NO ALLA PENA DI MORTE
1. LA STORIA DELLA
SETTIMANA : IRAN: SILENZIO DELL’EUROPA SULLA REPRESSIONE DEGLI AYATOLLAH
2. NEWS FLASH: IRAN: SOSPESE LE
ESECUZIONI PER REATI DI DROGA 3. NEWS
FLASH: USA: FAMILIARI DELLE VITTIME CONTRO LA PENA DI MORTE 4. NEWS FLASH: BAHRAIN: CORTE MILITARE CONFERMA
CONDANNA A MORTE 5. NEWS FLASH:
BANGLADESH: DUE CONDANNE CAPITALI PER CRIMINI DI GUERRA 6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
IRAN: SILENZIO DELL’EUROPA SULLA REPRESSIONE DEGLI
AYATOLLAH
11 gennaio 2018: Al quattordicesimo giorno di
manifestazioni in Iran, si contano 50 morti ed oltre 3000 persone arrestate,
tra cui 90 studenti dell'Università di Tehran, 4 dei quali sono in sciopero
della fame dal 29 dicembre, mentre sono centinaia i feriti e le proteste
proseguono in 132 città: sono i dati allarmanti emersi durante la conferenza
stampa convocata da Nessuno Tocchi Caino per appellarsi “al Governo italiano
affinché – sottolinea Elisabetta Zamparutti, Tesoriera dell’associazione
costituente il Partito Radicale - ci sia
più attenzione e sostegno per chi sta ancora lottando per far cadere il regime,
espressione di un potere assoluto e teocratico, la cui fine è inesorabile”.
Presente alla conferenza l’ambasciatore Giulio Maria
Terzi di Sant’Agata: “la narrativa che ci viene propinata da molto tempo è che
l’Iran è un Paese stabile, che guarda con fiducia al futuro e che vede
nell’Italia la porta serena verso il mercato europeo. Questo dogma è stato
diffuso senza vergogna fino a qualche settimana fa. Invece ciò che dimostrano
queste manifestazioni è che l’Iran è fortemente instabile e che il regime viene
contestato anche al proprio interno. Inoltre l’economia continua ad andare a
picco perché i soldi vengono usati per folli spese militari che destabilizzano
tutto il Medio Oriente. E in tutto questo l’Europa si fa dettare la politica
estera verso l’Iran da Teheran stesso”.
Per Laura Harth, rappresentante del Partito Radicale alle
Nazioni Unite, “molti Stati membri europei si stanno infatti inchinando apertamente
a vari regimi, quali la Cina, la Russia, l’Iran”. Mariano Rabino, deputato di Scelta Civica,
condanna “l’atteggiamento di pavidità dell’Europa” che, anche con
l’atteggiamento inetto - come più volte
sottolineato dai relatori - di Federica
Mogherini, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri, “finisce per legittimare il regime sul piano
interno”.
Proprio ieri, rende noto alla conferenza il senatore di
Forza Italia Lucio Malan, è stato firmato un accordo dal valore di 5 miliardi
di euro tra Invitalia - Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e
lo sviluppo d'impresa, di proprietà del Ministero dell'Economia – e
l’amministrazione pubblica di Teheran per sponsorizzare gli investimenti delle
nostre aziende nel Paese degli ayatollah: è scandaloso, sostiene Malan “che
nella legge di bilancio, all’articolo 32, siano stati previsti 120 miliardi sul
versante del sostegno all’internazionalizzazione del sistema produttivo
nazionale in Paesi qualificati ad alto rischio, ossia l’Iran. Ho presentato
emendamenti per destinare quei fondi altrove, a Stati ad esempio la cui
emigrazione è forte, ma è stato inutile perché ci hanno fatto capire che quei
soldi sono solo l’inizio di un fondo”.
