NESSUNO TOCCHI CAINO
no alla pena di morte
NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS
La newsletter a cura di Nessuno Tocchi Caino Questo
servizio e' realizzato nell'ambito di un progetto sostenuto dall'Unione
Europea. Le opinioni espresse in questa pubblicazione non riflettono
necessariamente quelle della Commissione dell'Unione Europea.
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Anno 20 - n. 44 - 21-11-2020
Contenuti del numero:
1. LA STORIA DELLA
SETTIMANA : ‘HO SPOSATO LUCA IN CARCERE, LI’ VIVE ISOLATO NEL SUO DOLORE’
2. NEWS FLASH:
‘IRAQ, 21 ESECUZIONI IN UN GIORNO CON ACCUSE FUMOSE…’
3. NEWS FLASH:
PENA DI MORTE: TERZO COMITATO ONU APPROVA A SCHIACCIANTE MAGGIORANZA PROPOSTA
DI RISOLUZIONE PRO-MORATORIA 4. NEWS
FLASH: USA: ORLANDO HALL GIUSTIZIATO NEL PENITENZIARIO FEDERALE DI TERRE HAUTE
5. NEWS FLASH: YEMEN: 21 CONDANNATI A
MORTE DAGLI HOUTHI PER SPIONAGGIO 6. I
SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
‘HO SPOSATO LUCA IN CARCERE, LI’ VIVE ISOLATO NEL SUO
DOLORE’
di Sabrina Renna
“Il viaggio della speranza” di Nessuno tocchi Caino che
sta attraversando la Sicilia è occasione di incontri preziosi, ricchi di
vissuti e fonte di conoscenza anche di vicende di ordinario degrado negli
istituti penitenziari. Manuela è la moglie di Luca che si trova, nel momento in
cui mi chiama, detenuto nel carcere di Agrigento.
“Petrusa” è l’istituto che Rita Bernardini visitò con il
Partito Radicale e l’Osservatorio carcere delle Camere penali nell’estate del
2019. Lo trovò in condizioni talmente gravi che Roberto Giachetti, subito
informato, non esitò a presentare un’interrogazione parlamentare ai Ministri
della Giustizia e della Salute.
Luca e Manuela appartengono a due mondi diversi: lui
catanese, cresciuto nel “palazzo di cemento” del quartiere Librino simbolo di
degrado e malaffare; lei acese, cresciuta in Corso Umberto, nel centro storico
di questo gioiello siciliano. Si incontrano grazie all’attività di volontariato
di Manuela e finiscono sposi nel carcere di Trapani nel maggio 2019. Con e per
Luca, Manuela ha compreso che se le condizioni di vita cambiano anche le
persone cambiano e da quando lo ha incontrato ha sempre cercato di mutare il
corso della vita di Luca. Lui ha 28 anni e una condanna a 7 per la quale è
entrato nel carcere di Caltanissetta nel marzo 2018 e che finirà di scontare
nel marzo 2024.
Il 28 maggio scorso è stato trasferito ad Agrigento e la
ragione per cui Manuela mi chiama è che sono tre mesi e mezzo che Luca si trova
in una cella di isolamento nel reparto transito per una rissa tra detenuti
comuni scoppiata al secondo piano. Sono in sette in isolamento, lo stesso
numero che riporta l’interrogazione di Giachetti che a distanza di un anno
resta ancora senza risposta a riprova di condizioni immutate. La sporcizia è
generalizzata, i “blindi” stanno per lo più chiusi eccetto quando monta qualche
agente di buon cuore. Ma anche quando il “blindo” si apre Luca non esce dalla
cella perché lo spazio per il passeggio è angusto e opprimente.
