NO ALLA PENA DI MORTE
1. LA STORIA DELLA
SETTIMANA : STORICA SENTENZA CONTRO L’ERGASTOLO. SOSTIENI NESSUNO TOCCHI CAINO
2. NEWS FLASH: LO STATO DELLA PENA DI
MORTE NEGLI USA 3. NEWS FLASH: USA:
CHARLES RAY FINCH ESONERATO DAL BRACCIO DELLA MORTE DEL NORTH CAROLINA 4. NEWS FLASH: PAKISTAN: CONDANNA A MORTE
COMMUTATA IN ERGASTOLO 5. NEWS FLASH:
VIETNAM: CONDANNATO INGIUSTAMENTE A MORTE OTTIENE RISARCIMENTO 6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : OSTIA: 29
GIUGNO 2019, SUPER EVENTO CALCISTICO DI BENEFICENZA ‘NAZIONALE ITALIANA POETI
VS NAZIONALE GIORNALISTI RAI’
STORICA SENTENZA CONTRO L’ERGASTOLO. SOSTIENI NESSUNO
TOCCHI CAINO Cara/o registrata/o alla newsletter di NTC
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Caino con la tua iscrizione per l’anno 2019 e con la devoluzione del tuo
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Il 13 giugno 2019, abbiamo ottenuto un nuovo successo e
conseguito un altro risultato storico! Con la sentenza Viola contro Italia, la
Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha infatti condannato l’Italia perché
l’ergastolo “ostativo”, come disciplinato dall’art. 4 bis dell’ordinamento
penitenziario, è contrario all’art 3 della Convenzione europea per i diritti
umani che vieta la tortura, i trattamenti e le punizioni inumane e degradanti.
Secondo la Corte, infatti, l’ergastolo ostativo è una
forma di punizione perpetua e incomprimibile che nega il diritto alla speranza,
il diritto che deve essere riconosciuto a ogni detenuto, a prescindere dal
reato commesso, di potere un giorno – grazie al proprio cambiamento – chiedere
di varcare la soglia del carcere ed essere riammesso nella società. È una
sentenza molto bella, nella quale abbiamo sentito riecheggiare parole,
pensieri, principi che ci hanno animati in questi anni di impegno nella
campagna “Spes contra spem”, volta appunto a superare il cieco e assoluto
sbarramento alla possibilità di tener conto del cambiamento maturato nel corso
della pena.
Ci sono dei passaggi importanti in questa sentenza – per
la quale dobbiamo ringraziare Antonella Mascia, avvocato difensore di Marcello
Viola – come quello in cui la Corte ricorda che il rispetto della “dignità
umana” non può accettare il “fine pena: mai”, la condanna a una pena fino alla
morte, la preclusione di ogni speranza per il condannato di ritornare un giorno
alla vita sociale e civile. Ci sono passaggi coraggiosi in questa sentenza come
quello in cui si mette in discussione la “collaborazione con la giustizia”
quale unico indice di un avvenuto ravvedimento. Per la Corte, infatti,
“l’equivalenza tra l’assenza di collaborazione e la presunzione assoluta di
pericolosità sociale finisce per non corrispondere al reale percorso
rieducativo” di un condannato che rischia per ciò di non potersi mai
riscattare: qualsiasi cosa faccia in carcere, il danno arrecato è
irrimediabile, la sua pena rimane immutabile, anzi, rischia di aggravarsi con
il passare del tempo. Insomma, la Corte
lo dice a chiare lettere: la personalità del condannato non può restare
congelata al momento del reato commesso.
Nel censurare l’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario
che vieta la concessione di benefici penitenziari, misure alternative al
carcere e liberazione condizionale ai detenuti che non collaborino con la
giustizia, la Corte di Strasburgo ha considerato l’ergastolo “ostativo” un
problema strutturale – sono infatti circa 1.200 i detenuti che scontano questo
tipo di pena – e ha chiesto all’Italia di modificare la legge, preferibilmente
per via legislativa.