Intanto sottolinea il Segretario di Nessuno Tocchi Caino,
Sergio D’Elia “nel corso dei due mandati di Rohani sono stati almeno 3294 i
prigionieri giustiziati, tra cui, nel 2017, 10 donne, 4 oppositori politici e 4
minorenni, violando tutti i trattati internazionali, senza dimenticare che in
Iran gli omosessuali rischiano la pena di morte”. A sostegno di ciò arriva la
testimonianza di uno dei leader dei giovani iraniani, ora fuggito e in
clandestinità per il timore di essere arrestato, raccolta con difficoltà
tramite whatsapp da Antonio Stango, presidente della Federazione Italiana
Diritti Umani (FIDU): “ stiamo vivendo in ‘regime totalitario e di apartheid,
dato che a causa della sua interpretazione della religione impone separazione
fra uomini e donne, oltre che discriminazioni fra nazionalità ed etnie; e non
lascia nessuna via legale per ottenere il rispetto dei diritti’”.
---------------------------------------
NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
IRAN: SOSPESE LE ESECUZIONI PER REATI DI DROGA
10 gennaio 2018: Ali Larijani, presidente del parlamento
iraniano, ha dichiarato che vanno rivisti tutti i casi in cui persone sono
state condannate a morte in Iran per reati legati alla droga.
È stato inoltre deciso lo stop delle esecuzioni
pianificate, ha riportato l'agenzia di stampa Isna.
Secondo le statistiche ufficiali, 4.000 persone sono
attualmente nel braccio della morte in Iran per reati di droga.
Il governo iraniano ha ufficialmente abolito la pena di
morte per alcuni crimini legati alle droghe a novembre.
Larijani aveva precedentemente difeso la pena di morte
per gli spacciatori di droga, sostenendo che fossero responsabili della morte
di migliaia di giovani e di una vita di sofferenze per le loro famiglie.
"Senza la pena di morte e le esecuzioni, le droghe
sarebbero disponibili in tutti i supermercati", ha affermato.
Nel 2016 un'inchiesta ha rilevato che, nonostante il
numero elevato di esecuzioni, la quantità e la varietà di droghe introdotte di
contrabbando in Iran è aumentata, piuttosto che diminuire.
In passato l'Iran è stato oggetto di critiche da parte
della comunità internazionale per la sua posizione sui reati di droga.
Le autorità del Paese stanno attualmente valutando quali
punizioni specifiche siano appropriate come alternativa efficace alla pena di
morte, secondo l’Isna.
Ad esempio, coloro che sono stati condannati per la
vendita su piccola scala potrebbero essere condannati a diversi anni di
prigione o al servizio civile.
I signori della droga, tuttavia, riceveranno ancora la
condanna a morte.
USA: FAMILIARI DELLE VITTIME CONTRO LA PENA DI MORTE
9 gennaio 2018: Due recenti pubblicazioni raccolgono una
serie di dichiarazioni di familiari di vittime che inizialmente ritenevano che
avrebbero tratto giovamento psicologico dalla condanna a morte degli imputati,
ma in seguito hanno cambiato idea.
In “From Death Into Life”, pubblicato nel numero dell’8
gennaio della rivista dei Gesuiti “America”, Lisa Murtha riassume una serie di
storie, e in “Not in Our Name”, pubblicato da Oregonians for Alternatives to
the Death Penalty, 9 famiglie raccontano di come siano giunte a posizioni
contrarie alla pena di morte.
"Ognuna delle persone intervistate ha sopportato il
dolore estremo di perdere una persona cara per omicidio, e tutte sono
fermamente contrarie alla pena di morte, vista come una ulteriore dose di
violenza, seppure esercitata dallo stato” ha detto Ron Steiner, leader di
Oregonians for Alternatives to the Death Penalty, che ha pubblicato i saggi a
novembre.
Della pena di morte si dice spesso che “chiuda” la fase
del dolore, e dia sollievo ai familiari delle vittime. Ma, scrive Murtha,
"per molti la pena di morte non fornisce né la chiusura né la guarigione
che i sistemi legali e politici promettono spesso, ma un numero crescente di
famiglie di vittime sta dicendo che inibisce quella guarigione".
Murtha scrive delle diverse ragioni offerte da cinque
diverse famiglie di vittime che hanno preso posizione contro la pena di morte
nel 2016. "Uno ha appreso quanto profondamente l'assassino fosse cambiato
in carcere, un altro voleva solo fermare la lunga serie di ricorsi che avrebbe
tenuto il caso giudiziario aperto per molti anni, e un altro ha scoperto che
gli uomini originariamente condannati erano in realtà innocenti".
