TADDEO GADDI-FORMELLE DI SANTA CROCE-MUSEO DELL'ACCADEMIA
FIRENZE
Le Formelle dell'armadio della sacrestia di Santa Croce sono una serie di ventotto dipinti a tempera e oro su tavola (circa 35x30 cm ciascuna formella, tranne le prime e le ultime delle due serie, misuranti 35x25 cm circa, e le due semilunette di 67x76 cm ciascuna) di Taddeo Gaddi, databili al 1335-1340 circa e conservati in massima parte nella Galleria dell'Accademia a Firenze. Esse riproducono le Storie di Gesù (tredici formelle a quadrilobo), le Storie di san Francesco (tredici quadrilobi) e una lunetta divisa tra Ascensione e Annunciazione.
La formelle decoravano sicuramente un arredo ligneo nella sacrestia di Santa Croce a Firenze, forse un armadio per reliquie. La prima citazione dell'armadio risale al Cinquecento (Anonimo Magliabechiano e Vasari), e poi in altre fonti successive fino al 1810, quando, con la soppressione napoleonica del convento francescano, le ante furono trasferite nei depositi del Convento di San Marco. Da qui, nel 1814, arrivarono ormai smembrate alla Galleria dell'Accademia, dove erano esposte in ambienti separati. Secondo i documenti dell'epoca, lo smembramento avvenne proprio a San Marco tra il 1812 e il 1813, quando vennero rimosse le "prospere", cioè gli stalli lignei. A quell'epoca risalgono anche le attuali cornici lignee dorate.
Quattro dipinti, immessi sul mercato antiquario, sono oggi in Germania, alla Gemäldegalerie di Berlino (Pentecoste e Resurrezione del fanciullo) e all'Alte Pinakothek di Monaco (Prova del Fuoco, la Morte del cavaliere di Celano).
Per quanto riguarda l'attribuzione, l'anonimo Magliabechiano le riferisce a Giotto, seguito da tutte le fonti successive (Vasari, Borghini, Baldinucci), fino al Richa, che ne ricostruì anche la disposizione su due file: una superiore con Storie di Cristo e una inferiore con Storie di san Francesco. I primi a mettere in dubbio l'attribuzione a Giotto furono Cavalcaselle e Crowe, che parlarono di opere di bottega facendo per la prima volta il nome di Taddeo Gaddi. Tra questi due nomi oscillò la critica successiva, finché Sirén, che per primo mise in relazione le formelle con le due semilunette, ribadì l'attribuzione a Taddeo, orientando in linea di massima la critica novecentesca, oggi sostanzialmente concorde.
La datazione viene di solito avvicinata agli affreschi della Cappella Baroncelli (1335-1340 circa), ai quali l'artista avrebbe lavorato contemporaneamente, mentre alcuni, come Longhi e la Marcucci, hanno piuttosto optato per la metà del secolo. Più recentemente Boskovits, Neri Lusanna, Labriola, Tartuferi hanno evidenziato le affinità con il tabernacolo del 1334 e gli affreschi in San Miniato al Monte, dello stesso periodo. Più isolate le proposte per una datazione al quinto decennio (Tatrai, Ferretti) o addirittura al sesto (Conti). Chiodo, studiando anche i particolari dell'abbigliamento, ribadì una datazione tra il 1335 e il 1340, che finora resta la più plausibile.
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