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sabato 29 aprile 2017
VERROCCHIO-IL DAVID-MUSEO NAZIONALE DEL BARGELLO
FIRENZE
Il David di Verrocchio è una scultura bronzea (altezza 126 cm), databile al 1472-1475.
L'opera è ricordata tra quelle eseguite dall'artista per i Medici, in particolare i fratelli Lorenzo e Giuliano, nell'elenco redatto da Tommaso Verrocchi nel 1495. Citato da Vasari, che lo riferiva al periodo successivo al soggiorno a Roma dell'artista (inizio degli anni settanta del quattrocento), venne acquistato nel 1476 dalla Signoria di Firenze, ponendo il termine ante quem.
Agli inizi del Seicento confluì nelle raccolte granducali degli Uffizi e verso il 1870 venne destinato, con la maggior parte delle sculture rinascimentali, al nascente Museo nazionale del Bargello.
Il David aveva come illustre precedente quello bronzeo di Donatello (1440 circa), al quale l'artista si ispirò distaccandosi però dal modello anche sostanzialmente. La figura dell'eroe biblico non è più nuda, ma abbigliata come un adolescente paggio cortese, dall'idealizzata e goticizzante bellezza che rimanda piuttosto alle opere di Lorenzo Ghiberti.
Con la testa del gigante Golia ai piedi, Davide si erge vittorioso con una posa fiera ed elegante, dolcemente ancheggiante sulla destra, bilanciata da il braccio appoggiato in vita e dalla testa girata a sinistra. Nel braccio destro invece tiene la spada, che scarta verso l'esterno. Lo spazio viene quindi occupato in maniera complessa e sollecita molteplici punti di vista da parte dello spettatore.
Lo sguardo è sfuggente, rivolto vagamente di lato, e con il sorriso appena abbozzato genera una sfumatura espressiva di spavalderia adolescenziale, che testimonia un inedito interesse verso le sottigliezze psicologiche.
Il modellato dolce ed esatto anatomicamente e la soffusa psicologia furono elementi che Verrocchio trasmise al suo più illustre allievo, Leonardo da Vinci: si ritiene verosimile l'ipotesi che nelle fattezze del David sia stato ritratto proprio Leonardo da giovane.
nessuno tocchi caino
NO ALLA PENA DI MORTE
NO ALLA PENA DI MORTE
1. LA STORIA DELLA
SETTIMANA : ISTITUZIONE DEL TRIBUNALE DELLE LIBERTÀ MARCO PANNELLA 2. NEWS FLASH: ARKANSAS (USA): QUATTRO
GIUSTIZIATI IN OTTO GIORNI 3. NEWS
FLASH: IRAN: COMMISSIONE GIUSTIZIA APPROVA RIFORMA DELLA PENA DI MORTE PER
DROGA 4. NEWS FLASH: PAKISTAN: QUATTRO
IMPICCATI PER TERRORISMO 5. NEWS FLASH:
SOMALIA: QUATTRO FUCILATI A BAIDOA PER TERRORISMO 6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
ISTITUZIONE DEL TRIBUNALE DELLE LIBERTÀ MARCO PANNELLA
Roma, martedì 2 maggio 2017, ore 11, in Via di Torre
Argentina 76, nella sala conferenze del Partito Radicale
Presentazione del Tribunale delle Libertà Marco Pannella.
Il Tribunale delle Libertà Marco Pannella viene istituito
dal ‘Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito per affrontare
con efficacia i drammatici problemi delle vecchie e nuove schiavitù che
tormentano molta parte della popolazione in Italia e nel mondo. Il Partito
Radicale, con la collaborazione di cittadini provenienti dal mondo giuridico,
culturale, sociale e politico, rinnova e rafforza il suo impegno nella difesa
di tutti coloro che abbiano subito gravi violazioni nel loro diritto alla
giustizia, alla dignità, alla conoscenza, al lavoro e alla vita.
Il Tribunale sarà un luogo d’incontro dove, nel
proseguimento dell’opera di Marco Pannella, le fragilità sociali potranno
trovare ascolto e voce contro qualunque forma di ingiustizia e dove potranno
ricevere protezione contro soprusi e violenze.