Vedremo se e come interverrà il Parlamento. Intanto,
però, sappiamo che la Corte Costituzionale italiana dovrà pronunciarsi su altri
casi di ergastolo “ostativo”. Il primo è il caso di Sebastiano Cannizzaro e la
notizia positiva è che, nella udienza del 22 ottobre prossimo, Nessuno tocchi
Caino, rappresentato dal Prof. Andrea Saccucci, è stato ammesso come parte
interveniente. Inoltre, anche il Comitato Diritti Umani delle Nazioni Unite ha
deciso di ammettere il nostro ricorso collettivo che è stato sottoscritto da
oltre 250 condannati all’ergastolo “ostativo”.
È tanto quello che abbiamo costruito in pochi anni, dopo
il Congresso di Nessuno tocchi Caino che abbiamo tenuto nel carcere di Opera
nel dicembre del 2015 e che Marco Pannella aveva voluto fosse intitolato “Spes
contra Spem”, il motto di San Paolo nella Lettera ai Romani. È partito tutto da
Opera e da Marco che in quel congresso aveva chiamato alla lotta e implorato di
essere speranza i condannati a non avere speranza, gli ergastolani che hanno poi
risposto ritmando con lui: “C’est n’est qu’un debut, continuons le combat”.
Quel Congresso è stata anche l’occasione per realizzare
con i detenuti e il personale dell’amministrazione penitenziaria il docu-film
di Ambrogio Crespi “Spes contra Spem - Liberi dentro” che ha contribuito
anch’esso al successo conseguito con la sentenza della CEDU, scritta anche da
alcuni dei giudici che hanno visto il docu-film quando è stato proiettato a
Strasburgo.
E poi ci sono stati i Laboratori Spes contra Spem che da
ormai quattro anni animiamo nelle sezioni di alta sicurezza di Opera, Parma,
Voghera, Rebibbia e Secondigliano, insieme ai condannati all’ergastolo che sono
oggi persone diverse rispetto a quelle del reato, prova vivente di quello che
ha scritto nella sua sentenza la Corte di Strasburgo: la personalità del
condannato non resta fossilizzata per sempre al momento del reato commesso.
Per spiegare come sia potuto accadere tutto questo e in
così poco tempo, non bastano le categorie del diritto, della politica o delle
scienze sociali, forse è più esatto richiamare l’esempio di Marco, il modo di
pensare, di sentire e di agire che ha connotato la sua vita: cercare di essere
il cambiamento che vuoi vedere nel mondo, di incarnare la speranza contro ogni
speranza, di vivere nel senso e nel modo in cui vuoi che vadano le cose. In
questo senso, i condannati all’ergastolo che sono divenuti persone diverse da
quelle del reato e che contro ogni speranza sono stati speranza, hanno con ciò
liberato oltre che se stessi anche le menti dei giudici di Strasburgo.
Questa lotta per il pieno riconoscimento del diritto alla
speranza nel nostro Paese e nel mondo dobbiamo proseguirla ed estenderla. È
lotta volta a superare radicalmente il sistema di pene crudeli, inumane e
degradanti, quel perverso gioco di specchi per cui alla violenza e al dolore
del delitto debba necessariamente corrispondere la violenza e il dolore del
castigo. Su questo sarà centrato il prossimo Congresso di Nessuno tocchi Caino
che si svolgerà la metà di dicembre a Opera dove speriamo di vederti e di
averti come nostro iscritto per questo straordinario 2019!
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Puoi leggere la sentenza della CEDU nel caso Viola contro
Italia usando il link riportato sotto.
Per saperne di piu' : http://www.nessunotocchicaino.it/documento/la-sentenza-del-caso-marcello-viola-c-italia-50306945
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
LO STATO DELLA PENA DI MORTE NEGLI USA
Un’istantanea sullo stato della pena di morte negli Usa.
La “scatta” il Death Penalty Information Center in occasione dell’esecuzione n°
1500 effettuata contro Marion Wilson il 20 giugno 2019.
