venerdì 15 gennaio 2016


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Libertà di espressione |
Pubblichiamo un articolo di Alessandra Boga, autrice di una tesi di laurea su “Donne e islam: la questione del velo” e titolare di un gruppo/blog intitolato “Mille e Una Donna” dedicato alle donne arabe e/o musulmane.
di Alessandra Boga
Non c’è davvero pace per il blogger saudita Raif Badawi, condannato a 10 anni e a 1000 frustate per apostasia, per aver aperto il sito “Free Saudi Liberals”, un sito per discutere del ruolopreponderante dell’islam in Arabia. La mattina di martedì 12 gennaio – il giorno prima del 32° compleanno di Raif – è stata arrestata sua sorella Samar, 34 anni: la sua colpa è solo quella diaver gestito l’account dell’ex marito, l’avvocato Waleed Abulkhair, il quale è già in carcere condannato a 15 anni per aver difeso l’ex cognato ed altri dissidenti politici del regime. Dopo 4 ore d’interrogatorio, Samar Badawi è stata rinchiusa nella stessa prigione dove si trovano i congiunti: quella centrale di Dhaban, a Gedda. Con lei c’era Joud, la sua bimba di 2 anni.
La battaglia della giovane per i diritti umani è cominciata portando in tribunale il padre Mohammad, che l’aveva maltrattata per 15 anni, negandole persino il permesso di sposarsi. Samar è scappata di casa ed ha trovato rifugio prima in una casa per donne nella stessa situazione, poi dal fratello Raif.
Allora il genitore l’ha accusata davanti al giudice di disobbedienza al sistema del “tutela paterna”, il sistema vigente in Arabia Saudita che costringe la donna in uno stato di eterna minorenne rispetto al padre – e ai parenti maschi, figli compresi –. Il tribunale ha messo l’uomosotto accusa, ma solo dopo aver incarcerato la figlia proprio per “disobbedienza all’autorità paterna”. Era il 4 aprile 2010: Samar è stata liberata il 25 ottobre di quell’anno a seguito di una campagna internazionale e ha chiesto di rimuovere il padre dalla “carica” di suo tutore, che è passata ad uno zio.
L’anno seguente ha intrapreso – prima donna saudita a farlo, secondo il Dipartimento di Stato americano – un’azione legale per il suffragio femminile, protestando contro il rifiuto dei centri appositi di registrare il suo voto nelle elezioni municipali saudite: infatti la giovane ha fatto presente che in Arabia Saudita non c’è una legge che vieti specificamente alle donne di votare o di candidarsi; nel 2011-2012 ha partecipato alla campagna per il diritto delle donne saudite aguidare l’automobile nel loro Paese.
“Siamo marginalizzate in diritti assai basilari”, ha dichiarato. “Pensano che dandoci qualche diritto politico, ci faranno contente e noi staremo zitte”.
Il suo attivismo ha portato Samar a ricevere il Premio Internazionale per le Donne di Coraggio 2012 da parte del Dipartimento di Stato americano e a parlare al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, presso il quale nel 2014 ha incontrato l’Alto Commissario per i Diritti Umani. Peccato che questi sia proprio un principe saudita, Zeid bin Ra’ad. Negli Stati Uniti – dei quali ha ottenuto la cittadinanza – Samar Badawi ha anche discusso con senatori e segretari di diverse organizzazioni dei diritti umani.
In questo periodo ha reso noto di aver ricevuto dirette minacce dal segretario del ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, perché smettesse con la sua battaglia umanitaria, altrimenti ne avrebbe pagato le conseguenze. La giovane ha potuto fare ritorno nel proprio Paese, ma le è stato sequestrato il passaporto e comunicato il divieto di lasciare l’Arabia Saudita - era il 2 dicembre 2014: lei si era recata all’Aeroporto Internazionale King Abdulaziz di Gedda per imbarcarsi per Bruxelles, dove avrebbe dovuto partecipare al 16° Forum dell’Unione europea per i Diritti Umani–.
Mercoledì 13 gennaio, il Guardian ha fatto sapere, citando alcuni attivisti, che Samar Badawi è stata liberata su cauzione, ma deve presentarsi oggi, giovedì 14, per un ulteriore interrogatorio.
Philip Luther, direttore del Programma di Amnesty International per il Medio Oriente ed il Nord Africa, ha definito l’arresto della donna “ancora un’altra battuta d’arresto dei diritti umani in Arabia Saudita che dimostra il livello estremo a cui le autorità sono disposte ad arrivare nella loro implacabile campagna per molestare e intimidire i difensori dei diritti umani per condurli ad una sottomissione silenziosa”.
Per la liberazione di Samar si è attivata la cognata, Ensaf Haidar, presidente della Fondazione Raif Badawi, ed il Center for Inquiry, un’organizzazione educativa no-profit americana, ha chiesto il suo immediato rilascio, appellandosi al Dipartimento di Stato Usa perché usi “il suo potere diplomatico per fare pressione sull’Arabia Saudita per rilasciare Samar”.

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