Marco Pannella nasceva a Teramo il 2 maggio 1930, la sua
scomparsa il 19 maggio del 2016 ha lasciato un grande vuoto umano e politico ma
la sua testimonianza di vita e generosità per l’affermazione dei diritti di
tutti - soprattutto dei più deboli e indifesi-è un grande patrimonio,
nell’indifferenza e nel cinismo che si incontrano sempre più spesso.
Il “Tribunale delle Libertà Marco Pannella” istituirà
delle ‘Corti di Giustizia’ formate da giuristi e rappresentanti del mondo della
cultura, delle professioni e del volontariato per affrontare i grandi temi
delle povertà, delle guerre, delle ingiustizie e delle diverse forme di
schiavitù derivanti da una ‘globalizzazione’ antisociale e dalle crisi
internazionali.
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
ARKANSAS (USA): QUATTRO GIUSTIZIATI IN OTTO GIORNI
27 aprile 2017: Kenneth Williams, 38 anni, nero, è stato
giustiziato, e l’iniezione letale sembra abbia presentato qualche problema. È
la quarta esecuzione che lo stato effettua nell’arco di 8 giorni. In realtà il
Governatore aveva fissato 8 esecuzioni in questo arco di tempo, ma 4 esecuzioni
sono state rinviate con motivazioni varie da alcuni giudici. Apparentemente
l’esecuzione è durata 13 minuti, con il detenuto dichiarato morto alle 23,05.
Un giornalista dell’Associated Press che ha assistito
all’esecuzione ha detto che il corpo del detenuto ha sobbalzato 15 volte in
rapida successione, e poi altre 5 volte con una successione più lenta.
Secondo J.R. Davis, che non ha assistito all’esecuzione,
portavoce del governatore Asa Hutchinson, si è trattato “di una reazione
muscolare involontaria”.
Shawn Nolan, uno degli avvocati di Williams, che non ha
assistito all’esecuzione, ha detto che i resoconti sono “terrificanti” e che
sta presentando la richiesta per un’indagine a tutto campo sui problemi che
hanno caratterizzato l’esecuzione di stanotte.
Il governatore Hutchinson ha emesso un comunicato in cui
evidenzia che il sistema legale nelle ultime due settimane ha dato prove di
funzionare, e che effettuare le esecuzioni era necessario, considerato anche
che non c’è mai stato dubbio sulla colpevolezza degli imputati. Come è noto, la
“fretta” nell’effettuare le esecuzioni, in uno stato che non ne compiva dal
2005, deriverebbe dal fatto che il 30 aprile era la data di scadenza dell’unico
lotto di Midazolam in possesso dell’Amministrazione Penitenziaria,
amministrazione che ha reso noto più volte di non essere in grado al momento di
procurarsi altre dosi letali.
Williams era stato condannato a morte nel 2000 con
l’accusa di aver ucciso, il 3 ottobre 1999, Cecil Boren, 57 anni, bianco. Quel
giorno Williams era appena evaso dal penitenziario di Varner (lo stesso dove è
situato anche il braccio della morte e dove stanotte è stata effettuata
‘esecuzione) dove stava scontando una condanna all’ergastolo senza condizionale
per aver ucciso, nel dicembre 1998, una ragazza di 19 anni, Dominique Hurd, nera.
Dopo la fuga dal penitenziario nascosto dentro i bidoni
della spazzatura, Williams aveva fatto irruzione nella casa dei Boren, dove
aveva rubato alcune armi e un’automobile. Williams venne arrestato alcuni
giorni dopo al termine di un inseguimento conclusosi con un incidente in cui
morì l’autista di un camion. Nel 2005, dal carcere, Williams scrisse una
lettera a un giornale in cui disse di aver ucciso anche Jerrell Jenkins, 36
anni, lo stesso giorno in cui aveva ucciso la Hurd.
Oggi, come ultima dichiarazione, ha voluto chiedere scusa
ai parenti di tutte le vittime.
