MISTERI FIORENTINI.
CAPITOLO PRIMO (seconda stesura)
Sono trascorsi molti anni da quando avvenne ciò che vi sto per narrare, la straordinarietà dei fatti accaduti me li rendono ancora così vivi da sembrare che essi si siano verificati solo ieri.
Ero intento a leggere un libro antico in una notissima biblioteca fiorentina che descriva una villa di proprietà della nobile ed antica famiglia dei“ VECCHIETTI” quando dalle ultime pagine del volume scivolarono fuori alcune carte molto ingiallite dal tempo, incuriosito aprii con estrema delicatezza questi antichi, fragili fogli e vi scorsi una scrittura minuta ed estremamente fitta……..
Preso da una irrefrenabile curiosità presi le carte e le feci furtivamente scivolare nella cartella che avevo con me riproponendomi di leggerle con particolare attenzione e calma a casa per poi rimetterle al loro posto, cosa che puntualmente avvenne alcuni giorni dopo.
Prima di andare avanti in questa narrazione è bene che mi presenti ai miei quattro lettori: Il mio nome è Antonio di professione architetto……il cognome? non ha nessuna importanza, non sono una persona famosa e soprattutto importante, non sarò ricordato per qualche opera che ha fatto o farà la storia dell’architettura, il massimo delle mie realizzazioni? Qualche restauro di case coloniche o qualche ristrutturazione di vecchi appartamenti. Niente di più niente di meno. Un amico mi aveva promesso il suo interessamento per farmi assegnare lo studio per il recupero di un parco situato nelle immediate vicinanze di Firenze. Era una proposta di grande interesse soprattutto per la presenza di edifici attribuiti al Buontalenti e al Giambologna, tutto ciò era qualcosa di importante che stava per capitare nel tran tran di tutti i giorni della mia modesta attività professionale. Non mi interessava il denaro ma il poter lavorare su opere di questi grandi interpreti di un glorioso ed ormai lontano passato della mia Firenze.
Preso dall’entusiasmo per l’opportunità che mi si stava prospettando volli immediatamente fare un sopralluogo per avere un’idea, anche se sommaria di ciò che sarebbe stato il mio futuro, eventuale lavoro. La località si chiamava “ LA FATTUCCHIA “ e già il nome era di per se tutto un programma.
Si trattava di una serie di collinette tipiche del panorama toscano con qualche ulivo, querce, siepi di bosso ed un dedalo di piccole strade sterrate, anch’esse
Ero intento a leggere un libro antico in una notissima biblioteca fiorentina che descriva una villa di proprietà della nobile ed antica famiglia dei“ VECCHIETTI” quando dalle ultime pagine del volume scivolarono fuori alcune carte molto ingiallite dal tempo, incuriosito aprii con estrema delicatezza questi antichi, fragili fogli e vi scorsi una scrittura minuta ed estremamente fitta……..
Preso da una irrefrenabile curiosità presi le carte e le feci furtivamente scivolare nella cartella che avevo con me riproponendomi di leggerle con particolare attenzione e calma a casa per poi rimetterle al loro posto, cosa che puntualmente avvenne alcuni giorni dopo.
Prima di andare avanti in questa narrazione è bene che mi presenti ai miei quattro lettori: Il mio nome è Antonio di professione architetto……il cognome? non ha nessuna importanza, non sono una persona famosa e soprattutto importante, non sarò ricordato per qualche opera che ha fatto o farà la storia dell’architettura, il massimo delle mie realizzazioni? Qualche restauro di case coloniche o qualche ristrutturazione di vecchi appartamenti. Niente di più niente di meno. Un amico mi aveva promesso il suo interessamento per farmi assegnare lo studio per il recupero di un parco situato nelle immediate vicinanze di Firenze. Era una proposta di grande interesse soprattutto per la presenza di edifici attribuiti al Buontalenti e al Giambologna, tutto ciò era qualcosa di importante che stava per capitare nel tran tran di tutti i giorni della mia modesta attività professionale. Non mi interessava il denaro ma il poter lavorare su opere di questi grandi interpreti di un glorioso ed ormai lontano passato della mia Firenze.
