martedì 16 gennaio 2018

       nessuno   tocchi    CAINO        
  NO   ALLA   PENA   DI   MORTE     






1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : IRAN: SILENZIO DELL’EUROPA SULLA REPRESSIONE DEGLI AYATOLLAH 2.  NEWS FLASH: IRAN: SOSPESE LE ESECUZIONI PER REATI DI DROGA 3.  NEWS FLASH: USA: FAMILIARI DELLE VITTIME CONTRO LA PENA DI MORTE 4.  NEWS FLASH: BAHRAIN: CORTE MILITARE CONFERMA CONDANNA A MORTE 5.  NEWS FLASH: BANGLADESH: DUE CONDANNE CAPITALI PER CRIMINI DI GUERRA 6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


IRAN: SILENZIO DELL’EUROPA SULLA REPRESSIONE DEGLI AYATOLLAH


11 gennaio 2018: Al quattordicesimo giorno di manifestazioni in Iran, si contano 50 morti ed oltre 3000 persone arrestate, tra cui 90 studenti dell'Università di Tehran, 4 dei quali sono in sciopero della fame dal 29 dicembre, mentre sono centinaia i feriti e le proteste proseguono in 132 città: sono i dati allarmanti emersi durante la conferenza stampa convocata da Nessuno Tocchi Caino per appellarsi “al Governo italiano affinché – sottolinea Elisabetta Zamparutti, Tesoriera dell’associazione costituente il Partito Radicale -  ci sia più attenzione e sostegno per chi sta ancora lottando per far cadere il regime, espressione di un potere assoluto e teocratico, la cui fine è inesorabile”.
Presente alla conferenza l’ambasciatore Giulio Maria Terzi di Sant’Agata: “la narrativa che ci viene propinata da molto tempo è che l’Iran è un Paese stabile, che guarda con fiducia al futuro e che vede nell’Italia la porta serena verso il mercato europeo. Questo dogma è stato diffuso senza vergogna fino a qualche settimana fa. Invece ciò che dimostrano queste manifestazioni è che l’Iran è fortemente instabile e che il regime viene contestato anche al proprio interno. Inoltre l’economia continua ad andare a picco perché i soldi vengono usati per folli spese militari che destabilizzano tutto il Medio Oriente. E in tutto questo l’Europa si fa dettare la politica estera verso l’Iran da Teheran stesso”.
Per Laura Harth, rappresentante del Partito Radicale alle Nazioni Unite, “molti Stati membri europei si stanno infatti inchinando apertamente a vari regimi, quali la Cina, la Russia, l’Iran”.  Mariano Rabino, deputato di Scelta Civica, condanna “l’atteggiamento di pavidità dell’Europa” che, anche con l’atteggiamento inetto -  come più volte sottolineato dai relatori  - di Federica Mogherini, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri,  “finisce per legittimare il regime sul piano interno”.
Proprio ieri, rende noto alla conferenza il senatore di Forza Italia Lucio Malan, è stato firmato un accordo dal valore di 5 miliardi di euro tra Invitalia - Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, di proprietà del Ministero dell'Economia – e l’amministrazione pubblica di Teheran per sponsorizzare gli investimenti delle nostre aziende nel Paese degli ayatollah: è scandaloso, sostiene Malan “che nella legge di bilancio, all’articolo 32, siano stati previsti 120 miliardi sul versante del sostegno all’internazionalizzazione del sistema produttivo nazionale in Paesi qualificati ad alto rischio, ossia l’Iran. Ho presentato emendamenti per destinare quei fondi altrove, a Stati ad esempio la cui emigrazione è forte, ma è stato inutile perché ci hanno fatto capire che quei soldi sono solo l’inizio di un fondo”.
Intanto sottolinea il Segretario di Nessuno Tocchi Caino, Sergio D’Elia “nel corso dei due mandati di Rohani sono stati almeno 3294 i prigionieri giustiziati, tra cui, nel 2017, 10 donne, 4 oppositori politici e 4 minorenni, violando tutti i trattati internazionali, senza dimenticare che in Iran gli omosessuali rischiano la pena di morte”. A sostegno di ciò arriva la testimonianza di uno dei leader dei giovani iraniani, ora fuggito e in clandestinità per il timore di essere arrestato, raccolta con difficoltà tramite whatsapp da Antonio Stango, presidente della Federazione Italiana Diritti Umani (FIDU): “ stiamo vivendo in ‘regime totalitario e di apartheid, dato che a causa della sua interpretazione della religione impone separazione fra uomini e donne, oltre che discriminazioni fra nazionalità ed etnie; e non lascia nessuna via legale per ottenere il rispetto dei diritti’”.


