lunedì 3 settembre 2018


STORIE DI UN MONDO ANTICO

di guido michi



TRA STORIA E FANTASIA


Nel percorrere la stradina che si inerpicava verso il colle di San Miniato e quello di Arcetri, finalmente giunsi ad un bivio e senza pensarci su decisi di prendere la deviazione posta a sinistra ed in base all’orientamento ero certo che essa mi avrebbe condotto verso SAN MINIATO. Ma che santi strani e stranieri ha Firenze. SAN GIOVANNI, il patrono, SANTA REPARATA, colei a cui era dedicato il vecchio Duomo e poi questo SAN MINIATO.
SAN MINIATO:
E’ stato un santo venerato, ed importante almeno nel Medioevo, in Toscana più che altrove. Narra la leggenda che Miniato fosse un re armeno il quale, di passaggio a Firenze nel 250 d.C., durante una delle tante persecuzioni contro i Cristiani, rifiutatosi di venerare l’imperatore Decio e gli dei, fu condannato a morte. Narra la leggenda che nell’anfiteatro (di cui ancora oggi si riconosce il perimetro nell’andamento di alcune case e alcune vie vicino a Santa Croce) fu sottoposto alle più svariate torture dalle quali uscì, però, sempre indenne. Solo il definitivo taglio della testa lo uccise. O forse no, perché Miniato si prese la testa sottobraccio, corse fuori da Florentia, attraversò l’Arno e salì sul Mons Florentinus. Qui, finalmente, giacque e sul luogo della sua morte fu costruita, poi, la chiesa di San Miniato al Monte.
Una versione meno fantasiosa della leggenda, senza andare a scomodare i re armeni, sostiene che Miniato fosse un soldato romano di Florentia. Non cambia però la sostanza, perché per il resto la leggenda è uguale e porta alla giustificazione del perché la splendida chiesa di San Miniato al Monte fu eretta in quella posizione, in collina, dominante sull’Arno e sulla città.
La leggenda di GIOVANNI GUALBERTO VISDOMINI  fondatore dell’ordine dei Valombrosani divenuto santo e PATRONO DEI FORESTALI 


Prendo a prestito  alcune righe dalla Splendida storia di Firenze di Piero Bargellini, in cui recita: “Uscendo da Porta San Miniato, lungo la stradetta, che serpeggiando tra gli olivi, sale all’antico monastero, si vede sulla facciata d’una casa, un grande tabernacolo, da poco restaurato, che ricorda il perdono di Giovanni Gualberto.”
Da questo tabernacolo parto oggi per ricordare un avvenimento che fa parte della più antica agiografia su Giovanni Gualberto.
Le antiche Vitae del santo (se ne conoscono quattro: una scritta da Andrea Strumi da Parma, una da Attone da Pistoia, e due anonime) riportano sostanzialmente lo stesso episodio: Giovanni, rampollo della nobile famiglia fiorentina dei Visdomini, perde il fratello in un agguatoteso da una potente famiglia avversaria e si impegna per questo, come avveniva di solito all’epoca, a non darsi pace fino a che non avesse avuto la propria vendetta.Incontra casualmente l’uccisore del fratello, un giorno, appena fuori l’attuale Porta di San Miniato, mentre scende dal Pian dei Giullari alla chiesa di San Niccolò Soprarno, e lì, vistosi perso e senza via di fuga, il suo avversario si prostra con le braccia in croce per ricevere il primo colpo.
E’ il momento in cui Giovanni, colto da immediata ispirazione, riconosce nel nemico con le braccia in croce il Cristo Crocifisso: raccontano le Vitae che Giovanni perde di colpo ogni velleità di vendetta, rialza l’assassino di suo fratello e lo perdona. Secondo i suoi agiografi, Giovanni desiste dal suo proposito omicida perchè ha riconosciuto nella croce disegnata dal suo avversario il Cristo che, sulla croce, ha perdonato i suoi persecutori, e decide per questo di farsi imitazione del Crocifisso.
La nota leggenda tramandataci prosegue con Giovanni che, assieme all’avversario risparmiato, sale dalla Porta alla vicina basilica di San Miniato. Insieme si inginocchiano a pregare e, sempre secondo la leggenda, il Crocifisso cui si rivolgono i due oranti miracolosamente annuisce a dimostrare l’approvazione per il gesto di perdono compiuto da Giovanni.

FINE DODICESIMA PARTE







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