LUCIO FONTANA
Lucio Fontana è un artista enigmatico: ha parlato pochissimo nella sua vita ed ha prodotto moltissimo. Da validissimo scultore di lapidi in Argentina a scultore simbolista in Italia a pittore che inganna la giuria delle mostre, dando ai membri dei vetusti tromboni, sostenendo che le sue tele sono sculture, cosicchè, seppur invitato da scultore, potesse esporre delle tele, Lucio Fontana ha sempre saputo stupire.
Non poco stupore, infatti, provocò il suo gesto –immortalato da Ugo Mulas– di tagliare le tele. Molti sono stati, sono e saranno critici nei confronti di quello che è stato, probabilmente, il gesto più significativo dell’arte del ‘900: “avrei potuto farlo anch’io”; “l’è un büs, e ciao…”; “non significa niente”; “lo saprebbe fare anche un bambino”; “e lo vendono a milioni di euro..”. Eppure quel gesto racchiude in sè una quantità di significati che difficilmente riusciremo a condensare in un solo articolo.
Il taglio di Fontana è in primo luogo una ricerca di potenzialità spaziali ancora inesplorate, di luoghi dell’arte oltre e dopo la tela, su cui, in centinaia di anni di storia dell’arte, si è impresso tutto quanto si poteva, da Caravaggio a Pollock, liberandosi di quella tradizione rinascimentale che tanto metteva l’uomo al centro del mondo, quanto lo ancorava alla gestione di questo mondo, alla preoccupazione della mondanità, all’impossibilità della trascendenza. L’arte con Fontana diventa tridimensionale: quel buco apre il retro della tela, l’oltre, il di qua e di là che si integrano in un unico spazio: Fontana supera la storia dell’arte prima di lui, con un gesto fisico, tanto d’impulso quanto di chirurgica precisione, operando, insomma, quella che a diritto, qui, si può chiamare “cesura”. Il suo è un gesto di ribellione iconosclastica, di rottura della sacralità dell’immagine e della tela, di passaggio dalla complessità alla semplicità, che, come sosteneva Brancusi, è già complessa di per sè.
Il taglio di Fontana è il gesto che apre la luce al buio e il buio alla luce: ed in effetti dai suoi tagli sembra di vedere irradiarsi un buio luminoso che pervade l’atmosfera, un po’ come la Struttura al neon per la IX Triennale di Milano, conservata al Museo del 900 di Milano e visibile da Piazza Duomo. Tra luce, buio e ambiente si crea un unità, un ambiente di mutuo scambio di emozioni: c’è chi suggestivamente ha parlato dei Tagli come di una metafora visuale dell’Inconscio, di quel luogo crepuscolare dove alloggiano tutte le immagini e le emozioni della nostra vita. Ancora più efficace è l’equiparazione del taglio all'”extime” di Lacan, quel “luogo in cui l’interno è l’esterno e l’esterno l’interno, l’extimità”, uno strano mix di externo e intimità, una metafora, in ultima analisi, del senso profondo della persona e del suo essere nel mondo.
I tagli sono poi “la parodia della bravura, dell’efficienza, dell’ottusa pazienza” (de Sanna): sembra che quel singolo gesto, veloce, istintivo eppure meditato, prezioso, ricco di significati, celebrato in un secondo, spazzi via gli sforzi di chi calcola con certosina pazienza il modo di fare più cose in meno tempo, senza contare, però, l’umanità, l’arte, i pensieri, le cesure, i “no”, gli altri. Fontana, al contrario, apre al nuovo, alla comunicazione, al diverso, all’opposto, apre il colore all’oscurità. Fontana apre la tela a ciò che ha sempre rifuggito, al suo terrore: il buio, con il quale essa non è più niente.
Il taglio di Fontana è poi una ferita, uno squarcio. La si può anche interpretare come metafora dell’amplesso e della penetrazione. In realtà, di quest’ultima teoria, l’unico aspetto interessante, al di là delle inutili e triviali provocazioni, è che Fontana ha lo scopo di ridare vita umana, far vivere quei monocromi assoluti che fanno da sfondo ai tagli, che non potrebbero, nella loro assolutezza, essere umani, se non dipinti in Yves Klein Blue, ma questa è un’altra storia…
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