Preso dall’entusiasmo per l’opportunità che mi si stava prospettando volli immediatamente fare un sopralluogo per avere un’idea, anche se sommaria di ciò che sarebbe stato il mio futuro, eventuale lavoro. La località si chiamava “ LA FATTUCCHIA “ e già il nome era di per se tutto un programma.
Si trattava di una serie di collinette tipiche del panorama toscano con qualche ulivo, querce, siepi di bosso ed un dedalo di piccole strade sterrate, anch’esse
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tipiche del paesaggio. Su una di queste colline vidi che si ergeva maestosamente elegante una villa di campagna risalente probabilmente ai primi anni del ‘500.
All’improvviso alla mia sinistra mi si presentò uno spiazzo rettangolare completamente sterrato ed all’estremità uno strano, straordinario, affascinante edificio di piccole dimensioni del quale si notava solo la facciata in quanto esso era totalmente incassato nella sovrastante collina. Incuriosito dalla straordinaria ed affascinante apparizione……bloccai la macchina e lo stridore dei freni fece girare una vecchia signora che procedeva lentamente a piedi sulla strada che anch’io stavo fino a quel momento percorrendo. Si girò e mi dette un’occhiataccia piena di rimprovero e scuotendo la testa mostrò tutto il suo disappunto nei miei confronti. Vidi un volto che sembrava scolpito in un vecchio pezzo di legno, un naso adunco che quasi si congiungeva con un mento appuntito, i suoi occhi……si i suoi occhi sembravano di ghiaccio senza espressione e lontani dal mondo…..da questo mondo. Si girò e riprese il suo lento e faticoso cammino, incurvata dagli anni e forse anche da qualche acciacco.
Parcheggiai la mia macchina nello spiazzo adiacente al manufatto al fine di non ostacolare il traffico anche se esiguo su una strada molto ma molto stretta.
Scesi e mi diressi verso la facciata che aveva due finestrelle poste simmetricamente ed al centro una porta anch’essa molto angusta, sbarrata da un cancelletto arrugginito ed usurato dal tempo che non poteva essere aperto perché un grosso lucchetto ed una pesante catena lo costudivano molto bene.
L’intonaco del complesso era scrostato in molti punti ed aveva un colore indefinito, un ocra sbiadita ed anche in questo caso il tempo e l’incuria degli uomini avevano alterato l’antico splendore.
L'ingresso e le finestre erano rifinite in pietra alberese; gli architravi avevano i timpani a conci sbozzati a rustico, simili a clave che davano alla facciata un movimento ascensionale. Sulla sinistra si trovava un tabernacolo in pietra serena.
All'interno vi era una fontana costituita da una conca in pietra serena, sostenuta da un basamento grezzo la cui forma zoomorfa ricordava la coda di una sirena. L'acqua che tracima dal catino in pietra, cadeva a cascata nella vasca esagonale sottostante, al cui centro si trovava il basamento in mattoni che probabilmente sosteneva una statua ora sparita.
Sulla destra guardando la facciata vi era un muro anch’esso con un intonaco molto rovinato ed all’angolo di congiunzione tra questo e la stessa facciata era posto un
tipiche del paesaggio. Su una di queste colline vidi che si ergeva maestosamente elegante una villa di campagna risalente probabilmente ai primi anni del ‘500.