Williams diventa il 4° giustiziato di quest’anno in
Arkansas, il 31° da quando lo stato ha ripreso le esecuzioni nel 1990, il 10°
quest’anno negli USA, e il n° 1452 da quando gli USA hanno ripreso le
esecuzioni nel 1977.
Il 20 aprile è stato giustiziato Ledell Lee. L’esecuzione
è iniziata alla 23,44 e si è conclusa, con l’accertamento della morte da parte
di un medico, alle 23,56.
Lee, 51 anni, nero, era stato condannato a morte nel 1995
con l’accusa di aver ucciso, nel febbraio 1993, Debra Reese, 26 anni, bianca,
durante una rapina in abitazione.
Il 24 aprile due uomini sono stati giustiziati nello
Stato a poco più di 3 ore di distanza.
Il primo è stato Jack Jones, 52 anni, bianco, giustiziato
poco dopo l’orario previsto, le 19.
Secondo un reporter dell’Associated Press che ha
presenziato (non alla fase in cui viene inserito l’ago in vena, che avviene con
le tende tirate) Jones ha mosso le labbra poco dopo l’inizio del flusso del
Midazolam, e uno degli addetti gli ha inserito in bocca un depressore linguale
per alcune volte. Il torace ha smesso di muoversi due minuti dopo l’ultima
verifica del livello di coscienza. È stato dichiarato morto alle 19,20. Secondo
l’avvocato di Marcel Williams, la cui esecuzione era fissata per le ore 22 e
che ha cercato di far rinviare l’esecuzione del suo assistito, gli addetti
avevano impiegato circa 45 minuti per inserire l’ago in vena, non trovandone
una adatta. Jones era stato condannato a morte il 17 aprile 1996 con l’accusa
di aver ucciso, il 6 giugno 1995, Mary Phillips, 34 anni, e di aver tentato di
ucciderne anche la figlia undicenne. Era stato condannato anche per lo stupro e
l’omicidio, avvenuto il 1° giugno 1991, di Lorraine Anne Barrett,
32 anni. Recentemente,
durante l’udienza per valutare la sua richiesta di clemenza, aveva ammesso i
fatti. Durante la detenzione gli era stata amputata una gamba a causa del
diabete.
Il secondo ad essere messo a morte è stato Marcel
Williams, 46 anni, nero, la cui esecuzione è iniziata alle 22.16, circa un
quarto d’ora dopo l’orario previsto a causa di un breve rinvio disposto da un
giudice federale per vagliare un ricorso dell’avvocato di Williams secondo il
quale l’esecuzione precedente aveva presentato dei problemi.
Un rapporto ufficiale inviato al giudice dall’ufficio del
Procuratore Generale ha negato l’esistenza di qualsiasi problema, e la
sospensione è stata ritirata. Apparentemente l’esecuzione di Williams,
dichiarato morto alle 22.33, non ha presentato problemi.
Williams era stato condannato a morte nella Pulasky
County il 14 gennaio 1997 con l’accusa, in parte ammessa, di aver rapinato,
violentato e ucciso Stacy Errickson, 22 anni, bianca.
Williams durante il processo ha ammesso il sequestro
della vittima e di averla obbligata a ritirare denaro da diversi bancomat, ma
ha cercato attribuire a dei complici lo stupro e l’uccisione della vittima.
Secondo l’accusa Williams nei giorni precedenti aveva già rapito, violentato e
ucciso alter due donne. Il mese scorso, durante l’udienza per valutare la sua
richiesta di clemenza, aveva ammesso i fatti.
IRAN: COMMISSIONE GIUSTIZIA APPROVA RIFORMA DELLA PENA DI
MORTE PER DROGA
24 aprile 2017: Il portavoce della Commissione giustizia
del parlamento iraniano ha annunciato che la commissione ha approvato la
proposta di riduzione della pena di morte a 30 anni di carcere per una serie di
reati legati alle droghe. Nel frattempo, il numero di arresti legati alle
droghe aumenta nel Paese.
Hassan Nourouzi, deputato e membro della Commissione
giustizia del parlamento iraniano, ha riferito la notizia al "Khaneh
Mellat", organo di informazione ufficiale del parlamento.