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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

IRAN: SOSPESE LE ESECUZIONI PER REATI DI DROGA
10 gennaio 2018: Ali Larijani, presidente del parlamento iraniano, ha dichiarato che vanno rivisti tutti i casi in cui persone sono state condannate a morte in Iran per reati legati alla droga.
È stato inoltre deciso lo stop delle esecuzioni pianificate, ha riportato l'agenzia di stampa Isna.
Secondo le statistiche ufficiali, 4.000 persone sono attualmente nel braccio della morte in Iran per reati di droga.
Il governo iraniano ha ufficialmente abolito la pena di morte per alcuni crimini legati alle droghe a novembre.
Larijani aveva precedentemente difeso la pena di morte per gli spacciatori di droga, sostenendo che fossero responsabili della morte di migliaia di giovani e di una vita di sofferenze per le loro famiglie.
"Senza la pena di morte e le esecuzioni, le droghe sarebbero disponibili in tutti i supermercati", ha affermato.
Nel 2016 un'inchiesta ha rilevato che, nonostante il numero elevato di esecuzioni, la quantità e la varietà di droghe introdotte di contrabbando in Iran è aumentata, piuttosto che diminuire.
In passato l'Iran è stato oggetto di critiche da parte della comunità internazionale per la sua posizione sui reati di droga.
Le autorità del Paese stanno attualmente valutando quali punizioni specifiche siano appropriate come alternativa efficace alla pena di morte, secondo l’Isna.
Ad esempio, coloro che sono stati condannati per la vendita su piccola scala potrebbero essere condannati a diversi anni di prigione o al servizio civile.
I signori della droga, tuttavia, riceveranno ancora la condanna a morte.


