domenica 5 aprile 2020

       NESSUNO    TOCCHI     CAINO          
  no  alla  pena  di   morte         





1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : MORTE DETENUTO PER CORONAVIRUS: NESSUNO TOCCHI CAINO, INTERVENGANO CAPO DEL GOVERNO E CAPO DELLO STATO 2.  NEWS FLASH: IRAN HUMAN RIGHTS PUBBLICA IL SUO “RAPPORTO ANNUALE SULLA PENA DI MORTE IN IRAN NEL 2019”: 280 ESECUZIONI 3.  NEWS FLASH: TAIWAN: GIUSTIZIATO DETENUTO CHE APPICCO’ INCENDIO E UCCISE SEI PERSONE 4.  NEWS FLASH: KENYA: COMMUTATE 23 CONDANNE A MORTE 5.  NEWS FLASH: BOTSWANA: DUE UOMINI GIUSTIZIATI PER OMICIDIO 6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


MORTE DETENUTO PER CORONAVIRUS: NESSUNO TOCCHI CAINO, INTERVENGANO CAPO DEL GOVERNO E CAPO DELLO STATO L’associazione “Nessuno tocchi Caino-Spes contra spem”, di fronte alla notizia della prima morte di un detenuto legata al coronavirus, che segue a quella altrettanto tragica di due agenti della polizia penitenziaria deceduti nei giorni scorsi, “chiede al Presidente del Consiglio e al Presidente della Repubblica di prestare la massima attenzione al rischio di una pandemia estesa alle carceri, che avrebbe effetti disastrosi non solo per i detenuti e gli operatori penitenziari ma anche per la comunità esterna.”

I dirigenti dell’associazione Sergio D’Elia, Rita Bernardini ed Elisabetta Zamparutti, rispettivamente Segretario, Presidente e Tesoriere, “chiedono altresì al Presidente del Consiglio e al Presidente della Repubblica di intervenire con urgenza e di adottare, per quanto istituzionalmente loro compete, tutte le misure necessarie volte a disinnescare la bomba ad orologeria, ora anche epidemiologica, che apprendisti artificieri della ‘certezza della pena’ hanno da tempo dolosamente innescato nelle carceri e che ora non vogliono o non sanno più disinnescare”.
Sul caso del detenuto deceduto all’ospedale civile di Bologna, i dirigenti di Nessuno tocchi Caino si sono chiesti “quale senso abbia avuto tenere in carcere un uomo di 76 anni, affetto da altre patologie oltre che dal Coronavirus, e tenerlo poi in stato di detenzione anche quando è finito in ospedale, e tenerlo ancora agli arresti domiciliari una volta finito in terapia intensiva”. “E’ un vero e proprio Stato-canaglia quello che per difendere Abele si comporta da Caino, quello che nel nome della certezza-della-pena pratica la pena fino alla morte e la morte per pena.”
“Il Presidente del Consiglio – propongono Sergio D’Elia, Rita Bernardini ed Elisabetta Zamparutti – decreti una moratoria immediata dell’esecuzione penale volta a ridurre drasticamente i numeri della popolazione carceraria, a partire ad esempio dai casi di detenzione per pene o residui di pena brevi da espiare, senza le attuali preclusioni previste dal decreto legge n. 18 del 2020 in discussione alle Camere, anzi allargando la platea a chi ha un residuo pena inferiore a quattro anni e limitando al massimo la custodia cautelare in carcere.”
“In assenza della volontà politica di seguire quella che consideriamo la via maestra per affrontare seriamente il problema del sovrannumero di detenuti nelle carceri e di processi pendenti nei tribunali, cioè quella dell’indulto e dell’amnistia, da parte sua – concludono Sergio D’Elia, Rita Bernardini ed Elisabetta Zamparutti – il Presidente della Repubblica eserciti intanto il suo potere di grazia a fini umanitari a fronte dell’incombente minaccia ai diritti fondamentali dei cittadini detenuti e alla stessa sicurezza dei cittadini liberi, e la conceda anche cumulativamente, come proposto il 23 marzo scorso dal Partito Radicale e ribadito dal costituzionalista Andrea Pugiotto, perché è una sua prerogativa che il Ministro della Giustizia non può ostacolare”.