L'abolizione della pena di morte per alcuni reati di
droga e di traffico era stata precedentemente discussa nel parlamento iraniano.
Tutto fa parte di un disegno di legge che mira a riformare la legge penale
iraniana e abbattere il numero di esecuzioni legate al traffico, al possesso e
all'abuso di sostanze.
Sotto questo disegno di legge, la pena di morte per
alcuni reati di droga sarà sostituita da un massimo di 30 anni di reclusione. Tuttavia,
i condannati per traffico organizzato e armato di narcotici possono ancora
ricevere la pena capitale.
Il disegno di legge deve ancora essere votato dai membri
del parlamento e approvato dal Consiglio dei Guardiani - un consiglio di 12
membri costituzionalmente incaricato di approvare ogni disegno di legge prima
che possa diventare legge.
Il 3 aprile 2017, Iran Human Rights, un'organizzazione
che documenta gli abusi dei diritti umani in Iran, ha annunciato che nel 2016
almeno 530 persone sono state giustiziate nella Repubblica Islamica dell'Iran -
296 di queste avevano accuse legate alle droghe.
Almeno cinque minorenni sono stati giustiziati nel 2016
in Iran e due di loro avevano ricevuto la pena capitale per reati legati alla
droga.
Mentre il Paese sta tentando di diminuire il numero di
esecuzioni, il numero di arresti con accuse di possesso e traffico di droga è
aumentato.
La polizia iraniana ha effettuato 19.000 arresti nelle
prime due settimane di aprile nell'ambito di un progetto per raggruppare "spacciatori
di livello basso e consumatori noti", ha riferito il ministro degli
Interni Abdolreza Rahmani Fazli.
Cinquemila dei detenuti sono stati identificati come
spacciatori e il resto come tossicodipendenti. La relazione aggiunge che i
detenuti resteranno fino a sei mesi nei centri di riabilitazione.
Il capo del Consiglio di Coordinamento contro la droga di
Teheran aveva già riferito che da 150 a 200 piccoli spacciatori di droga
vengono arrestati quotidianamente a Teheran.
Mentre gli arresti continuano e lo spaccio di droga
rimane uno dei crimini più severamente puniti nella giurisprudenza iraniana,
con molti che vengono condannati a morte, i numeri legati al crimine rimangono
alti.
Il ministro degli Interni riferisce comunque che il
governo sta cercando di cambiare il proprio approccio nella lotta contro le
droghe concentrandosi maggiormente sulla prevenzione e sul trattamento.
Il leader supremo dell'Iran, Ayatollah Khamenei, ha
recentemente dichiarato la tossicodipendenza come la principale fonte di danno
al Paese e ha invitato il governo a compiere sforzi "straordinari e
raddoppiati" per eliminare i danni sociali subiti per questo problema.
In questo senso, il ministro degli Interni ha annunciato
che i centri di detenzione e di riabilitazione a Teheran sono aumentati di
numero. I centri di riabilitazione a Tehran servivano a ospitare cinquecento
persone e ora possono ospitarne fino a diecimila. In altre città il settore
privato sta ora unendosi agli sforzi pubblici per fornire maggiori possibilità
di trattamento.
Rahamani Fazli ha affermato che la tossicodipendenza nel
Paese non ha confini e attualmente colpisce sia lavoratori occupati che
disoccupati, ricchi e poveri, studenti e lavoratori in tutto il territorio. Le
statistiche rivelano che quasi il 55 per cento degli iraniani che lottano con
la dipendenza hanno un impiego.
La Repubblica Islamica spende miliardi di dollari ogni
anno nella sua lotta contro il traffico di droga e decine di agenti vengono
uccisi ogni anno in missioni di questo tipo.
Più del cinquanta per cento delle esecuzioni in Iran, che
ha il secondo numero più elevato di esecuzioni nel mondo, sono legate alle
droghe. La maggior parte dei prigionieri del Paese sono incarcerati con accuse
di droga.