USA: FAMILIARI DELLE VITTIME CONTRO LA PENA DI MORTE
9 gennaio 2018: Due recenti pubblicazioni raccolgono una serie di dichiarazioni di familiari di vittime che inizialmente ritenevano che avrebbero tratto giovamento psicologico dalla condanna a morte degli imputati, ma in seguito hanno cambiato idea.
In “From Death Into Life”, pubblicato nel numero dell’8 gennaio della rivista dei Gesuiti “America”, Lisa Murtha riassume una serie di storie, e in “Not in Our Name”, pubblicato da Oregonians for Alternatives to the Death Penalty, 9 famiglie raccontano di come siano giunte a posizioni contrarie alla pena di morte.
"Ognuna delle persone intervistate ha sopportato il dolore estremo di perdere una persona cara per omicidio, e tutte sono fermamente contrarie alla pena di morte, vista come una ulteriore dose di violenza, seppure esercitata dallo stato” ha detto Ron Steiner, leader di Oregonians for Alternatives to the Death Penalty, che ha pubblicato i saggi a novembre.
Della pena di morte si dice spesso che “chiuda” la fase del dolore, e dia sollievo ai familiari delle vittime. Ma, scrive Murtha, "per molti la pena di morte non fornisce né la chiusura né la guarigione che i sistemi legali e politici promettono spesso, ma un numero crescente di famiglie di vittime sta dicendo che inibisce quella guarigione".
Murtha scrive delle diverse ragioni offerte da cinque diverse famiglie di vittime che hanno preso posizione contro la pena di morte nel 2016. "Uno ha appreso quanto profondamente l'assassino fosse cambiato in carcere, un altro voleva solo fermare la lunga serie di ricorsi che avrebbe tenuto il caso giudiziario aperto per molti anni, e un altro ha scoperto che gli uomini originariamente condannati erano in realtà innocenti".
Murtha racconta anche i viaggi emotivi di Bob Curley, Marietta Jaeger Lane e Bill Pelke, ora forti oppositori della pena di morte. Dopo che il figlio di 10 anni Jeffrey fu assassinato, Curley lanciò una crociata lunga anni per ripristinare la pena capitale in Massachusetts, ritenendo che la pena di morte potesse impedire che succedesse di nuovo qualcosa del genere". Ha cambiato posizione dopo aver visto che, tra gli imputati, uno che aveva avuto un ruolo minore aveva ricevuto una sentenza più dura rispetto a quella delle persone con maggiori responsabilità, e si è convinto che "il sistema non è giusto" e non ci si può fidare di ottenere il risultato giusto in casi capitali.
Lane, una cattolica praticante per tutta la vita, disse che inizialmente voleva uccidere l'uomo che rapì e uccise sua figlia di 7 anni, ma poi ha detto: "Mi sono arresa e ho fatto l'unica cosa che potevo fare, ossia dare a Dio il permesso di cambiare il mio cuore."
La nonna di 78 anni di Pelke venne derubata e uccisa da un gruppo di adolescenti e la quindicenne Paula Cooper è stata condannata a morte. Pelke era convinto che sua nonna "avrebbe avuto amore e compassione per Paula Cooper e la sua famiglia, e avrebbe voluto che io avessi lo stesso tipo di amore e compassione. Ho imparato la lezione più importante della mia vita .... Non dovevo vedere qualcun altro morire per “guarire” dopo la morte di Nana".
Uno studio dell'Università del Minnesota ("L'impatto retributivo incrementale di una condanna a morte rispetto ad una all’ergastolo senza condizionale", University of Michigan Journal of Law Reform, Volume 49, Numero 4, 2016) ha rilevato che solo il 2,5% dei familiari delle vittime ha riferito di aver raggiunto “chiusura” grazie alla pena capitale, mentre il 20,1% ha dichiarato che l'esecuzione non li ha aiutati a guarire. Un altro studio pubblicato su Marquette Law Review ("Valutare l'impatto della massima sanzione penale sui superstiti degli omicidi: un confronto tra due stati"), ha rilevato che i membri delle famiglie in procedimenti di omicidio in cui la pena di morte non era disponibile erano fisicamente, psicologicamente e comportamentalmente più sani, ed hanno espresso una maggiore soddisfazione nei confronti del sistema giudiziario rispetto ai familiari nei casi di pena capitale.


BAHRAIN: CORTE MILITARE CONFERMA CONDANNA A MORTE
10 gennaio 2018: La più alta corte d'appello militare del Bahrain ha confermato una condanna a morte per la prima volta da quando è stata istituita sette anni fa.
La Corte Militare di Cassazione ha confermato il verdetto pronunciato contro un soldato che ha ucciso un suo amico con arma da fuoco e ha nascosto il corpo, nel gennaio 2016, ha riportato il quotidiano locale Al Ayam.
I verdetti della Corte sono definitivi e non possono essere impugnati.
L'anno scorso, le autorità del Bahrein hanno modificato la costituzione per consentire il processo di civili dinanzi ai tribunali militari.
A dicembre, un tribunale militare ha condannato a morte sei persone con l'accusa di aver formato una cellula "terrorista" e complottato per assassinare un comandante militare.


BANGLADESH: DUE CONDANNE CAPITALI PER CRIMINI DI GUERRA
9 gennaio 2018: Un tribunale speciale di Dhaka ha condannato a morte due persone di Moulvibazar e all’ergastolo altri tre imputati per aver commesso crimini durante la Guerra di Liberazione del 1971.
I criminali di guerra condannati a morte sono Nesar Ali, 75 anni e Ojayer Ujer Ahmed Chowdhury, 63, mentre Yunus Ahmed, 71 anni, Samsul Hossain Tarafder, 65 anni, e Mobarak Mia, 66, sono stati condannati al carcere a vita.

Il collegio di tre giudici guidato dal giudice Md Shahinur Islam ha emesso il verdetto alla presenza degli accusati. Il tribunale aveva completato le udienze lo scorso 20 novembre.

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