lunedì 23 ottobre 2017

       NESSUNO   TOCCHI    CAINO      
 no   alla   pena   di   morte   .........................




1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : NESSUNO TOCCHI CAINO DEDICA LA GIORNATA MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE ALL’IRAN 2.  NEWS FLASH: ONU: NON C’È POSTO PER LA PENA DI MORTE NEL 21° SECOLO 3.  NEWS FLASH: PAPA FRANCESCO: ‘LA PENA DI MORTE È CONTRARIA AL VANGELO’
4.  NEWS FLASH: INDIA: 11 CONDANNE A MORTE COMMUTATE NEL GUJARAT 5.  NEWS FLASH: SIERRA LEONE: SEI CONDANNATI A MORTE PER COSPIRAZIONE E RAPINA A MANO ARMATA 6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


NESSUNO TOCCHI CAINO DEDICA LA GIORNATA MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE ALL’IRAN Il 10 ottobre ricorre la giornata mondiale contro la pena di morte e Nessuno tocchi Caino l’ha dedicata all’Iran, il Paese che continua a registrare il maggior numero di esecuzioni pro-capite al mondo.

Secondo Human Rights Monitor, sono state almeno 456 le esecuzioni compiute nel 2017, tra cui quelle di 12 donne e di 4 persone minorenni al momento del fatto, mentre il totale delle esecuzioni compiute sotto la Presidenza Rouhani, dall’agosto 2013 al settembre 2017, ha raggiunto l’impressionante cifra di 3.111 esecuzioni. Per Rouhani queste esecuzioni “si basano su leggi divine o su norme approvate dal Parlamento”, di cui si sente mero attuatore.
Le persone sono mandate al patibolo soprattutto per reati legati alla droga: sono state ben 238 le esecuzioni del 2017 compiute per reati nonviolenti legati alla droga e nonostante il Parlamento abbia deciso di abolirla per gran parte di questi casi, la legge è ancora al vaglio del Consiglio dei Guardiani da cui dipende l’entrata in vigore.
L’impiccagione è il metodo preferito con cui è applicata la Sharia in Iran, e le esecuzioni pubbliche sono continuate nel 2017 con almeno 25 persone che sono state impiccate sulla pubblica piazza.
Ma in Iran è l’intero sistema di promozione e tutela dei diritti umani ad essere disatteso dal regime teocratico: secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta.
Per comprendere la natura di questo regime sanguinario è importante conoscere la linea di continuità che lega figure di primo piano istituzionale dell’attuale Governo con la messa a morte di 30.000 prigionieri politici nel 1988, un massacro a cui fa riferimento il recente rapporto dell'Inviato Speciale delle Nazioni Unite sulla Situazione dei Diritti Umani in Iran e che lo stesso regime ha recentemente ammesso di aver compiuto. Infatti, Rouhani ha voluto come Ministro della Giustizia nel suo primo mandato proprio Mostafa Pour-Mohammadi, un membro della Commissione della Morte di Teheran ed ora, nel suo secondo mandato, Alireza Avaie, un altro responsabile di quel massacro nella provincia del Khuzestan e sottoposto dall'Unione Europea a sanzioni per le violazioni dei diritti umani di cui si è reso responsabile.
“Il silenzio da parte della Comunità internazionale su tutto questo incoraggia il regime iraniano a proseguire nelle esecuzioni come nella violazione degli standard internazionali sui diritti umani”, hanno detto Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti, rispettivamente Segretario e Tesoriere di Nessuno tocchi Caino. “Per questo è importante che l'Assemblea Generale dell'ONU, in corso a New York, istituisca una commissione internazionale d'inchiesta sul massacro del 1988 e che ribadisca nei confronti dell’Iran la richiesta di moratoria in vista dell’abolizione della pena di morte. La questione della pena di morte e più in generale del rispetto dei Diritti Umani sia al centro di ogni intesa ed incontro tanto in sede multilaterale che bilaterale con rappresentanti della Repubblica Islamica dell’Iran, a partire dal suo Presidente Rouhani.”