Il ministro degli Interni sostiene che finora l'approccio
è stato quello di arrestare e giustiziare i piccoli e medi trafficanti di
droga, confermando che questo ha avuto poco effetto sulla riduzione del
problema.
Ha sottolineato che occorrono maggiori sforzi per
catturare i grandi gestori delle reti di traffico di droga nel Paese.
L'Opposizione della Repubblica Islamica tuttavia ritiene che i grandi gestori
del traffico di droga si trovino ai più alti livelli del sistema e siano immuni
rispetto alle forze dell'ordine.
PAKISTAN: QUATTRO IMPICCATI PER TERRORISMO
25 aprile 2017: Quattro uomini coinvolti in fatti di
terrorismo sono stati giustiziati in Pakistan in una prigione di Khyber
Pakhtunkhwa, secondo un comunicato stampa dell’ISPR.
I quattro erano coinvolti nell'uccisione di civili
innocenti, attacchi contro le forze armate del Pakistan e le agenzie di polizia
(LEA) ed erano stati condannati a morte da tribunali militari. Rehman Ud Din
(figlio di Moamber) era un membro attivo del Tehreek-e-Taliban Pakistan ed era
coinvolto nell'attacco contro le forze armate del Pakistan, contro il LEA e
nell’uccisione di un membro della commissione per la pace. Armi da fuoco ed
esplosivi erano stati trovati in suo possesso.
L’uomo avrebbe ammesso in aula i propri crimini.
Mushtaq Khan (figlio di Umar Saleem) era un altro membro
attivo del Tehreek-e-Taliban, coinvolto nell'attacco al LEA, e nell’uccisione
di diversi soldati. Avrebbe ammesso i suoi reati davanti al magistrato.
Khan era stato trovato in possesso di armi da fuoco ed
esplosivi.
Anche due altri membri di Tehreek-e-Taliban, Obaid ur
Rehman (figlio di Fazal Hadi) e Zafar Iqbal (figlio di Muhammad Khan) erano
stati condannati a morte dopo aver ammesso i loro reati davanti al magistrato.
Rehman era stato dichiarato colpevole dell’uccisione di
civili innocenti e di possesso di esplosivi mentre Iqbal sarebbe stato
coinvolto nell'attacco al LEA e nell’uccisione di poliziotti. Possedeva anche
lui armi da fuoco e esplosivi.
SOMALIA: QUATTRO FUCILATI A BAIDOA PER TERRORISMO
24 aprile 2017: il tribunale militare somalo ha
giustiziato quattro uomini legati ad Al- Shabaab per aver commesso attentati
esplosivi lo scorso anno a Baidoa, capitale amministrativa del Sudovest.
I quattro prigionieri sono stati fucilati alla presenza
del presidente del tribunale militare e di alti funzionari del Sudovest.
Liban Ali Yarow, presidente del tribunale militare, ha
identificato i quattro come Hassan Aden Mursal, Abdilatif Moalim Aden
Abdirahman, Siyad Hassan Farah e Sharamad Aawaw Mohamed.
Yarow ha detto che i quattro erano accusati di legami con
Al Shabaab e coinvolti in attentati del febbraio 2016 a Baidoa che provocarono
decine di vittime.
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E-News straordinaria,
amici. Per ricordare che domani, domenica 30 aprile, si vota per le primarie
del PD. Dalle 8 alle 20, in oltre diecimila seggi (ecco il link per trovare il tuo seggio)
tenuti aperti dalla straordinaria generosità dei volontari e dei militanti
dem: a loro, innanzitutto, comunque votino, il mio più grande e affettuoso
GRAZIE. Gratuità, impegno, passione: che belle le caratteristiche di questo
popolo incredibile.