Nel 1972, con la sentenza Furman v. Georgia, la Corte
Suprema degli Stati Uniti dichiarò incostituzionale non la pena di morte, ma le
leggi con cui nei vari stati veniva regolamentata. 4 anni dopo, con la sentenza
Gregg v. Georgia la stessa Corte Suprema considerò sufficienti le modifiche
apportate dai vari stati, e diede di nuovo il via libera alle esecuzioni, che
ripresero il 17 gennaio 1977 con l’esecuzione di Gary Gilmore, una vicenda che
fu al centro di un romanzo all’epoca molto famoso, “The Executioner's Song”, Il
canto del boia, di Norman Mailer. Da Gilmore a Wilson, nell’arco di 42 anni,
negli Stati Uniti sono state effettuate 1.500 esecuzioni. Lo studio del DPIC
ritiene che però, allo stato delle cose, si stiano riproponendo tutti i
problemi che nel 1972 portò alla dichiarazione di incostituzionalità delle leggi
capitali, e l’esecuzione di Wilson ne è un chiaro esempio. Da tempo la Corte
Suprema pone come punto fermo che si debba ricorrere alla pena di mor te solo per i “peggiori tra i peggiori
assassini”. Ancora oggi però la pena capitale è invece arbitraria, perché
risente della razza (del criminale e della vittima), della geografia (se un
omicidio avviene dove la pena di morte è in vigore o no, o comunque dove i
procuratori la perseguono oppure no), dei fattori economici, e della bravura e
dedizione degli avvocati. Wilson, ad esempio, non era certo fosse colui che
aveva sparato alla vittima, il processo non aveva chiarito a sufficienza se
l’omicidio fosse stato compiuto materialmente da lui o dal coimputato Robert
Butts (giustiziato nel 2018). Inoltre alcuni analisti avevano notato già
all’epoca del processo che il caso era quasi identico ad un omicidio commesso
nel 1995 in una contea confinante, quando nell’incertezza su chi avesse
materialmente sparato entrambe gli imputati erano stati condannati all’ergastolo
senza condizionale e non a morte. Come se non bastasse, all’interno dello
stesso caso Butts/Wilson si era
verificata una forte sproporzione: la pubblica accusa aveva proposto a Wilson
un accordo per non essere condannato a morte in cambio di una confessione, e a
Butts questo accordo non era stato offerto. Wilson lo aveva rifiutato, e fino
all’ultimo giorno della sua vita ha insistito di non essere lui il responsabile
dell’omicidio. Al tempo del processo, l’avvocato d’ufficio di Wilson non aveva
nessuna esperienza di casi capitali, e in seguito venne anche arrestato.
Inoltre Wilson, lungi dall’essere uno tra i “peggiori tra i peggiori”, aveva
una chiara storia di traumi e negligenze sin dai tempi dell’infanzia, che i
suoi avvocati d’ufficio non approfondirono e non presentarono alla giuria
popolare. Inoltre, in quanto uomo di colore, Wilson appartiene a una minoranza
che all’interno dei bracci della morte è rappresentata con una forte
sproporzione, e il tutto è avvenuto al Sud, ossia quella zona degli Stati Uniti
che da sola compie l’80% delle esecuzioni. Un u
lteriore spunto di riflessione offerto dall’approfondimento del DPIC è
che la vittima, Donovan Parks, era un agente di custodia fuori servizio. In
tutti gli stati dove è in vigore la pena di morte l’uccisione di un membro
delle forze dell’ordine è un reato capitale, e però i dati degli ultimi 40
anni, e di 1500 esecuzioni dimostrano che l’uso della pena di morte non rende
affatto più sicura la vita degli agenti. Analizzando i dati sugli omicidi stilati
annualmente dal FBI (Uniform Crime Report, di cui Nessuno tocchi Caino pubblica
ogni anno un riassunto), risulta che 8 tra i 9 stati con la percentuale più
bassa di agenti uccisi in servizio non ha la pena di morte, e il 9°, il
Wyoming, ha la pena di morte ma da tempo non la usa, e infatti il suo braccio
della morte è vuoto. I 4 stati dove la pena di morte è in vigore ma che hanno
la percentuale più basse di vittime tra le forze dell’ordine (Nebraska, Oregon,
South Dakota, e Wyoming) fanno un uso molto limitato del la pena di more: nessuno dei 4 stati ha
infatti compiuto più di una esecuzione per decennio dal 1976 ad oggi. La 1500a
esecuzione avviene in un momento in cui la pena di morte è da tempo in declino.