All’improvviso alla mia sinistra mi si presentò uno spiazzo rettangolare completamente sterrato ed all’estremità uno strano, straordinario, affascinante edificio di piccole dimensioni del quale si notava solo la facciata in quanto esso era totalmente incassato nella sovrastante collina. Incuriosito dalla straordinaria ed affascinante apparizione……bloccai la macchina e lo stridore dei freni fece girare una vecchia signora che procedeva lentamente a piedi sulla strada che anch’io stavo fino a quel momento percorrendo. Si girò e mi dette un’occhiataccia piena di rimprovero e scuotendo la testa mostrò tutto il suo disappunto nei miei confronti. Vidi un volto che sembrava scolpito in un vecchio pezzo di legno, un naso adunco che quasi si congiungeva con un mento appuntito, i suoi occhi……si i suoi occhi sembravano di ghiaccio senza espressione e lontani dal mondo…..da questo mondo. Si girò e riprese il suo lento e faticoso cammino, incurvata dagli anni e forse anche da qualche acciacco.
Parcheggiai la mia macchina nello spiazzo adiacente al manufatto al fine di non ostacolare il traffico anche se esiguo su una strada molto ma molto stretta.
Scesi e mi diressi verso la facciata che aveva due finestrelle poste simmetricamente ed al centro una porta anch’essa molto angusta, sbarrata da un cancelletto arrugginito ed usurato dal tempo che non poteva essere aperto perché un grosso lucchetto ed una pesante catena lo costudivano molto bene.
L’intonaco del complesso era scrostato in molti punti ed aveva un colore indefinito, un ocra sbiadita ed anche in questo caso il tempo e l’incuria degli uomini avevano alterato l’antico splendore.
L'ingresso e le finestre erano rifinite in pietra alberese; gli architravi avevano i timpani a conci sbozzati a rustico, simili a clave che davano alla facciata un movimento ascensionale. Sulla sinistra si trovava un tabernacolo in pietra serena.
All'interno vi era una fontana costituita da una conca in pietra serena, sostenuta da un basamento grezzo la cui forma zoomorfa ricordava la coda di una sirena. L'acqua che tracima dal catino in pietra, cadeva a cascata nella vasca esagonale sottostante, al cui centro si trovava il basamento in mattoni che probabilmente sosteneva una statua ora sparita.
Sulla destra guardando la facciata vi era un muro anch’esso con un intonaco molto rovinato ed all’angolo di congiunzione tra questo e la stessa facciata era posto un
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grande tavolo simile ad un altare in pietra serena scheggiato a causa del tempo e delle intemperie. Dentro il muro erano incassate delle grandi vasche e dentro quella mediana vi era una lapide che portava la seguente iscrizione
grande tavolo simile ad un altare in pietra serena scheggiato a causa del tempo e delle intemperie. Dentro il muro erano incassate delle grandi vasche e dentro quella mediana vi era una lapide che portava la seguente iscrizione
“Io son quella, o lettor, fata Morgana
che giovin qui ringioveniva altrui Qui dal Vecchietto, poiché vecchia io fui
ringiovenita colla sua fontana”
MDLXXII
che giovin qui ringioveniva altrui Qui dal Vecchietto, poiché vecchia io fui
ringiovenita colla sua fontana”
MDLXXII
Presi un taccuino che avevo sempre con me e copiai diligentemente ciò che era impresso nell’antico marmo. Mi allontanai per avere un colpo d’occhio d’insieme e appoggiai le mie terga sul cofano ancora caldo della mia macchina. Guardai con grande ammirazione l’opera che ai suoi tempi doveva sprigionare un fascino non indifferente che si era mantenuto nonostante i danni arrecati dallo scorrere dei secoli. Aprii il taccuino ove avevo trascritto la frase incisa sulla lapide. Riguardai la facciata……..pensando che la statua mancate doveva essere, anzi lo era sicuramente la rappresentazione della fata Morgana. Sicuramente doveva essere molto bella, chissà perché era sparita? dove poteva essere al momento? Improvvisamente il mio pensiero andò a GIAMBOLOGNA. Pur non essendo ferratissimo in storia dell’arte, dai tempi del liceo non era mai stata la mia materia preferita. Comunque non ero nelle condizioni del povero Don Abbondio che non sapeva chi fosse Carneade. Io non mi son posto la domanda Giambologna chi è costui…….Giambologna, pseudonimo di Jean de Boulogne è stato uno scultore di origine fiamminga, particolarmente attivo nella Firenze della seconda metà del ‘500. Il ratto delle sabine collocato all’interno della loggia dei Lanzi, le due statue equestri che ornano tutt’oggi due belle piazze fiorentine, queste erano le opere che ritenevo più famose dello scultore fiammingo. Qualcosa, in fondo, ancora ricordavo di quegli ormai antichi e mai del tutto amati studi sulla storia artistica del nostro paese in generale e della nostra Firenze in particolare.
