COMPASSIONE........
La compassione (dal
latino cum patior - soffro con - e dal greco συμπἀθεια , sym
patheia - "simpatia", provare emozioni con..) è un sentimento per il quale un
individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui provandone pena e
desiderando alleviarla.[1]
Il concetto di compassione richiama
quello di empatia dal greco "εμπαθεια" (empateia, composta da en-,
"dentro", e pathos, "affezione o sentimento"),[2] che veniva usata
per indicare il rapporto emozionale di partecipazione soggettiva che legava lo
spettatore del teatro greco antico all'attore recitante ed anche
l'immedesimazione che questi aveva con il personaggio che interpretava. Una
tecnica di recitazione questa comune anche alla commedia dell'arte.[3]
Nelle scienze umane, il termine empatia
è passato a designare un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un
impegno di comprensione dell'altro, escludendo ogni attitudine istintiva affettiva personale
(simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale.[4]
Filosofia antica
In un significato che richiama quello
antico di empatia era la compassione che i sofisti erano in grado
di suscitare in chi assisteva ai loro discorsi servendosi della magia della
parola che
« è una
grande dominatrice, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime
cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il
dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentar la pietà. E come ciò ha luogo,
lo spiegherò. Perché bisogna anche spiegarlo al giudizio degli uditori: la
poesia nelle sue varie forme io la ritengo e la chiamo un discorso con metro,
e chi l’ascolta è invaso da un brivido di spavento, da una compassione che
strappa le lacrime, da una struggente brama di dolore, e l’anima patisce, per
effetto delle parole, un suo proprio patimento, a sentir fortune e sfortune
di fatti e di persone straniere.
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Nell'Atene del V secolo a.C. il sofista Gorgia usa la parola come strumento di
una persuasione che deriva, non da un dialogo socratico, ma da un'abile
mozione dei sentimenti. La parola non serve a conoscere né a predisporre
l'azione morale ma è un'arte psicagogica usata a fini di
potere politico che instaura una condivisione di passioni tale nell'ascoltatore
da fargli credere all'inganno poetico del retore. Questi, afferma Gorgia, è
"migliore" di chi non inganna, perché il retore è capace di creare
una "verità estetica", ed «è più saggio chi è ingannato di chi non lo
è» perché con la
compassione partecipa emotivamente a questa intensa verità.
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Il rifiuto invece della compassione come
strumento politico è proprio dello stoicismo che abbatte
l'antica tradizione politica del mondo greco che si appellava a questo
sentimento per curare i mali dell'umanità. Eppure l'interesse per la politica nasce
negli stoici per quella loro dimensione cosmopolita, che scaturisce
proprio da quel sentimento di compassione e partecipazione agli eventi del
mondo proprio della sympathèia, ossia dell'intima connessione esistente tra la
sfera dell'uomo e quella dell'Anima cosmica: essi sono sudditi di una patria
universale, non c'è avvenimento che non li riguardi, che non li coinvolga. Ma
la compassione non deve fondare l'azione politica diretta al bene del prossimo:
è vero che attraverso questo sentimento ci si renderebbe conto delle
sofferenze, ad esempio, di uno schiavo facendo nascere in noi il desiderio di
liberarlo ma la «compassione attribuisce importanza a circostanze esterne come se
la dignità umana non fosse autosufficiente... La saggezza è ciò che basta a
rendere l'uomo libero.» [9]
Come la compassione dia forza al
messaggio filosofico appare chiaro nella poesia di Lucrezio, il filosofo poeta
latino che con l'arte poetica fa sì che il pensiero epicureo penetri non solo
nella mente ma anche nel cuore degli uomini. Tutta la poesia di Lucrezio è
ispirata dalla considerazione di un dolore cosmico che lo porta a compatire
soprattutto la sorte «dell'uomo non saggio, il quale privo della verità svelata
da Epicuro, trascina una vita inutile e assurda nell'affanno e nella noia per
perdersi poi nel nulla.»
