sabato 11 febbraio 2017

BEATO ANGELICO-LA PALA DI SAN MARCO-MUSEO SAN MARCO 

  FIRENZE  

La Pala di San Marco è un dipinto e tempera su tavola (scomparto centrale 220×227 cm) di Beato Angelico, databile al 1440 circa e conservato (per lo scomparto centrale e alcuni pannelli secondari).
La pala era destinata all'altare maggiore della chiesa di San Marco a Firenze, officiata dai domenicani del convento di cui faceva parte anche l'Angelico stesso.

Le vicende della ricostruzione e della nuova decorazione del convento e della chiesa furono complesse, ma abbastanza ben documentate. Dopo che i Domenicani poterono prendere finalmente possesso del convento già dei Silvestrini (più di dieci anni dopo il provvedimento originario), Cosimo de' Medici fece avviare, con generoso mecenatismo, la ricostruzione degli ambienti da parte del suo architetto di fiducia Michelozzo (dal 1438, mentre la decorazione pittorica, composta soprattutto da affreschi, venne affidata all'Angelico e al suo team).
Per quanto riguarda l'altare maggiore della chiesa sorsero alcuni problemi per via dei diritti di patronato spettanti a un certo Mariotto de' Banchi, che non li cedette ai Medici fino al 1438, per la somma considerevole di cinquecento ducati. L'altare venne allora riconsacrato ai santi protettori dei Medici, Cosma e Damiano, che in vita erano stati appunto, secondo la leggenda, "medici", nel senso di professionisti della medicina. La vecchia pala d'altare, un'Incoronazione della Vergine del 1402 in stile tardogotico di Lorenzo di Niccolò, venne rimossa e donata, con un'istanza del Priore Fra Cipriano datata 1438, alla chiesa di San Domenico di Cortona, dove si trovava una comunità domenicana gemellata con quella fiorentina e dove si recò personalmente l'Angelico per effettuare la consegna nel 1440 (nell'occasione venne inciso sulla cornice il nome dei Medici come donatori).

Lo schema prospettico
La nuova pala venne commissionata all'Angelico in un momento imprecisato, verosimilmente nel 1438 quando venne deciso di disfarsi di quella vecchia. Una lettera di Domenico Veneziano a Piero de' Medici, che ci è pervenuta ed è datata aprile 1438, parla di un'opera di grande splendore che in quel periodo Cosimo stava per commissionare e che il pittore avrebbe voluto candidarsi per realizzarla, essendo i due pittori più celebri del momento, l'Angelico e il Lippi, già molto impegnati: non è certo, ma è verosimile che Domenico Veneziano si riferisse proprio alla Pala di San Marco.
All'epoca l'Angelico viveva ancora nel convento di San Domenico di Fiesole, dove dovette iniziare l'opera per poi portarla con sé nel nuovo domicilio del convento fiorentino. Forse nel '40, all'atto della sostituzione, doveva essere pronta, almeno negli elementi principali. In ogni caso durante l'epifania del 1443 la chiesa e l'altare maggiore vennero riconsacrati dall'arcivescovo di Capua Niccolò d'Acciapaccio, alla presenza di papa Eugenio IV, per cui l'opera doveva essere terminata e installata.
Con le soppressioni tra XVIII e XIX secolo la pala venne rimossa smembrata e parzialmente dispersa. I pannelli della predella sono oggi in parte a Firenze e in parte in altri musei internazionali, mentre parzialmente perduto è il corredo di piccoli santi e beati a tutta figura che ornavano i pilastri laterali, anche sui fianchi. Nel 2006 sono stati ritrovati due figure di questi santi sconosciute.
In un periodo imprecisato tra il XVIII e il XIX secolo la Pala di San Marco venne sottoposta a un restauro improprio, a base di soda caustica, facendone uno dei casi più eclatanti dei danni irreversibili che tali interventi abrasivi hanno causato. La soda infatti permetteva una veloce ed efficace pulitura rimuovendo gli stati di sporco e facendo riaffiorare i colori originali. Si tratta però di una sostanza che è molto difficile rimuovere e che continua a scavare sulla superficie pittorica per anni, "mangiando" gli strati superiori del colore e facendo perdere tutti quei dettagli che, secondo la tecnica a tempera, venivano aggiunti tramite velature successive che schiarivano la base, di solito verdastra.
Per questo la pala di San Marco ha perso tutte quei delicati effetti di luce e di chiaroscuro che caratterizzano la pittura dell'Angelico, consegnandoci un capolavoro imbrunito, alterato nei colori e senza le finiture. I danni sono particolarmente evidenti nelle figure di alcuni santi o del Bambino, che sembrano slavate, oppure nello sfondo che invece di essere un paesaggio rischiarato dal cielo cristallino, è oggi una massa pressoché informe di toni cupi e bui.
Per fortuna il trattamento non venne applicato anche alle tavole della predella, che oggi sono la migliore testimonianza dell'arte dell'Angelico su tavola in questo periodo della piena maturità artistica.