Mentre gli Stati Uniti ci avevano messo sette anni per passare dalla esecuzione
500 alla 1000 (1998/2005), c’è voluto il doppio del tempo, 14 anni, per passare
dalla 1000 alla 1500. Meno di 50 condanne a morte sono state imposte in
ciascuno degli ultimi quattro anni, e tutte concentrate in pochi stati. Le
esecuzioni sono diventate anche sempre più geograficamente isolate. Nel 2018,
più della metà di tutte le esecuzioni si sono svolte in Texas e solo otto stati
hanno compiuto esecuzioni. Ma se il numero di esecuzioni sta diminuendo, non
diminuiscono i problemi. 165 persone sono state “esonerate”, ossia prosciolte
dopo una iniziale condanna a morte. Questo significa che una persona viene
riconosciuta innocente e scarcerata ogni 9,1 persone giustiziate. Da quando la
pena di mort e è state reintrodotta, più
di 200 persone sono state giustiziate ai sensi di leggi che in seguito sono
state dichiarate incostituzionali. Ad esempio, prima della sentenza del 2002
che dichiarava incostituzionale giustiziare i portatori di deficit intellettivo
(Atkins v. Virginia), almeno 43 persone con disabilità intellettuale erano già
state giustiziate. E anche dopo Atkins v. Virginia in Texas è stato usato uno
standard di valutazione del deficit intellettivo che ha consentito di
giustiziare 20 persone che in altri stati non sarebbe stato possibile
giustiziare, e che oggi nemmeno il Texas potrebbe più giustiziare dopo che la
legge statale in materia è stata dichiarata incostituzionale nel 2017 con la
sentenza Moore v. Texas. Prima del 2005, quando la sentenza Roper v. Simmons lo
rese incostituzionale, 22 persone erano state giustiziate per reati compiuti
quando ancora erano minorenni. La Florida ha giustiziato 23 persone che erano
state condannate utilizzando una legge sul
le attenuanti che in seguito è stata dichiarata incostituzionale, e
almeno altre 90 persone sono stete giustiziate in altri stati prima che
diventasse incostituzionale applicare le attenuanti solo se direttamente
collegate al reato in questione, e non alla storia personale dell’imputato.
Altre 11 sono state giustiziate senza l’unanimità della giuria popolare, oggi
obbligatoria almeno in parte del processo in tutti gli stati. Anche le
esecuzioni più recenti continuano a mostrare problemi: delle 25 persone
giustiziate nel 2018, almeno 18 avevano evidenti problemi di salute mentale, di
danno cerebrale, di disabilità intellettiva o di traumi infantili cronici. Dei
25, tre hanno accelerato volontariamente l’esecuzione rinunciando ai ricorsi, e
un quarto (non compreso nelle 25 esecuzioni) che riteneva che l’iter di esecuzione
non fosse sufficientemente rapido si è suicidato.
USA: CHARLES RAY FINCH ESONERATO DAL BRACCIO DELLA MORTE
DEL NORTH CAROLINA Charles Ray Finch è stato aggiunto il 26 giugno 2019 con il
n° 166 alla “lista degli esonerati” del DPIC, ossia la lista delle persone che,
dal 1973 ad oggi sono state prima condannate a morte negli Stati Uniti e in un
secondo tempo completamente assolte. La “lista degli esonerati” va anche sotto
il nome di “Innocence List”. Finch era stato scarcerato il 23 maggio dal
braccio della morte del North Carolina su disposizione del giudice federale
Terrence Boyle (United States District Court for the Eastern District of North
Carolina) che aveva disposto la scarcerazione di Finch, e contestualmente aveva
dato 30 giorni di tempo alla pubblica accusa della Wilson County per decidere
se ripetere il processo.