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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

ONU: NON C’È POSTO PER LA PENA DI MORTE NEL 21° SECOLO
10 ottobre 2017: La pena di morte fa poco per dissuadere dai crimini e non serve alle vittime, ha detto il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, invitando tutti i Paesi che non hanno ancora proibito la pratica estrema a fermare urgentemente le esecuzioni.
"Non c’è posto per la pena di morte nel 21° secolo", ha dichiarato Guterres, parlando a fianco di Andrew Gilmour, Assistente del Segretario generale per i diritti umani, in occasione di un evento presso la sede dell'ONU a New York.
Sottolineando che circa 170 Stati in tutto il mondo hanno abolito la pena di morte e hanno posto una moratoria sul suo uso - recentemente, Gambia e Madagascar - e che le esecuzioni nel 2016 sono diminuite del 37% rispetto al 2015, il capo dell'ONU ha aggiunto che attualmente solo quattro Paesi rappresentano l'87 per cento di tutte le esecuzioni registrate.
Ha anche espresso preoccupazione perché i Paesi che continuano le esecuzioni non riescono a rispettare i loro obblighi internazionali, in particolare per quanto riguarda la trasparenza e il rispetto degli standard internazionali in materia di diritti umani.
"Alcuni governi nascondono le esecuzioni e applicano un sistema di segretezza per nascondere chi è nel braccio della morte e perché", ha detto Guterres, sottolineando che la mancanza di trasparenza ha mostrato una mancanza di rispetto per i diritti umani dei condannati a morte e delle loro famiglie, oltre a danneggiare in modo più generale l’amministrazione della giustizia.
Concludendo le sue osservazioni, il Segretario generale ha invitato tutti gli Stati che hanno abolito la pena di morte ad unirsi all'invito ai leader di quei Paesi che la mantengono "per stabilire una moratoria ufficiale, in vista dell’abolizione non appena possibile."
Sempre oggi l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha invitato tutti i Paesi a rafforzare gli sforzi per abolire la pena di morte.
"Noi [...] invitiamo tutti gli Stati a ratificare il Secondo Protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici", ha dichiarato Rupert Colville, portavoce dell'OHCHR, a giornalisti in un briefing periodico a Ginevra.
Il Secondo Protocollo Opzionale alla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), ad oggi ratificato da 85 Stati in tutto il mondo, richiede alle parti l'abolizione della pena di morte. È l'unico strumento giuridico internazionale universale che mira a porre fine alla pratica.
"[OHCHR] è pronta a continuare a sostenere tutti gli sforzi in questa direzione", ha concluso Colville.


PAPA FRANCESCO: ‘LA PENA DI MORTE È CONTRARIA AL VANGELO’
11 ottobre 2017: "Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. È in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore". Così papa Francesco, secondo cui "è necessario ribadire che, per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all'inviolabilità e dignità della persona".
Intervenendo nell'Aula nuova del Sinodo, in Vaticano, all'incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione per il 25/o anniversario della firma della costituzione apostolica Fidei Depositum da parte di San Giovanni Paolo II, testo che accompagnava l'uscita del Catechismo della Chiesa Cattolica, il Papa ha voluto fare riferimento nel suo discorso "a un tema che dovrebbe trovare nel Catechismo della Chiesa cattolica uno spazio più adeguato e coerente. Penso, infatti, alla pena di morte", ha detto, una problematica che "non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana".
"Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale - ha proseguito -. È in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante".
Secondo Francesco, "mai nessun uomo, 'neppure l'omicida perde la sua dignità personale' (Lettera al Presidente della Commissione Internazionale contro la pena di morte, 20 marzo 2015), perché Dio è un Padre che sempre attende il ritorno del figlio il quale, sapendo di avere sbagliato, chiede perdono e inizia una nuova vita. A nessuno, quindi, può essere tolta non solo la vita, ma la stessa possibilità di un riscatto morale ed esistenziale che torni a favore della comunità".
Il Papa ha ricordato che "nei secoli passati, quando si era dinnanzi a una povertà degli strumenti di difesa e la maturità sociale ancora non aveva conosciuto un suo positivo sviluppo, il ricorso alla pena di morte appariva come la conseguenza logica dell'applicazione della giustizia a cui doversi attenere".
"Purtroppo - ha riconosciuto -, anche nello Stato Pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia. Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana. La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo". Tuttavia, ha aggiunto, "rimanere oggi neutrali dinanzi alle nuove esigenze per la riaffermazione della dignità personale, ci renderebbe più colpevoli".
Per il Papa, "qui non siamo in presenza di contraddizione alcuna con l'insegnamento del passato, perché la difesa della dignità della vita umana dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale ha sempre trovato nell'insegnamento della Chiesa la sua voce coerente e autorevole".
Lo sviluppo armonico della dottrina, tuttavia, "richiede di tralasciare prese di posizione in difesa di argomenti che appaiono ormai decisamente contrari alla nuova comprensione della verità cristiana". "È necessario ribadire pertanto che, per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all'inviolabilità e dignità della persona", ha concluso.


