lunedì 1 luglio 2019

IL CONFORTO DEI CONDANNATI A MORTE: I FRATELLI DELLA COMPAGNIA DI SANTA MARIA DELLA CROCE AL TEMPIO A FIRENZE



Fra le molte compagnie aventi scopo religioso che hanno contraddistinto la storia di Firenze, una è particolarmente memorabile, per il singolare scopo che essa si prefiggeva. Sto parlando della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio, che aveva come principale scopo, quello di confortare ed assistere spiritualmente i condannati a morte.
Si ha notizia della fondazione della Compagnia nel 1343 ad opera di alcuni giovinetti che si riunivano in via San Giuseppe per venerare una immagine della Vergine dipinta in un Tabernacolo, che aveva fama di aver prodigato molte grazie. Questi giovani si riunirono in Confraternita il 25 marzo 1347 ma, a causa della grande pestilenza, non si ordinarono in modo definitivo fino al 1356, anno in cui gli statuti furono approvati dal vicario del Vescovo Matteo da Narni. Fra le molte riforme degli Statuti della Confraternita, memorabile è quella operata nel 1488 da Lorenzo il Magnifico, che fu uno dei più zelanti confratelli della Compagnia.
Una delle opere pie, per la quale i confratelli furono molto benvoluti, era l’ assistenza dei prigionierinel carcere delle Stinche. Bisogna infatti ricordare che le condizioni di vita erano allora durissime: solo chi aveva i mezzi finanziari poteva, versando una cifra giornaliera, ottenere un miglioramento nel vitto e nelle condizioni dell’ alloggio. In pratica all’ epoca, a differenza che ai giorni nostri, i prigionieri si dovevano pagare da soli la permanenza in carcere.
Ecco perchè i confratelli della Compagnia del Tempio tiravano a sorte ogni anno quattro iscritti che prendevano nome di “Buonomini delle Stinche”. Era loro compito amministrare alcune rendite, specificamente dedicate alla liberazione ogni anno di un certo numero di condannati per debiti. Con una provisione del 14 maggio 1428 la Repubblica riconobbe i Buonomi delle Stinche quale magistratura, e li autorizzò a stipendiare un medico, un barbiere, un cappellano ed un custode che provvedessero alle necessità materiali e spirituali dei detenuti. A tale scopo la Compagnia veniva sovvenzionata in ciascun anno con 112 fiorini d’ oro.
Nonostante la grande varietà di opere pie esercitate dai Fratelli della Compagnia, quella che soprattutto la rese famosa fu l’ assistenza prestata ai condannati a morte nelle ultime ore della loro vita. Essi infatti non solo confortavano i condannati nel tragitto fino al patibolo, ma avevano anche cura di seppellire i giustiziati, i quali per l’ avanti non avevano avuto diritto alla sepoltura cristiana.
La prima volta in cui i Confratelli accompagnarono dei condannati al patibolo fu il 28 aprile 1356, ed a tale occasione risale un aneddoto curioso: nel portare alla sepoltura il cadavere di un condannato, il cavallo di uno degli sbrri che accompagnava i Capitani del Popolo, disarcionò il cavaliere e, correndo in mezzo alla folla, urtò la bara gettando a terra il cadavere e coloro che lo portavano. Da questo fatto molti fiorentini trassero superstiziosamente cattivo auspicio per l’ opera di pietà intrapresa, ed avrebbero voluto che i confratelli desistessero. Essi seppero però resistere a queste insinuazioni e continuarono il gravoso ufficio che si erano imposto. Anzi, con gli Statuti del 1360, approvati dal vescovo Pietro Corsini, fecero di questo lo scopo primario della loro Congregazione.
Curioso anche ricordare come dal 1368 la Fraternità avesse iniziato a tenere un Registro dei condannati assistiti, con annotazione del luogo in cui dava sepoltura ai cadaveri: motivo di questo uso fu un’ inchiesta svolta dalla Signoria nello stesso anno per il sospetto che i confratelli avessero restituito ai parenti il cadavere di un certo Barbariccia da Siena. Il Registro della Compagnia fu gravemente danneggiato dalla piena dell’ Arno del 1557, tuttavia sopravvisse in condizioni di poterne fare una copia. E’ grazie a tale Registro che oggi conosciamo alcuni dettagli circa le condanne a morte di alcuni personaggi celebri, come quell’ Antonio Rinaldeschi che fu impiccato alle finestre del Bargello nel 1501.
Non tutti i fratelli della Compagnia della Croce al Tempio erano però ammessi a confortare i condannati a morte. Erano predisposti a tale ufficio solo un numero ristretto di fratelli, che, dovendo vestire nello svolgimento di tale funzione un cappuccio nero che coprisse il volto, venivano chiamati “Neri”. I fratelli Neri avevano l’ obbligo di mantenere il più stretto riserbo sull’ identità degli iscritti, a pena di espulsione: è per questo motivo che, solo incidentalmente sappiamo che Michelangelo fu uno dei Neri.

Per dare un’ idea di come si svolgeva l’ opera dei Neri, riporto qui di seguito un passo di Giovan Maria Cecchi: “Quando il Magistrato degli Otto o altro Magistrato ha condannato qualcuno a morte, si manda la sentenza al Bargello, e si fa sapere a questa compagnia dei Neri, che la sera raguni gli uomini. Il servo di essa compagnia va modestamente a bottega o a casa di ciascuno, e questi di notte si ragunano in una cappella, che è nel palazzo del Bargello, e si vestono di tela nera con cappucci che coprono loro la faccia. La famiglia del Bargello conduce il reo in cappella, e quivi da un caporale della sbirreria gli è fatto intendere come egli debba morire, lasciandolo coi piedi nei ceppi. Allora gli uomini di detta Compagnia gli sono attorno disponendolo a poco a poco a confessarsi e prepararsi alla morte, e così stanno seco tutta la notte, cambiandosi ogni ora, e l’ accompagnano sino che muore e, morto, lo sotterrano”.
Con riguardo alla Compagnia della Croce al Tempio, è molto interessante anche la descrizione degli Spedali ed Oratori che essi ebbero nel tempo, e dai quali pare derivare il nome della Compagnia. Così come interessante è anche ripercorrere il tragitto dei condannati a morte che i fratelli Neri facevano in loro compagnia dal Bargello fino al Prato della Giustizia. Ma di questo parleremo negli appositi articoli.

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