Filosofia moderna
L'importanza della compassione nella
formazione della morale è stata oggetto dell'analisi dei filosofi del XVIII secolo che si possono
genericamente identificare in due correnti: una prima che fonda il giudizio
morale sulla ragione e una seconda che ne ricerca le origini nelle passioni e nei
sentimenti umani). Il dibattito verte anche sulla presenza innatadel senso morale o la sua assimilazione
dopo la nascita quale elemento culturale.
La compassione compare come strumento
educativo nel progetto pedagogico di Rousseau: per sviluppare
nell'adolescente una formazione morale bisogna fargli provare esperienze che
suscitino in lui la compassione, la capacità di condividere le sofferenze degli
altri.
Teoria questa condivisa da David Hume secondo il quale
tutte le nostre attività razionali e morali hanno una comune origine negli
atteggiamenti sentimentali.
« La ragione è, e
deve solo essere schiava delle passioni e non può rivendicare in nessun caso
una funzione diversa da quella di servire e obbedire ad esse.»
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Il rifiuto di ogni sentimento di
compassione nella morale caratterizza invece l'etica kantiana. Kant stesso ci dice
che per un certo tempo egli fu attratto dalle concezioni morali deisentimentalisti inglesi che poi
abbandonò insoddisfatto perché il loro metodo d'indagine si riduceva a una semplice analisi psicologica e perché il loro eccessivo ottimismo non faceva loro
prendere in considerazione quello che per lui costituiva l'elemento essenziale
della morale: l'obbligatorietà.
Viene quindi affermata l'indipendenza
dell'atto morale dalla scienza e la sua irriducibilità al sentimento che non
potrà mai essere confuso con la moralità. Il sentimento della compassione è
qualcosa di impulsivo, debole, incostante su cui non può fare affidamento la
morale: «una certa dolcezza d'animo che passa facilmente in un caldo senso di
pietà, è cosa bella ed amabile, perché rivela una certa partecipazione alle
vicende altrui...ma questo sentimento bonario è debole e cieco.»
In Schopenhauer la compassione è una delle strade che porta alla liberazione dal
dolore universale dell'uomo, come fenomeno schiavo del rapporto di causalità e comenoumeno soggetto alla
"volontà di vivere". L'uomo provando compassione, nel senso
originario del termine, cioè patendo assieme agli altri per il loro dolore, non
solo prende coscienza del dolore ma lo sente e lo fa suo. Si realizzerà così la
pur momentanea sconfitta della volontà di vivere poiché nella compassione è
come se il singolo corpo del singolo uomo si dilatasse nel corpo degli altri
uomini: la propria corporeità si assottiglia e la volontà di vivere è meno
incisiva. Il dolore unendo gli uomini li accomuna e li conforta.[15]
Nel pensiero di Nietzsche l'etica
patronale è compassionevole e filantropica non tanto per un
sincero sentimento di pietà ma come naturale conseguenza di una pienezza di
potere che straripa su i sottomessi e sugli schiavi che da parte loro
giustificano la loro subordinazione esaltando i valori dell'umiltà e della
rinuncia.[16]
Filosofia contemporanea
Riprendendo una tematica kantiana Karl-Otto Apel (1922) esclude nella formazione dei principi
morali l'elemento della compassione.«La compassione, la simpatia, la
benevolenza, l'amore e simili non possono dunque venir riconosciuti come
principi alternativi per la fondazione della morale; possono però esser tenuti
in considerazione come risorse motivazionali, empiricamente indispensabili per
la fondazione delle norme anche di quelle fondate sulla scorta dell'etica del
discorso, su quella morale
formale, cioè, della comunicazione che, fondandosi sul rispetto reciproco di
principi e regole tra gli interlocutori, individua i presupposti per realizzare
un accordo mirante a realizzare pacificamente una vita felice.
Il filosofo israeliano Khen Lampert (1957), prendendo spunto dalla morale della
compassione di Schopenhauer, elabora una "Teoria della Compassione
Radicale" , che considerando il
"comune soffrire" dell'umanità giudica come un imperativo morale
quello di cambiare la realtà, al fine di alleviare il dolore degli altri.Questo stato
d'animo, secondo la teoria di Lampert, è radicato nel profondo della nostra
natura umana, non è mediato dalla cultura è universale e sta
alla radice delle rivendicazioni storiche di cambiamento sociale.
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