelle settimane successive. Reuters ha parlato di “1.500 persone
uccise durante le proteste”.
Come sia, le autorità iraniane non hanno ancora reso noto
il numero di vittime delle proteste di novembre, e nessuno è stato ritenuto
responsabile delle uccisioni. IHR ha anche ricevuto notizie sulle condizioni
disumane in cui gli arrestati sono stati trattenuti. ECPM, IHR e diverse altre
ONG per i diritti umani hanno chiesto una sessione speciale del Consiglio dei
diritti umani delle Nazioni Unite (HRC) per affrontare il tema delle proteste
in Iran e nominare una missione di accertamento delle Nazioni Unite per
indagare sul numero di morti e sulla situazione degli arrestati come un passo
verso l’individuazione dei responsabili dei crimini commessi.
L'alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti
umani, la sig.ra Bachelet, ha invitato l'Iran ad affrontare molteplici
violazioni dei diritti umani: "Secondo quanto riferito, almeno 7000
persone sono state arrestate in 28 delle 31 province iraniane da quando sono
scoppiate le proteste di massa il 15 novembre". L’Alta Commissaria ha
dichiarato di essere “estremamente preoccupata per il loro trattamento fisico,
le violazione del loro diritto a un giusto processo e la possibilità che un
numero significativo di loro possa essere accusato di reati che comportano la
pena di morte, oltre alle condizioni nelle quali sono detenuti”.
A seguito delle cosiddette “Proteste di novembre”, le
autorità iraniane hanno nuovamente mostrato le loro sistematiche violazioni del
giusto processo e dello stato di diritto. La mancanza di accesso all'avvocato
dopo l'arresto, le confessioni teletrasmesse e le denunce di torture ricordano
il fatto che miglioramenti sostenibili dello status dei diritti umani non sono
possibili senza cambiamenti fondamentali nel sistema giudiziario iraniano. IHR
ed ECPM temono che molti di coloro che compaiono nelle confessioni televisive
possano essere condannati a morte in base alle confessioni che hanno fatto
molto probabilmente sotto pressione. Diverse ONG per i diritti umani, tra cui
IHR ed ECPM, hanno invitato l'UE a sanzionare l'emittente statale iraniana per
aver preso parte alla produzione e trasmissione di confessioni forzate.
TAIWAN: GIUSTIZIATO DETENUTO CHE APPICCO’ INCENDIO E
UCCISE SEI PERSONE Un detenuto del braccio della morte è stato giustiziato il
1° aprile 2020 a Taiwan, meno di un anno dopo essere stato condannato per aver
ucciso sei persone dando fuoco a casa sua.
Il ministro della Giustizia Tsai Ching-hsiang ha
dichiarato di aver firmato l'ordine di esecuzione e che la condanna a morte è
stata eseguita nel pomeriggio a New Taipei.
Il 53enne Weng Jen-hsien era stato condannato a morte
dalla Corte Suprema il 10 luglio 2019 dopo essere stato riconosciuto
responsabile della morte dei suoi genitori, del loro badante, di due suoi
nipoti, e della moglie di uno dei nipoti.
Secondo la Corte, Weng ha dato fuoco alla sua casa nel
distretto di Longtan della città di Taoyuan il 7 febbraio 2016 dopo una lite
familiare, e i sei morirono tra le fiamme, mentre altri quattro parenti
riportarono ferite.
Attualmente ci sono 39 detenuti nel braccio della morte a
Taiwan e l'ultima esecuzione prima di Weng è avvenuta il 31 agosto 2018.
Quella di Weng è la seconda esecuzione a Taiwan da quando
il presidente Tsai Ing-wen del Partito Democratico Progressista è entrato in
carica nel 2016.
Negli otto anni della precedente amministrazione guidata
dall'allora presidente Ma Ying-jeou del Kuomintang, furono giustiziati 33
prigionieri.
(Fonti: CNA, 01/04/2020)
Per saperne di piu' :
KENYA: COMMUTATE 23 CONDANNE A MORTE
Il giudice dell’Alta Corte Erick Ogola il 31 marzo 2020
ha stabilito la commutazione in pene detentive delle condanne a morte di 23
detenuti della Prigione di Massima Sicurezza di Shimo La Tewa, nella contea
keniana di Kilifi, ha riportato The Standard.
Il giudice Ogola ha fatto riferimento a una sentenza
della Corte Suprema del 2017 che ha dichiarato incostituzionale la sezione 204
del codice penale, che stabilisce la condanna a morte obbligatoria.
"La condanna a morte obbligatoria elimina la
discrezionalità del processo forzandolo a emettere una sentenza già
predeterminata dal legislatore", si legge nella sentenza della Corte
Suprema.
Alcuni dei 23 detenuti saranno liberati, come nel caso di
Paul Mwaniki, la cui condanna capitale è stata sostituita con 20 anni di
reclusione ma che sarà liberato dal momento che ha già ha trascorso 20 anni
dietro le sbarre.
"Ti ho condannato a 20 anni, ma poiché ha già
scontato quel numero di anni, sei libero", ha dichiarato il giudice Ogola.
I detenuti nel braccio della morte avevano presentato una
petizione all'Alta Corte affinché le loro sentenze fossero riviste dopo la
storica sentenza della Corte Suprema del 2017.
BOTSWANA: DUE UOMINI GIUSTIZIATI PER OMICIDIO Il Botswana
il 28 marzo 2020 ha giustiziato due uomini riconosciuti colpevoli di omicidio.
Queste due ultime esecuzioni portano a quattro le
esecuzioni praticate nel Paese da quando il presidente Mokgweetsi Masisi è
stato eletto lo scorso ottobre.
Moabi Seabelo Mabiletsa, 33 anni, e il suo co-imputato
Matshidiso Tshid Boikanyo, 39 anni, sono stati impiccati di mattina nella
Prigione Centrale di Gaborone, secondo quanto riferito dai servizi
penitenziari.
I due erano stati condannati a morte nel 2017 dall’Alta
Corte di Gaborone in relazione all'omicidio di Vincent Mopipi, un tassista,
commesso il 13 settembre 2013 presso il Blocco 9 della città.
L’8 febbraio 2019 le loro condanne erano state confermate
dalla Corte d’Appello.
Il Botswana ha giustiziato un uomo il mese scorso e un
altro a dicembre.
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