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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

IRAN HUMAN RIGHTS PUBBLICA IL SUO “RAPPORTO ANNUALE SULLA PENA DI MORTE IN IRAN NEL 2019”: 280 ESECUZIONI Il 12° Rapporto annuale sulla pena di morte di Iran Human Rights (IHR) e ECPM (Ensemble Contre la Peine de Mort), pubblicato il 31 marzo 2020, fornisce una valutazione e un'analisi delle tendenze della pena di morte nel 2019 nella Repubblica islamica dell'Iran. Riassume il numero di esecuzioni nel 2019, la tendenza rispetto agli anni precedenti, il quadro legislativo e procedurale, i capi d’imputazione, la distribuzione geografica e una ripartizione mensile delle esecuzioni. Include anche una lista delle donne e dei minorenni giustiziati nel 2019.
Il rapporto esamina anche il movimento abolizionista all'interno dell'Iran, incluso il “movimento per il perdono” e il suo contributo alla limitazione dell'uso della pena di morte, gli artisti e i cineasti che tentano di promuovere l'abolizione e, di contro, l’operare delle autorità per incentivare l’uso della pena di morte e il contesto generale di repressione dei difensori dei diritti umani.
Il rapporto del 2019 è il risultato del duro lavoro di membri e sostenitori dell'IHR che hanno collaborato alla raccolta e analisi dei dati. “Siamo particolarmente grati alle fonti di IHR che, riferendo di esecuzioni segrete in 27 carceri diverse, corrono un rischio significativo”.
A causa del contesto molto difficile, della mancanza di trasparenza e degli evidenti rischi e limitazioni che i difensori dei diritti umani affrontano nella Repubblica islamica dell'Iran, IHR ritiene che il suo rapporto non possa in alcun modo fornire un quadro completo dell'uso della pena di morte in Iran. Esistono segnalazioni di esecuzioni che non sono incluse in questo rapporto a causa della mancanza di dettagli sufficienti o dell'incapacità di confermare i casi attraverso due diverse fonti. Tuttavia, questo rapporto cerca di fornire le cifre più complete e realistiche possibili nelle circostanze attuali. L'attuale rapporto non include morti sospette di prigionieri, né le centinaia che sono state uccise a seguito dei colpi d’arma da fuoco che le forze di sicurezza hanno, in più occasioni, rivolto intenzionalmente contro i manifestanti durante le proteste nazionali di novembre.
IL RAPPORTO 2019 IN BREVE
Almeno 280 persone sono state giustiziate nel 2019, 7 in più rispetto al 2018.
84 esecuzioni (30%) sono state annunciate da fonti ufficiali. Nel 2018 e 2017, rispettivamente il 34% e il 21% erano stati annunciati dalle autorità.
Il 70% di tutte le esecuzioni incluse nel rapporto del 2019, ovvero 196 esecuzioni, non sono state annunciate dalle autorità.
Almeno 225 esecuzioni (l'80% di tutte le esecuzioni) sono state accusate di omicidio (è il secondo numero più alto in 10 anni).
Almeno 30 persone (circa l'11%) sono state giustiziate con imputazioni di droga.
13 esecuzioni sono state condotte in spazi pubblici.
Almeno 4 minorenni sono stati giustiziati.
Almeno 15 donne sono state giustiziate.
Almeno 55 esecuzioni nel 2019 e oltre 3.581 esecuzioni dal 2010 sono state basate su condanne a morte emesse dalle Corti rivoluzionarie.
Almeno 374 prigionieri condannati a morte per accuse di omicidio sono stati perdonati dalle famiglie delle vittime - un aumento significativo rispetto agli anni precedenti.
Il Rapporto è stato pubblicato mentre migliaia di iraniani stanno piangendo la perdita dei loro cari che sono stati uccisi dalle forze di sicurezza della Repubblica islamica nelle proteste nazionali del novembre 2019. La repressione della società civile è stata senza precedenti e molti difensori dei diritti umani e avvocati sono stati condannati a pesanti pene detentive.
Il Rapporto 2019 conta 280 esecuzioni, poco più delle 273 persone giustiziate censite nel Rapporto 2018. Quello degli ultimi due anni è un calo significativo rispetto agli anni precedenti. Nel 2017, ad esempio, le esecuzioni censite erano state 517.
Il calo è generato da modifiche alla legge anti-narcotici entrate in vigore a fine 2017, che hanno ridotto le esecuzioni per droga da 230 nel 2017 a 24 nel 2018. Secondo il Rapporto 2019, almeno 30 persone sono state messe a morte per accuse legate alla droga nel 2019, che è leggermente superiore rispetto al 2018 ma significativamente inferiore alle esecuzioni medie annue legate alla droga che erano 360 tra il 2010 e il 2017.
È importante sottolineare che le modifiche sono scaturite da una forte pressione internazionale sulle autorità iraniane. Le autorità iraniane hanno ammesso in diverse occasioni che il costo politico delle esecuzioni legate alla droga era diventato troppo elevato. Nonostante la limitazione dell'uso della pena di morte per reati di droga, la Repubblica islamica dell'Iran rimane il paese che compie più esecuzioni al mondo dopo la Cina.
