STORIE DI UN MONDO ANTICO
di guido michi
TRA STORIA E
FANTASIA
Nel
percorrere la stradina che si inerpicava verso il colle di San Miniato e quello
di Arcetri, finalmente giunsi ad un bivio e senza pensarci su decisi di
prendere la deviazione posta a sinistra ed in base all’orientamento ero certo
che essa mi avrebbe condotto verso SAN MINIATO. Ma che santi strani e stranieri
ha Firenze. SAN GIOVANNI, il patrono, SANTA REPARATA, colei a cui era dedicato
il vecchio Duomo e poi questo SAN MINIATO.
SAN MINIATO:
E’ stato un santo venerato, ed
importante almeno nel Medioevo, in Toscana più che altrove. Narra la
leggenda che Miniato fosse un re armeno il quale, di passaggio a
Firenze nel 250 d.C., durante una delle tante persecuzioni contro
i Cristiani, rifiutatosi di venerare l’imperatore Decio e gli dei, fu
condannato a morte. Narra la leggenda che nell’anfiteatro (di cui ancora
oggi si riconosce il perimetro nell’andamento di alcune case e alcune vie vicino
a Santa Croce) fu sottoposto alle più svariate torture dalle quali uscì,
però, sempre indenne. Solo il definitivo taglio della testa lo uccise. O forse
no, perché Miniato si prese la testa sottobraccio, corse fuori
da Florentia, attraversò l’Arno e salì sul Mons Florentinus. Qui,
finalmente, giacque e sul luogo della sua morte fu costruita, poi, la chiesa
di San Miniato al Monte.
Una versione meno fantasiosa della
leggenda, senza andare a scomodare i re armeni, sostiene che Miniato fosse
un soldato romano di Florentia. Non cambia però la sostanza, perché per il
resto la leggenda è uguale e porta alla giustificazione del perché la splendida
chiesa di San Miniato al Monte fu eretta in quella posizione, in
collina, dominante sull’Arno e sulla città.
La leggenda di GIOVANNI GUALBERTO
VISDOMINI fondatore dell’ordine dei
Valombrosani divenuto santo e PATRONO DEI FORESTALI
Prendo a
prestito alcune righe dalla Splendida storia di Firenze di Piero Bargellini,
in cui recita: “Uscendo da Porta San Miniato, lungo la
stradetta, che serpeggiando tra gli olivi, sale all’antico monastero, si vede
sulla facciata d’una casa, un grande tabernacolo, da poco restaurato, che
ricorda il perdono di Giovanni Gualberto.”
Da
questo tabernacolo parto oggi per ricordare un avvenimento che fa parte della
più antica agiografia su Giovanni Gualberto.
Le
antiche Vitae del santo (se ne conoscono quattro: una
scritta da Andrea Strumi da Parma, una da Attone da Pistoia, e due anonime)
riportano sostanzialmente lo stesso episodio: Giovanni, rampollo della nobile
famiglia fiorentina dei Visdomini, perde il fratello in
un agguatoteso da una potente famiglia avversaria e si impegna
per questo, come avveniva di solito all’epoca, a non darsi pace fino a che non
avesse avuto la propria vendetta.Incontra casualmente l’uccisore del fratello,
un giorno, appena fuori l’attuale Porta di San Miniato, mentre
scende dal Pian dei Giullari alla chiesa di San Niccolò Soprarno, e lì, vistosi
perso e senza via di fuga, il suo avversario si prostra con le braccia in croce
per ricevere il primo colpo.
E’ il
momento in cui Giovanni, colto da immediata ispirazione, riconosce nel nemico con le braccia in croce il Cristo Crocifisso:
raccontano le Vitae che Giovanni perde di colpo ogni velleità di vendetta,
rialza l’assassino di suo fratello e lo perdona. Secondo i suoi agiografi,
Giovanni desiste dal suo proposito omicida perchè ha riconosciuto nella croce
disegnata dal suo avversario il Cristo che, sulla croce, ha perdonato i suoi
persecutori, e decide per questo di farsi imitazione del Crocifisso.
La nota
leggenda tramandataci prosegue con Giovanni che, assieme all’avversario
risparmiato, sale dalla Porta alla vicina basilica di San Miniato. Insieme si
inginocchiano a pregare e, sempre secondo la leggenda, il Crocifisso cui si rivolgono i due oranti miracolosamente annuisce a
dimostrare l’approvazione per il gesto di perdono compiuto da Giovanni.
FINE DODICESIMA PARTE
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