In questa condizione di isolamento Luca soffre la pena
aggiuntiva della sindrome dell'articolazione temporo-mandibolare, un disturbo
caratterizzato dal malfunzionamento dell'articolazione che collega la mandibola
superiore e inferiore. Ha difficoltà a masticare e solo la cura e la dedizione
di Manuela ha fatto sì che il loro dentista di fiducia sia riuscito, dopo molte
vicissitudini burocratiche, ad applicare un dispositivo realizzato su misura
che riduce gli effetti nocivi dello stringere o digrignare i denti. Un
intervento e una condizione che richiedono comunque un monitoraggio continuo anche
perché Luca continua ad avere difficoltà di masticazione che si ripercuotono
sulla sua alimentazione. Stare in isolamento 24 ore al giorno e senza riuscire
a nutrirsi adeguatamente aumenta il dolore. La sua mente è attraversata da
pulsioni autolesionisti che possono condurre al suicido. Manuela mi racconta
che i sanitari non lo visitano regolarmente, “non dico una volta al giorno
come si dovrebbe fare ma neppure
nell’arco di mesi”, denuncia Manuela, che mi informa che suo marito la prima
settimana di novembre ha fatto uno sciopero della fame per ottenere una visita
medica, ma non è andato nessuno.
Al dolore di questa condizione di degrado materiale e di
malattia se ne aggiunge un altro. Quello della separazione dalla sua bambina.
La figlia di 9 anni è sotto tutela del Tribunale dei minori di Catania, che
avrebbe equiparato l’abbandono volontario da parte della madre a quello
obbligato del padre finito in carcere. Luca non è ritenuto idoneo ad avere
l’affido perché ancora non beneficia di una misura alternativa. Padre e figlia
non si sono visti da oltre due anni. Solo durante l’estate si sono avviate
alcune videochiamate che sono andate bene e che pur tra mille difficoltà
continuano nella forma di chiamate vocali due volte al mese. Luca ha
particolari difficoltà a relazionarsi con l’area trattamentale. È vero. Però ha
una moglie che gli offre massima sicurezza economica, sociale e psicologica e
che trasferisce ogni volta il suo domicilio dove trasferiscono il suo Luca.
Mentre scrivo Manuela mi informa che Luca è stato mandato a Caltagirone dove
dovrà stare in q uarantena per
quattordici giorni anche se proviene da un altro carcere e non dall’esterno e i
primi due tamponi fatti sono negativi. È una vita, la sua, che pare destinata a
passare sempre da una cella di isolamento. E intanto Manuela ha aderito allo
sciopero della fame di Rita Bernardini volto a ridurre drasticamente la
popolazione carceraria.
Sabrina Renna
Per partecipare allo sciopero della fame usa il link
riportato sotto.
Per saperne di piu' : https://www.partitoradicale.it/carceri-no-al-dilagare-del-covid-19-nelle-carceri-iniziativa-nonviolenta-per-un-intervento-immediato/
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
‘IRAQ, 21 ESECUZIONI IN UN GIORNO CON ACCUSE FUMOSE…’
di Elisabetta Zamparutti
Lunedì scorso, il 16 novembre, le autorità irachene hanno
impiccato 21 uomini. Un numero sconcertante. Erano accusati di terrorismo. Il
Ministro degli Interni nel darne notizia non ha fornito dettagli né
sull’identità dei giustiziati, né sui reati compiuti, limitandosi a dire che
tra loro c’erano i responsabili di due attacchi suicida che causarono dozzine
di morti nella città settentrionale di Tal Afar.
Le impiccagioni sono avvenute nel carcere di Nasiriyah,
nel sud del Paese, l’unico in cui si compiono le esecuzioni. Gli iracheni lo
hanno soprannominato la “balena”, perché questo vasto complesso carcerario,
dicono, “inghiotte le persone”. L’Iraq ha dichiarato vittoria sullo Stato
Islamico nel 2017, mettendo un numero impressionante di sospetti jihadisti
sotto processo e compiendo esecuzioni di massa.