Come nel 2018, la maggior parte di quelli giustiziati nel 2019 erano accusati di omicidio e condannati a “qisas” (punizione in natura). Almeno 225 persone sono state giustiziate per accuse di omicidio nel 2019. Questo è il secondo numero più alto di esecuzioni annuali di qisas negli ultimi 10 anni. Le autorità iraniane affermano che il qisas è il diritto della parte lesa che può decidere se il condannato debba essere giustiziato o meno, e lascia la responsabilità della condanna a morte sulle spalle dei familiari della vittima. Commentando l'uso della legge qisas da parte delle autorità iraniane, Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore dell'IHR, ha dichiarato: “Oltre a essere una punizione disumana, qisas rappresenta una grave violazione dei diritti delle famiglie delle vittime, che passano dalla condizione di vittime della violenza piene di dolore per la perdita di un familiare, a quella di carnefici”. IHR e ECPM chiedono la rimozione delle qisas dal diritto penale e sottol  ineano che la sanzione penale è responsabilità degli stati e non dei comuni cittadini.
In violazione dei loro obblighi internazionali, le autorità iraniane continuano le esecuzioni di minorenni. Almeno quattro minorenni sono stati giustiziati nel 2019, e molti sono a rischio di esecuzione. Le autorità iraniane continuano anche la pratica di esecuzioni pubbliche. Commentando le esecuzioni pubbliche, Raphaël Chenuil-Hazan, direttore esecutivo dell'ECPM, ha dichiarato: “L'Iran è uno degli ultimi paesi che praticano esecuzioni pubbliche. Questa vergognosa pratica deve finire. Chiediamo alla comunità internazionale, in particolare all'UE, di porre la questione della pena di morte in generale e delle esecuzioni pubbliche in particolare in cima alle loro richieste nel dialogo con le autorità iraniane”.
Più del 70% delle esecuzioni elencate in questo rapporto non sono state comunicate dalle autorità iraniane. Pertanto, il numero totale di esecuzioni e il numero di minori giustiziati nel 2019 potrebbero essere molto più alti rispetto alle cifre presentate nel Rapporto. La mancanza di trasparenza e affidabilità nel sistema giudiziario iraniano deve anche essere affrontata dalla comunità internazionale per quel che riguarda la sanguinosa repressione delle proteste nazionali nel novembre 2019. Durante i 3 giorni di proteste in oltre 100 città in Iran, centinaia di persone sono state colpito a morte dalle forze di sicurezza. I ricercatori di IHR hanno concluso che almeno 324 persone sono state uccise, la maggior parte a causa di proiettili alla testa, al collo o al torace, e almeno 10.000 sono state arrestate nell’immediatezza dei fatti o nelle settimane successive. Reuters ha parlato di “1.500 persone uccise durante le proteste”.
Come sia, le autorità iraniane non hanno ancora reso noto il numero di vittime delle proteste di novembre, e nessuno è stato ritenuto responsabile delle uccisioni. IHR ha anche ricevuto notizie sulle condizioni disumane in cui gli arrestati sono stati trattenuti. ECPM, IHR e diverse altre ONG per i diritti umani hanno chiesto una sessione speciale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (HRC) per affrontare il tema delle proteste in Iran e nominare una missione di accertamento delle Nazioni Unite per indagare sul numero di morti e sulla situazione degli arrestati come un passo verso l’individuazione dei responsabili dei crimini commessi.
L'alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, la sig.ra Bachelet, ha invitato l'Iran ad affrontare molteplici violazioni dei diritti umani: "Secondo quanto riferito, almeno 7000 persone sono state arrestate in 28 delle 31 province iraniane da quando sono scoppiate le proteste di massa il 15 novembre". L’Alta Commissaria ha dichiarato di essere “estremamente preoccupata per il loro trattamento fisico, le violazione del loro diritto a un giusto processo e la possibilità che un numero significativo di loro possa essere accusato di reati che comportano la pena di morte, oltre alle condizioni nelle quali sono detenuti”.
A seguito delle cosiddette “Proteste di novembre”, le autorità iraniane hanno nuovamente mostrato le loro sistematiche violazioni del giusto processo e dello stato di diritto. La mancanza di accesso all'avvocato dopo l'arresto, le confessioni teletrasmesse e le denunce di torture ricordano il fatto che miglioramenti sostenibili dello status dei diritti umani non sono possibili senza cambiamenti fondamentali nel sistema giudiziario iraniano. IHR ed ECPM temono che molti di coloro che compaiono nelle confessioni televisive possano essere condannati a morte in base alle confessioni che hanno fatto molto probabilmente sotto pressione. Diverse ONG per i diritti umani, tra cui IHR ed ECPM, hanno invitato l'UE a sanzionare l'emittente statale iraniana per aver preso parte alla produzione e trasmissione di confessioni forzate.