Considerato quanto poco rimanesse valido del vecchio
processo, sembrava improbabile che il processo potesse essere ripetuto, e infatti
il 14 giugno il Procuratore Distrettuale, senza darne notizia preliminare né
alla difesa né alla stampa, ha ritirato tutte le accuse. Finch, che oggi ha 81
anni, nero, venne condannato a morte nel 1976 con l’accusa di aver ucciso
Richard Holloman, proprietario di un negozio, durante una rapina il 13 febbraio
1976.
Nel 1977, la Corte Suprema di stato ridusse la pena in
ergastolo in applicazione di una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti
che aveva dichiarato incostituzionale la legge in vigore all’epoca che
prevedeva l’obbligatorietà della pena di morte per determinati reati. Il 25
gennaio 2019 la Corte d'Appello del 4° Circuito aveva stabilito all’unanimità
che Finch avesse diritto a chiedere l’annullamento del proprio verdetto di
colpevolezza, e a tale scopo aveva rinviato il processo alla corte di grado
inferiore. Nella sentenza la corte d’appello federale aveva definito l’imputato
“actually innocent” (effettivamente innocente), e radicalmente criticato gli
elementi di prova contro Finch. All’epoca del primo processo un perito
balistico aveva testimoniato che un bossolo di fucile ritrovato all’interno
dell’auto di Finch apparteneva all’arma che aveva ucciso la vittima. Nel 2013
una revisione dell’autopsia indicò che la vittima fosse stata uccisa da un colpo di pistola, non di fucile, e un perito
balistico della polizia confermò che il bossolo ritrovato nell’auto di Finch
non poteva essere collegato all’omicidio. Inoltre la corte d’appello aveva
“demolito” i 3 confronti ai quali era stato sottoposto Finch. L’imputato
infatti era stato mostrato al principale testimone oculare dell’omicidio,
Lester Floyd Jones, e ad un testimone secondario, dopo avergli cambiato gli
abiti e avergli fatto inossare abiti molto simili a quelli che i testimoni riferivano
di aver visto. Inoltre Finch era stata l’unica persona mostrata ai testimoni
oculari con indosso gli abiti indicati, mentre gli altri erano vestiti
diversamente. Da allora, questo modo di effettuare i riconoscimenti di persona
è stato dichiarato incostituzionale. Dopo la sentenza della Corte d’Appello
federale, il Procuratore Generale dello Stato, Josh Stein, si era unito agli
avvocati di Finch nel chiedere la scarcerazione dell’uomo. Il caso di Finch dal
2001 vien e seguito dagli avvocati della
“Duke Wrongful Convictions Clinic”. Secondo le statistiche del Death Penalty
Information Center innocence, il caso di Finch è il 10° su 166 in cui sono
serviti oltre 30 anni perché un condannato vedesse riconosciuta la propria
innocenza. Tutti questi 10 casi “trentennali” vedevano come imputati uomini di
colore. In 18 casi su 166 (più del 10% dei casi) il proscioglimento ha
richiesto più di un quarto di secolo. Come già notato il 20 giugno in occasione
della esecuzione n° 1500 dal 1977 ad oggi negli Stati Uniti, ogni 9 persone
giustiziate, c’è stato un caso di proscioglimento.
PAKISTAN: CONDANNA A MORTE COMMUTATA IN ERGASTOLO La
Corte Suprema pakistana il 21 giugno 2019 ha annullato la condanna a morte
emessa nei confronti di un omicida nel 2007, commutando la sentenza in
ergastolo.
Un collegio di tre membri, presieduto dal giudice Asif
Saeed Khosa e comprendente il giudice Sardar Tariq Masood e il giudice Qazi
Mohammad Amin, ha pronunciato il verdetto.