L’Iraq aveva dichiarato vittoria anche su Saddam Hussein nel 2006,
mandandolo al patibolo ad Abu Grahib, il carcere di Baghdad che dopo essere
stato la centrale delle torture del regime sadamita è divenuto poi la centrale
degli abusi compiuti durante l’occupazione americana. Oggi Abu Grahib è chiuso.
Ma la logica male scaccia male imperversa ancora.
La pena di morte può essere imposta per circa 48 reati,
inclusi reati non di sangue come il danneggiamento di proprietà pubbliche. Ma
la raffica di condanne capitali ed esecuzioni a cui abbiamo assistito nell’Iraq
“liberato” è stata determinata per lo più dal reato di terrorismo introdotto
nel 2005 con una definizione tanto ampia e generica da spiegare i numeri
elevati, seppur sottostimati, che ci troviamo di fronte. Il Governo iracheno
non fornisce dati sulle carceri né dice quanti sono quelli che vi si trovano
con un’accusa di terrorismo. Però secondo alcuni studi sarebbero circa 20.000 i
detenuti per rapporti con l’Isis. Oltre 1000 quelli mandati al patibolo dopo la
“liberazione” dal dittatore Saddam. Sono stime, approssimazioni comunque
sconcertanti. E a preoccupare ancora di più è il fatto che la mancanza di
conoscenza sulla realtà carceraria e sulla pratica della pena di morte si
riflette su quella relativa ai processi, assolutamente carenti sotto il
prof ilo del giusto processo con casi
ben documentati di confessioni estorte con la forza. E allora cerco un senso a
tutto questo.
E lo ritrovo nel “Nessuno tocchi Saddam”, quella
iniziativa nonviolenta che Marco Pannella condusse per scongiurare l’esecuzione
di chi era stato un suo grande avversario politico. Fu lo sciopero della sete
più lungo della sua vita, quasi 8 giorni e rischiò di andare in dialisi.
Pannella mise in gioco la sua vita per quella di Saddam! Quel fatto, quella
lotta incredibile giunse all’orecchio delle opinioni pubbliche mediorientali
che allora compresero il senso dell’appello a una moratoria universale delle
esecuzioni capitali che chiedevamo le Nazioni Unite facessero proprio. Fu anche
così che riuscimmo a porre nel 2007 la pietra miliare nel processo
abolizionista storicamente in atto della Risoluzione dell’Assemblea generale
dell’ONU per la moratoria universale delle esecuzioni capitali.
Ora quell’appello alla moratoria, per il quale tanto
lottammo, è l’unica proposta pragmatica, concreta, umana e civile che si possa
avanzare in contesti come quello iracheno. Le Nazioni Unite, i Governi e le
organizzazioni per i diritti umani se ne fanno forza. Dal 2008 ogni due anni al
Palazzo di Vetro di New York è calendarizzato il voto di un nuovo testo di
Risoluzione pro-moratoria. Proprio pochi giorni fa, nella notte tra martedì e
mercoledì, il Terzo Comitato dell’Assemblea Generale a New York ha votato una
nuova bozza con 120 voti a favore, 39 contrari e 24 astenuti. È un buon
risultato se pensiamo che nel 2007 i voti a favore furono 104.
Ed è facile la previsione che in vista del passaggio
della Risoluzione nella plenaria in dicembre i voti a favore aumentino come
solitamente avviene. Tutto questo dimostra come il processo abolizionista sia
inarrestabile. La pena di morte è ormai un ferro vecchio del passato dove i
colpi di coda come quello trumpiano o iracheno non sono più la regola ma
eccezioni giustizialiste mortifere. Nessuno tocchi Caino concepisce allora una
nuova frontiera di lotta a difesa dell’inviolabilità della dignità umana. Dopo
l’abolizione della pena di morte, noi andiamo verso l’abolizione della pena
fino alla morte e soprattutto della morte per pena.