TAIWAN: GIUSTIZIATO DETENUTO CHE APPICCO’ INCENDIO E UCCISE SEI PERSONE Un detenuto del braccio della morte è stato giustiziato il 1° aprile 2020 a Taiwan, meno di un anno dopo essere stato condannato per aver ucciso sei persone dando fuoco a casa sua.
Il ministro della Giustizia Tsai Ching-hsiang ha dichiarato di aver firmato l'ordine di esecuzione e che la condanna a morte è stata eseguita nel pomeriggio a New Taipei.
Il 53enne Weng Jen-hsien era stato condannato a morte dalla Corte Suprema il 10 luglio 2019 dopo essere stato riconosciuto responsabile della morte dei suoi genitori, del loro badante, di due suoi nipoti, e della moglie di uno dei nipoti.
Secondo la Corte, Weng ha dato fuoco alla sua casa nel distretto di Longtan della città di Taoyuan il 7 febbraio 2016 dopo una lite familiare, e i sei morirono tra le fiamme, mentre altri quattro parenti riportarono ferite.
Attualmente ci sono 39 detenuti nel braccio della morte a Taiwan e l'ultima esecuzione prima di Weng è avvenuta il 31 agosto 2018.
Quella di Weng è la seconda esecuzione a Taiwan da quando il presidente Tsai Ing-wen del Partito Democratico Progressista è entrato in carica nel 2016.
Negli otto anni della precedente amministrazione guidata dall'allora presidente Ma Ying-jeou del Kuomintang, furono giustiziati 33 prigionieri.
(Fonti: CNA, 01/04/2020)
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KENYA: COMMUTATE 23 CONDANNE A MORTE
Il giudice dell’Alta Corte Erick Ogola il 31 marzo 2020 ha stabilito la commutazione in pene detentive delle condanne a morte di 23 detenuti della Prigione di Massima Sicurezza di Shimo La Tewa, nella contea keniana di Kilifi, ha riportato The Standard.
Il giudice Ogola ha fatto riferimento a una sentenza della Corte Suprema del 2017 che ha dichiarato incostituzionale la sezione 204 del codice penale, che stabilisce la condanna a morte obbligatoria.
"La condanna a morte obbligatoria elimina la discrezionalità del processo forzandolo a emettere una sentenza già predeterminata dal legislatore", si legge nella sentenza della Corte Suprema.
Alcuni dei 23 detenuti saranno liberati, come nel caso di Paul Mwaniki, la cui condanna capitale è stata sostituita con 20 anni di reclusione ma che sarà liberato dal momento che ha già ha trascorso 20 anni dietro le sbarre.
"Ti ho condannato a 20 anni, ma poiché ha già scontato quel numero di anni, sei libero", ha dichiarato il giudice Ogola.
I detenuti nel braccio della morte avevano presentato una petizione all'Alta Corte affinché le loro sentenze fossero riviste dopo la storica sentenza della Corte Suprema del 2017.


BOTSWANA: DUE UOMINI GIUSTIZIATI PER OMICIDIO Il Botswana il 28 marzo 2020 ha giustiziato due uomini riconosciuti colpevoli di omicidio.
Queste due ultime esecuzioni portano a quattro le esecuzioni praticate nel Paese da quando il presidente Mokgweetsi Masisi è stato eletto lo scorso ottobre.
Moabi Seabelo Mabiletsa, 33 anni, e il suo co-imputato Matshidiso Tshid Boikanyo, 39 anni, sono stati impiccati di mattina nella Prigione Centrale di Gaborone, secondo quanto riferito dai servizi penitenziari.
I due erano stati condannati a morte nel 2017 dall’Alta Corte di Gaborone in relazione all'omicidio di Vincent Mopipi, un tassista, commesso il 13 settembre 2013 presso il Blocco 9 della città.
L’8 febbraio 2019 le loro condanne erano state confermate dalla Corte d’Appello.
Il Botswana ha giustiziato un uomo il mese scorso e un altro a dicembre.

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