INDIA: 11 CONDANNE A MORTE COMMUTATE NEL GUJARAT
9 ottobre 2017: L'Alta Corte dello Stato indiano di Gujarat ha commutato in ergastolo le condanne a morte emesse da un tribunale di grado inferiore nei confronti di 11 imputati nel caso dell’incendio del treno a Godhra nel 2002.
L'Alta Corte ha confermato la colpevolezza di altre 20 persone che sono state condannate all’ergastolo da un tribunale speciale che nel 2011 ha riconosciuto le 31 persone colpevoli di omicidio e cospirazione.
Un tribunale speciale ha assolto altri 63 imputati per mancanza di prove, compreso il principale accusato Maulana Umarji.
Fino a 59 pellegrini che ritornavano da Ayodhya restarono uccisi quando una folla attaccò un treno incendiando il vagone S6 nei pressi della stazione ferroviaria di Godhra nel febbraio 2002. L'incidente scatenò disordini nel Gujarat in cui restarono uccise più di 1.000 persone.
L'Alta Corte del Gujarat ha respinto un appello del governo del Gujarat contro le 63 persone che sono state assolte.


SIERRA LEONE: SEI CONDANNATI A MORTE PER COSPIRAZIONE E RAPINA A MANO ARMATA
6 ottobre 2017: Il giudice Monfred Momoh Sesay dell’Alta Corte di Bo, in Sierra Leone, ha condannato a morte sei imputati per cospirazione e rapina a mano armata.
I condannati sono stati identificati come Augustine Omaska (noto come G-Father), Daniel George, Claude Nahas, Thomas Mando (Love-T), Aruna Bangura (Akon) e Steven Joel Smart.
Sono stati condannati nel corso della sessione penale speciale dell’Alta Corte avviata dalle autorità per concludere i casi principali in tutto il Paese nel più breve tempo possibile per evitare la congestione carceraria.
Secondo il team dell’accusa, guidato da Joseph A.K. Sesay, gli imputati sono stati portati in tribunale per aver attaccato nel marzo 2017 residenti nella città di Pujehun muniti di pistole e machete, derubandoli dei loro oggetti di valore e contanti.
I giurati che hanno assistito al processo hanno concordato all'unanimità sul verdetto che stabilisce la colpevolezza di tutti gli accusati per entrambe le imputazioni e il giudice Monfred Momoh Sesay li ha condannati alla fucilazione pubblica.
I detenuti hanno il diritto di impugnare la loro condanna entro 21 giorni.

Da anni il Paese osserva una moratoria sull'uso della pena di morte, malgrado la recente uscita del ministro degli Affari Interni, Alfred Palo Conteh, a favore di una ripresa delle esecuzioni.

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