Elisabetta Zamparutti
Per saperne di piu' : https://www.ilriformista.it/iraq-21-esecuzioni-in-un-giorno-con-accuse-fumose-177010/
PENA DI MORTE: TERZO COMITATO ONU APPROVA A SCHIACCIANTE
MAGGIORANZA PROPOSTA DI RISOLUZIONE PRO-MORATORIA Una schiacciante maggioranza
di stati membri delle Nazioni Unite il 17 novembre 2020 ha approvato la
proposta di risoluzione, sottoposta al Terzo Comitato dell’Assemblea generale,
per una moratoria sull’uso della pena di morte. Il testo è stato presentato da
Messico e Svizzera a nome di una Task force interregionale di stati membri e
co-sponsorizzato da 77 stati.
Hanno votato a favore del testo 120 stati, 39 hanno
espresso voto contrario e 24 si sono astenuti.
Per la prima volta Gibuti, Libano e Corea del Sud hanno
detto sì alla proposta di risoluzione. Repubblica del Congo, Repubblica
Democratica del Congo, Eswatini, Guinea, Nauru, Filippine e Sierra Leone sono
tornati a votare a favore, cosa che non avevano fatto nel 2018, così come lo
Zimbabwe è tornato ad astenersi dopo che nel 2018 aveva votato contro.
Nove stati hanno fatto marcia indietro: Dominica, Libia e
Pakistan hanno mutato il voto favorevole in contrario, Niger e Isole Salomone
sono passati dal sì all’astensione, Antigua e Barbuda, Sud Sudan, Isole Tonga e
Uganda dall’astensione al voto contrario.
Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, Gabon, Palau,
Somalia e Vanuatu, che nel 2018 avevano votato a favore, non hanno preso parte
alla votazione.
Il numero complessivo di voti a favore delle risoluzioni
pro-moratoria è passato da 104 nel 2007 a 121 nel 2018, risultati che
riflettono la tendenza globale registrata nella pratica degli stati. Anche il
numero di paesi classificati come abolizionisti per tutti i reati è cresciuto
da 90 nel 2007 all'attuale 106. Nel 2019 esecuzioni sono state registrate in
una minoranza di Paesi - 20 in totale. Di questi Paesi che praticano
esecuzioni, 13 sono "persistenti", il che significa che hanno praticato
esecuzioni ogni anno nei cinque anni precedenti.
Dall’ultima approvazione, nel 2018, di una risoluzione
sulla moratoria delle esecuzioni, progressi verso l’abolizione sono stati
registrati in tutte le parti del mondo: il Ciad ha cancellato la pena di morte
nel giugno 2020; negli Usa, il New Hampshire e il Colorado sono diventati
rispettivamente il 21° e il 22° stato abolizionista e il governatore della
California (lo stato col più grande braccio della morte) ha dichiarato una
moratoria sulle esecuzioni.
Kazakistan, Federazione Russa, Tagikistan, Malesia h e
Gambia hanno continuato a rispettare la moratoria sulle esecuzioni; Barbados ha
rinunciato all’obbligatorietà della condanna a morte per omicidio; Angola e
Stato di Palestina hanno presentato richiesta di accesso al Secondo protocollo
opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici che ha per
obiettivo l’abolizione della pena di morte, mentre Armenia e Kazakistan l’hanno
sottoscritto.
Dopo la votazione al Terzo Comitato, ci si aspetta che la
sessione plenaria dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite approvi a metà
dicembre l'ottava proposta di risoluzione per una moratoria sull'uso della pena
di morte.
(Fonti: Amnesty, 17/11/2020)
Per saperne di piu' :
USA: ORLANDO HALL GIUSTIZIATO NEL PENITENZIARIO FEDERALE
DI TERRE HAUTE Con circa 6 ore di ritardo rispetto all’orario previsto Orlando
Hall, 49 anni, ispanico, è stato giustiziato nella prigione federale di Terre
Haute, nell’Indiana. È stato dichiarato morto alle 23.47 del 19 novembre,
ovvero alle 4,47 del mattino del 20 novembre in Italia. Era accusato, ed aveva
ammesso, di aver violentato e ucciso, seppellendola viva, nel 1994, assieme a
quattro complici, Lisa Rene, 16 anni.