Abbiamo già organizzato il primo round: 270.000 italiani che sono iscritti al PD hanno discusso in quindici giorni le tre mozioni. E hanno votato regalandoci un risultato impressionante. Adesso si voterà di nuovo. In piazza, nei circoli, nei gazebo. Dodici ore per un festival della democrazia che nessuno degli altri ha la forza e il coraggio di organizzare, ma che tutti gli altri sono sempre pronti a criticare. Discutere, partecipare, votare: questa la forza di chi non ha paura della democrazia. Se guardate i commenti dei politici, dei commentatori, degli opinionisti in queste ore è impressionante il pensiero unico di chi dice: “Le primarie non servono più”. Quelli più contrari di tutti sono di solito quelli che faticano a prendere il voto anche dei parenti. Sta accadendo una cosa semplice, amici: vogliono togliervi anche le primarie. Vogliono togliervi la possibilità di selezionare la classe dirigente, perché per molti di loro è meglio fare una bella operazione costruita a tavolino in un salotto, con un blog, con tre editoriali e due rilanci di agenzia. Vogliono evitare che possiate decidere voi. E dunque dicono che se solo un milione di persone domani andrà a votare, sarà un flop. Ignorano che un milione di persone che vanno a votare rappresentano una forza straordinaria, strepitosa. Che nel mondo è difficile trovare esperienze così belle. Ma noi raccogliamo la sfida, amici: facciamo di tutto perché si possa superare questa cifra. Perché possiamo essere in tanti a decidere. Non lasciate la politica a chi non si misura con i voti, ma prova a riportare tutto nelle segrete stanze. Le primarie restituiscono potere ai cittadini. Non agli accordi di potere tra gruppi dirigenti. Scegliete voi chi deve guidare il partito, la città, il Paese. Scegliete voi, nessun altro. Il mio appello - anche nel confronto su SKY - è stato innanzitutto per andare a votare. Lo trovate qui. Già che ci siete, se poi votate per noi io non mi offendo! Abbiamo fatto una campagna elettorale totalmente diversa. Ricca di stimoli e di spunti, soprattutto sul piano umano. Se non avessi avuto le vostre migliaia di email, io non mi sarei ricandidato. Se non avessi sentito la forza del vostro affetto - così prorompente anche nel risultato dei circoli - io non mi sarei rimesso in gioco. Non lo faccio per voi, sia chiaro: lo faccio con voi. Che è una cosa ben diversa. Dal Lingotto ad oggi - insieme a Maurizio Martina e a tanti di voi - abbiamo parlato solo di contenuti. Non abbiamo mai attaccato gli altri candidati, cui abbiamo solo mandato messaggi di rispetto e amicizia. Ma abbiamo ragionato sull'Italia. Raccontandoci che cosa abbiamo in testa per il futuro. Siamo andati a lanciare cinque punti per l'Europa a Bruxelles con cento giovani. È la prima volta che si chiude una campagna in questo modo: proposte concrete italiane per cambiare l'Europa. Abbiamo toccato le periferie, da Pioltello a Corviale, da Scampia a Taranto. Umanamente e politicamente un'esperienza incredibile. Abbiamo discusso di questioni di merito anche aprendoci a speciali dirette facebook: giovani, donne, ambiente, cultura (alle 11 stamattina, anche questa in diretta) Sappiamo che dal giorno dopo l'elezione ci sarà molto da fare, ma vogliamo farlo insieme. Andare avanti, insieme. Chiediamo il voto perché abbiamo un progetto per l'Italia. Un progetto chiaro, serio, pluriennale. Chiediamo il voto perché abbiamo un'idea di come costruire il futuro per i nostri figli. Tutto qui. No polemiche, no retroscena, no intrighi. Se avete voglia di dare una mano, noi vi diciamo che ne abbiamo bisogno. E vi proponiamo di fare un tratto di strada insieme. Per il PD e per l'Italia. Un sorriso, Matteo blog.matteorenzi.it matteo@matteorenzi.it |
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giovedì 27 aprile 2017
SANDRO BOTTICELLI-IL RITORNO DI GIUDITTA A BETULIA-GALLERIA DEGLI UFFIZI
FIRENZE
Il Ritorno di Giuditta a Betulia è un dipinto a tempera su tavola (31x25 cm) di Sandro Botticelli, databile al 1472 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. È lo scomparto destro di un dittico con la Scoperta del cadavere di Oloferne.