Così pensieroso rimiravo con ammirazione quel luogo magico, di una magia misteriosa ed anche un po’ inquietante, mi sembrava di vedere strane e diafane figure danzanti coperte da strane cappe nere, arancioni, argentate.
-Ma che mi sta accadendo? Mi domandai al alta voce, per caso mi vengono le traveggole. Per farmi coraggio mi sfuggi una risatina con venature quasi isteriche.
Così pensieroso rimiravo con ammirazione quel luogo magico, di una magia misteriosa ed anche un po’ inquietante, mi sembrava di vedere strane e diafane figure danzanti coperte da strane cappe nere, arancioni, argentate.
-Ma che mi sta accadendo? Mi domandai al alta voce, per caso mi vengono le traveggole. Per farmi coraggio mi sfuggi una risatina con venature quasi isteriche.
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C’era anche quel tavolone di pietra che sembrava quasi una sorta di altare ove celebrare riti misteriosi, quella scritta lungo tutto il suo bordo resa illeggibile dal trascorrere del tempo e dalle offese delle intemperie a cui era stata costretta.
Mi rialzai dal cofano della macchina dove ero stato fino a quel momento appoggiato, mi stirai allargando le braccia in forma di croce, mi massaggiai poderosamente le mie reni doloranti e mi stavo avviando verso la porticina protetta dal cancelletto per poter ricontrollare l’interno della fonte o del ninfeo o di quel diavolo fosse stato alla sua origine.
Il sole era già scomparso dietro le collinette che circondavano l’angusta valle ove mi stavo trovando. Un brivido di un freddo innaturale mi corse tutto lungo la schiena, i peli dei miei bracci si rizzarono come attratti da una forza misteriosa, fui invaso da un’inquietudine stranamente immotivata. Sembrava che la mia presenza dispiacesse a qualche forza arcana lì nascosta da qualche parte. Entrai in macchina, accesi il motore che al primo colpo non partì, ciò mi creò un certo imbarazzo misto da paura. Feci marcia in dietro e con un’unica ed abile manovra mi inserii nella stretta strada che già avevo percorso in senso inverso.
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C’era anche quel tavolone di pietra che sembrava quasi una sorta di altare ove celebrare riti misteriosi, quella scritta lungo tutto il suo bordo resa illeggibile dal trascorrere del tempo e dalle offese delle intemperie a cui era stata costretta.
Mi rialzai dal cofano della macchina dove ero stato fino a quel momento appoggiato, mi stirai allargando le braccia in forma di croce, mi massaggiai poderosamente le mie reni doloranti e mi stavo avviando verso la porticina protetta dal cancelletto per poter ricontrollare l’interno della fonte o del ninfeo o di quel diavolo fosse stato alla sua origine.
Il sole era già scomparso dietro le collinette che circondavano l’angusta valle ove mi stavo trovando. Un brivido di un freddo innaturale mi corse tutto lungo la schiena, i peli dei miei bracci si rizzarono come attratti da una forza misteriosa, fui invaso da un’inquietudine stranamente immotivata. Sembrava che la mia presenza dispiacesse a qualche forza arcana lì nascosta da qualche parte. Entrai in macchina, accesi il motore che al primo colpo non partì, ciò mi creò un certo imbarazzo misto da paura. Feci marcia in dietro e con un’unica ed abile manovra mi inserii nella stretta strada che già avevo percorso in senso inverso.
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