La ragazza era la sorella di uno spacciatore che doveva a
Hall e ai suoi amici 4.700 dollari per un acquisto di marijuana.
Hall era stato condannato a morte nell’ottobre 1995.
Inizialmente una giudice federale di Washington (Tanya
Chutkan) aveva disposto una sospensione dell’esecuzione sulla questione, già
sollevata in altri casi, che l’amministrazione penitenziaria ottenga i potenti
farmaci letali senza presentare una regolare “ricetta medica”.
Dopo l’immediato ricorso della procura federale, nel giro
di alcune ore la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato la sospensione,
che nelle intenzioni del giudice federale si sarebbe applicata anche alle altre
due esecuzioni federali previste con Trump ancora in carica, quelle di Lisa
Montgomery l’8 dicembre, e di Brandon Bernard il 10 dicembre.
I suoi avvocati hanno insistito fino all’ultimo sul fatto
che sin dall'inizio, Hall avesse ammesso le sue responsabilità, e che durante
il processo avesse cercato di scusarsi con la famiglia della vittima, ma il
tribunale non glielo aveva permesso.
Secondo un'analisi statistica citata dai difensori di
Hall, la pena di morte federale in Texas tra il 1988 e il 2010 è stata
"applicata in modo sproporzionato in base alla razza".
Il Legal Defense and Educational Fund del NAACP (National
Association for the Advancement of Colored People), che ha presentato un amicus
brief per conto di Hall, ha sostenuto che c'erano prove che i pubblici
ministeri nel suo caso avrebbero escluso in modo improprio i candidati neri al
momento di formare la giuria popolare.
Delle 56 persone nel braccio della morte federale, 26 di
loro, o il 46%, sono nere, e 22, o il 39%, sono bianche. I neri costituiscono
solo il 13% della popolazione statunitense.
Hall diventa l'ottava persona giustiziata nel 2020 dal
sistema federale, l'undicesima giustiziata dal governo federale da quando ha
ripreso le esecuzioni nel 2001, la quindicesima persona giustiziata quest'anno
negli Stati Uniti e la n° 1.527 da quando gli Stati Uniti hanno reintrodotto la
pena di morte nel 1976 e ripreso le esecuzioni nel 1977.
(Fonti: The Marshall Project, Reuters, 19/11/2020) Per
saperne di piu' :
YEMEN: 21 CONDANNATI A MORTE DAGLI HOUTHI PER SPIONAGGIO
Un tribunale controllato dai ribelli Houthi dello Yemen il 14 novembre 2020 ha
condannato a morte 21 uomini per presunto spionaggio in favore della coalizione
a guida saudita che sostiene il governo yemenita.
Lo ha riferito la TV al-Masirah, gestita dagli Houthi,
senza identificare i condannati, che sono tutti cittadini yemeniti.
Non ci sono ancora commenti da parte della coalizione o
del governo yemenita.
La sentenza del tribunale di Sanaa, la capitale
controllata dagli Houthi, è l'ultima in una serie di processi a porte chiuse
svolti da tribunali Houthi contro oppositori politici.
Lo Yemen è dilaniato da una guerra civile dalla fine del
2014, quando il gruppo degli Houthi sostenuto dall'Iran ha assunto il controllo
di diverse province settentrionali e ha costretto il governo del presidente
Abd-Rabbuh Mansour Hadi, sostenuto dai sauditi, a lasciare Sanaa.
La coalizione militare guidata dai sauditi è intervenuta
nel conflitto yemenita nel marzo 2015 per sostenere il governo di Hadi.
La guerra ha ucciso nel Paese decine di migliaia di
persone, causato quasi 4 milioni di sfollati e spinto oltre 20 milioni di
persone sull'orlo della carestia.
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