Murtha racconta anche i viaggi emotivi di Bob Curley,
Marietta Jaeger Lane e Bill Pelke, ora forti oppositori della pena di morte.
Dopo che il figlio di 10 anni Jeffrey fu assassinato, Curley lanciò una
crociata lunga anni per ripristinare la pena capitale in Massachusetts,
ritenendo che la pena di morte potesse impedire che succedesse di nuovo
qualcosa del genere". Ha cambiato posizione dopo aver visto che, tra gli
imputati, uno che aveva avuto un ruolo minore aveva ricevuto una sentenza più
dura rispetto a quella delle persone con maggiori responsabilità, e si è
convinto che "il sistema non è giusto" e non ci si può fidare di
ottenere il risultato giusto in casi capitali.
Lane, una cattolica praticante per tutta la vita, disse
che inizialmente voleva uccidere l'uomo che rapì e uccise sua figlia di 7 anni,
ma poi ha detto: "Mi sono arresa e ho fatto l'unica cosa che potevo fare,
ossia dare a Dio il permesso di cambiare il mio cuore."
La nonna di 78 anni di Pelke venne derubata e uccisa da
un gruppo di adolescenti e la quindicenne Paula Cooper è stata condannata a
morte. Pelke era convinto che sua nonna "avrebbe avuto amore e compassione
per Paula Cooper e la sua famiglia, e avrebbe voluto che io avessi lo stesso
tipo di amore e compassione. Ho imparato la lezione più importante della mia
vita .... Non dovevo vedere qualcun altro morire per “guarire” dopo la morte di
Nana".
Uno studio dell'Università del Minnesota ("L'impatto
retributivo incrementale di una condanna a morte rispetto ad una all’ergastolo
senza condizionale", University of Michigan Journal of Law Reform, Volume
49, Numero 4, 2016) ha rilevato che solo il 2,5% dei familiari delle vittime ha
riferito di aver raggiunto “chiusura” grazie alla pena capitale, mentre il
20,1% ha dichiarato che l'esecuzione non li ha aiutati a guarire. Un altro
studio pubblicato su Marquette Law Review ("Valutare l'impatto della
massima sanzione penale sui superstiti degli omicidi: un confronto tra due
stati"), ha rilevato che i membri delle famiglie in procedimenti di
omicidio in cui la pena di morte non era disponibile erano fisicamente,
psicologicamente e comportamentalmente più sani, ed hanno espresso una maggiore
soddisfazione nei confronti del sistema giudiziario rispetto ai familiari nei
casi di pena capitale.
BAHRAIN: CORTE MILITARE CONFERMA CONDANNA A MORTE
10 gennaio 2018: La più alta corte d'appello militare del
Bahrain ha confermato una condanna a morte per la prima volta da quando è stata
istituita sette anni fa.
La Corte Militare di Cassazione ha confermato il verdetto
pronunciato contro un soldato che ha ucciso un suo amico con arma da fuoco e ha
nascosto il corpo, nel gennaio 2016, ha riportato il quotidiano locale Al Ayam.
I verdetti della Corte sono definitivi e non possono
essere impugnati.
L'anno scorso, le autorità del Bahrein hanno modificato
la costituzione per consentire il processo di civili dinanzi ai tribunali militari.
A dicembre, un tribunale militare ha condannato a morte
sei persone con l'accusa di aver formato una cellula "terrorista" e
complottato per assassinare un comandante militare.
BANGLADESH: DUE CONDANNE CAPITALI PER CRIMINI DI GUERRA
9 gennaio 2018: Un tribunale speciale di Dhaka ha
condannato a morte due persone di Moulvibazar e all’ergastolo altri tre
imputati per aver commesso crimini durante la Guerra di Liberazione del 1971.
I criminali di guerra condannati a morte sono Nesar Ali,
75 anni e Ojayer Ujer Ahmed Chowdhury, 63, mentre Yunus Ahmed, 71 anni, Samsul
Hossain Tarafder, 65 anni, e Mobarak Mia, 66, sono stati condannati al carcere
a vita.
Il collegio di tre giudici guidato dal giudice Md Shahinur
Islam ha emesso il verdetto alla presenza degli accusati. Il tribunale aveva
completato le udienze lo scorso 20 novembre.
Nessun commento:
Posta un commento