La Crocifissione
San Cosma
La Pala di San Marco fu considerata fin dalla sua nascita un'opera eccezionale e prestigiosa: era il più importante dipinto commissionato da Cosimo, il cittadino più importante di Firenze, era un manifesto mediceo e al tempo stesso dell'importante Ordine dei Domenicani Osservanti. Inoltre era destinata a un ambiente architettonico rivoluzionario e innovativo, e la pala stessa fu all'altezza del compito per quanto riguarda le novità e le capacità artistiche dispiegate.
La sua incisiva influenza sulle opere successive impedisce oggi di apprezzarne appieno la portata originale, e lo stato di conservazione mediocre ha definitivamente compromesso la finezze originali nel colore, nella luce e nella resa dei dettagli.
Innanzitutto si tratta di una pala "alla moderna", di forma quadrata, ed una dei più antichi esempi documentati di Sacra Conversazione, dove cioè i santi sono rappresentati attorno alla Vergine in maniera naturale, con rimandi di gesti e sguardi come se stessero appunto conversando. La spazialità è più ampia ed ariosa che nelle pale d'altare precedenti, con principi costruttivi avanzati, che fanno sembrare gli espedienti del tabernacolo dei Linaiuoli (la finta incassatura della nicchia, 1433-35) o della Pala di Perugia (la panca in secondo piano, 1437) come stratagemmi relativamente rudimentali.
Al centro si trova la Vergine col Bambino su un alto trono (una "Maestà"), dove convergono le linee prospettiche. La copertura è un arco entro una cornice architravata, in stile rinascimentale ispirato alle opere di Lorenzo Ghiberti e altri. Attorno a Maria si trovano due gruppi di angeli e, più avanti seguendo una disposizione a semicerchio, i santi, tra cui si riconoscono (grazie anche all'iscrizione dei nomi nelle aureole) da sinistra san Lorenzo (con la mano alzata, protettore di Lorenzo il Vecchio, fratello di Cosimo), san Giovanni Evangelista (protettore di Giovanni di Bicci, padre di Cosimo), san Marco (titolare della chiesa), san Domenico, san Francesco d'Assisi e san Pietro Martire. Marco tiene in mano il suo Vangelo, aperto all'episodio in cui Gesù insegna nella sinagoga lasciando stupefatti i dottori e poi ingiunge agli apostoli di non mettersi in viaggio senza altro che un bastone: "non pane non bisaccia, non rame alla cintura" (VI, 2-8). I due santi di sinistra infatti sembrano riflettere lo stupore di coloro che ascoltarono Cristo nella sinagoga, mentre i santi di destra sono i fondatori degli ordini che osservano la regola della povertà apostolica. Sul manto della Madonna si trova una citazione dell'Ecclesiaste, dove si parla degli alberi simbolici che si vedono sullo sfondo.
Davanti alla Vergine si trovano infine inginocchiati i santi Cosma e Damiano, una posizione innovativa che venne poi spesso copiata. San Cosma in particolare, patrono di "Cosimo" il vecchio, è girato verso lo spettatore e se un pittore di qualche decennio dopo vi avrebbe inserito magari il ritratto del committente nelle sue fattezze, l'Angelico dovette simboleggiare con la sua posa che sembra fare da tramite tra la divinità e lo spettatore, l'atteggiamento di Cosimo de' Medici e del suo mecenatismo. Le varie figure sono scalate con consapevolezza in profondità.
Al centro in basso si trova un quadro nel quadro, una piccola rappresentazione della Crocifissione che sormontava, originariamente, il pannello centrale della predella con la Pietà. Questa rappresentazione, senza precedenti noti, chiude il significato religioso dell'intera pala offrendo un ulteriore spunto di riflessione religiosa e accorda le implicazioni sentimentali dei protagonisti del pannello centrale.
Innovativa è la rappresentazione del tappeto anatolico in primo piano, che evidenzia la complessa impostazione prospettica ed è simbolo di prestigio e ricchezza. Prima dell'Angelico un elemento del genere era stato usato solo dai maestri fiamminghi (come Jan van Eyck nella Madonna di Lucca, 1436). Anche lo sfondo è altamente originale e venne in seguito copiato molto spesso, con la cortina oltre la quale spuntano cipressi, cedri e altri alberi, tra cui una simbolica palma, che allude al sacrificio di Cristo. Questo tipo di fondale viene da alcuni attribuito a un'idea di Masaccio presente in un affresco della Cappella Brancacci (Resurrezione del figlio di Teofilo a San Pietro in cattedra), ma altri lo escludono, assegnando tale elemento all'intervento riparatore della fine del Quattrocento di Filippino Lippi.
Gli artifici prospettici sono ben tarati, ma meno ostentati che nelle opere coeve di Filippo Lippi (Incoronazione della Vergine e Pala Barbadori). Della luce che addolciva e unificava gli elementi oggi non resta altro che qualche scarso indizio.
Infine l'ultimo elemento di grande novità dell'opera è rappresentato dalla forte emotività dei protagonisti, spesso dotati di un pathos fino ad allora assente nelle pale d'altare rinascimentali.

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