Il dittico, datato in genere al 1472, è ricordato da Vincenzo Borghini nel 1584 come donato da Rodolfo Sirigatti a Bianca Cappello, che lo teneva nel suo "scrittoio" entro una cornice dorata e intagliata, poi perduta. Con la morte di quest'ultima passò nelle collezioni del figlio don Antonio de' Medici, che lo conservava nel suo Casino di San Marco in via Larga. Nel 1633 finì nelle collezioni granducali dei futuri Uffizi.
Le consonanze con le opere di Antonio del Pollaiolo fanno in genere optare gli studiosi per una datazione verso il 1470 e solo Bettini ne anticipa la realizzazione al 1467-1468, cogliendovi un'influenza di Mantegna che negli anni immediatamente precedenti fu a Firenze.
Della Giuditta si conosce una replica su ovale venduta da Stefano Bardini alla New Gallery di New York.
Scoperta del cadavere di Oloferne
Le due opere sono tra le prime scene narrative più conosciute di Botticelli al mondo e mostrano una notevole abilità nel descrivere gli avvenimenti con il ricorso sicuro ad elementi essenziali. Giuditta, eroina biblica, per proteggere la propria città di Betulia minacciata dal generale assiro Oloferne, finse di voler collaborare con il nemico riuscendo a parlare al comandante, che si innamorò di lei. La sera lo fece ubriacare e giunta nella sua tenda lo decapitò mentre dormiva intorpidito dall'alcol. La prima scena è ambientata nella tenda di Oloferne e mostra i suoi dignitari che scoprono con orrore il corpo decapitato nel suo letto; la seconda mostra Giuditta che incede con passo sicuro verso la sua città, seguita dall'ancella che tiene in un cesto coperto da un lenzuolo la testa decapitata del tiranno.
Le due opere sono tra le prime scene narrative più conosciute di Botticelli al mondo e mostrano una notevole abilità nel descrivere gli avvenimenti con il ricorso sicuro ad elementi essenziali. Giuditta, eroina biblica, per proteggere la propria città di Betulia minacciata dal generale assiro Oloferne, finse di voler collaborare con il nemico riuscendo a parlare al comandante, che si innamorò di lei. La sera lo fece ubriacare e giunta nella sua tenda lo decapitò mentre dormiva intorpidito dall'alcol. La prima scena è ambientata nella tenda di Oloferne e mostra i suoi dignitari che scoprono con orrore il corpo decapitato nel suo letto; la seconda mostra Giuditta che incede con passo sicuro verso la sua città, seguita dall'ancella che tiene in un cesto coperto da un lenzuolo la testa decapitata del tiranno.
Pur nelle piccole dimensioni le Storie di Giuditta sono un vero capolavoro per la complessità della composizione, l'attenzione alla resa dei dettagli minuti e l'azzeccata scelta della diversa ambientazione per ciascuna scena.
Nella tavoletta di Giuditta la drammaticità e la violenza che caratterizzano il primo episodio scompaiono totalmente e al posto dell'opprimente tenda ci si ritrova in un liberatorio spazio aperto. Ciò è sottolineato dai colori più chiari e dalla composizione più sgombra, con panneggi che si fanno leggerissimi e si intridono di luce. Le due donne incedono su un poggiolo, voltandosi come per assicurarsi di non essere inseguite dal nemico, e accelerando il passo come se fossero senza peso, soprattutto come si nota nell'ancella. Giuditta tiene in mano la sciabola con cui ha decapitato il nemico e nella mano destra un rametto d'ulivo, simbolo della pacificazione guadagnata. In lontananza viene descritta la campagna piena di armenti.
L'atmosfera quasi idilliaca deriva dal linguaggio di Filippo Lippi, primo maestro di Sandro, anche se il vibrante panneggio delle vesti suggerisce un senso di irrequietezza estraneo a Filippo, così come la malinconica espressione sul volto di Giuditta. Le vesti setose che si increspano col movimento divennero uno dei temi più cari all'arte fiorentina, le cui origini si possono rintracciare nel San Giorgio e la principessa (1416-1417) di Donatello e, in pittura, nel Tondo Bartolini (1465-1470) di Filippo Lippi.
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