Il detenuto, Karim Nawaz, è stato dichiarato colpevole di
aver ucciso sua sorella, suo fratello e una cognata a Mianwali. Un tribunale di
primo grado aveva condannato Nawaz a morte sulla base di tre accuse di omicidio
e una di terrorismo.
Il condannato si era in seguito riconciliato con la sua
famiglia. Successivamente, le tre condanne per omicidio furono ritirate dal
tribunale, ma la condanna per terrorismo era stata confermata.
In appello, sia l'Alta corte di Lahore che il tribunale
supremo avevano confermato la condanna a morte per terrorismo.
Contro la commutazione della sentenza, il procuratore
generale ha detto che il detenuto ha ucciso tre persone e ora chiede aiuto.
Su questo, il giudice presidente ha detto che il crimine
sembra essere stato commesso in un impeto di rabbia temporanea.
I giudici della Corte Suprema hanno allora deciso di
convertire la pena di morte in ergastolo.
VIETNAM: CONDANNATO INGIUSTAMENTE A MORTE OTTIENE
RISARCIMENTO Un uomo vietnamita di 82 anni è stato risarcito con 6,7 miliardi
di dong (287.500 dollari Usa) per essere stato ingiustamente riconosciuto
colpevole e condannato a morte.
Tran Van Them è stato accusato, riconosciuto colpevole e
condannato a morte nel 1973 e nel 1974. È stato dichiarato innocente solo nel
2017.
Them, un residente del distretto di Yen Phong nella
provincia di Bac Ninh, un'ora a nord-est di Hanoi, ha ottenuto il risarcimento
per i 2.000 giorni, o sei anni, trascorsi in carcere e per gli oltre 14.530
giorni da quando è stato rilasciato su cauzione.
Lui e la sua famiglia inizialmente avevano chiesto un
risarcimento di 15 miliardi di dong per la sua drammatica vicenda, che
includeva due condanne a morte. Dopo lunghi negoziati, hanno accettato meno
della metà della loro richiesta, perché "abbiamo aspettato troppo a
lungo" e Them "è già troppo vecchio e la sua salute è andata
progressivamente peggiorando", ha affermato la famiglia.
Secondo quanto riferito dalla polizia, Them e suo cugino
Nguyen Khac Van stavano per acquistare beni nella provincia di Vinh Phu, che
ora è stata divisa nelle province di Phu Tho e Vinh Phuc, il 23 giugno 1970.
Mentre dormivano sotto un riparo di fortuna usato da un
barbiere di strada durante il giorno, furono aggrediti e derubati. Van fu colpito
alla testa e Them fu ferito. Van morì in ospedale più tardi e la polizia
concluse che Them avesse commesso la rapina e l’omicido.
Al processo di primo grado nel 1973 fu condannato a morte
e la condanna fu confermata nel 1974. Them rifiutò di ammettere la colpevolezza
e affermò di essere innocente.
Nel 1976 fu rilasciato dopo che un uomo del posto ammise
il crimine. Ma quella persona morì nel 1984, prima che la corte riaprisse il
processo.
Poiché gli investigatori non continuarono a indagare sul
caso lasciandolo irrisolto, Them presentò una petizione nel 1997, chiedendo
alla Corte suprema di rivedere il caso, ma nulla mutò.
Il 6 dicembre 2004, Them presentò un'altra petizione, ma
a quel punto i membri del Consiglio di Giustizia della Corte Suprema del Popolo
avevano distrutto tutti i file dei processi di prima istanza e di appello. Ciò
ha permesso alla polizia di iniziare le indagini di nuovo in linea con i
regolamenti.
Undici anni dopo, gli investigatori hanno raccolto prove
sufficienti per chiudere il caso e affermare l'innocenza di Them.
L’8 agosto 2016 gli investigatori hanno deciso di
chiudere le indagini su Them e la Corte Suprema ha riconosciuto la sua
innocenza. Tre giorni dopo, la Corte si è pubblicamente scusata con Them. Nel
2017, la Corte suprema ha cancellato tutti i precedenti penali relativi a Them
e ha iniziato a negoziare il risarcimento.