sabato 20 giugno 2020

     NESSUNO   TOCCHI   CAINO      
     no   alla   pena   di    morte       




1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : LA VETRINA E IL RETROBOTTEGA DEL NEGOZIO DELL’#ANTIMAFIA 2.  NEWS FLASH: USA: 'BLACK LIVES MATTER', RAZZISMO O VIOLENZA SISTEMICA DELLA POLIZIA (E DEI PROCURATORI)?
3.  NEWS FLASH: SOMALIA: TRE MEMBRI DI AL-SHABAAB GIUSTIZIATI NEL PUNTLAND 4.  NEWS FLASH: IRAN: CINQUE GIUSTIZIATI A RAJAI SHAHR NELLO STESSO GIORNO 5.  NEWS FLASH: AUSTRALIA: GOVERNO ‘TRISTE E PREOCCUPATO’ PER IL CONNAZIONALE CONDANNATO A MORTE IN CINA 6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


LA VETRINA E IL RETROBOTTEGA DEL NEGOZIO DELL’#ANTIMAFIA Dopo quelle di aprile e maggio, è convocata una terza riunione del Consiglio Direttivo di Nessuno tocchi Caino-Spes contra Spem sabato, 20 giugno 2020, dalle 9:30 alle 21:30 (con una pausa dalle 13:30 alle 15:00), sempre sulla piattaforma Zoom. La riunione sarà trasmessa anche in diretta su Radio Radicale e sui canali social YouTube e Facebook di Nessuno tocchi Caino.

Ricorderemo all'inizio Francesco Di Dio, entrato in carcere a 18 anni e lì morto dopo 30 anni di ergastolo ostativo.

Il negozio dell’antimafia ha la sua vetrina, ma anche un retrobottega. In vetrina è esposto il capo fine e nobile della lotta alla #mafia, mentre nel retrobottega è stipata la mercanzia grossolana comunemente usata nella lotta alla mafia. Non è proprio vero che il fine giustifica i mezzi. Accade invece che i fini più nobili, idee sacrosante siano pregiudicati e distrutti dai mezzi sbagliati usati per conseguirli. Noi siamo impegnati a scongiurare questa tragica eterogenesi dei fini che si rivelano l’opposto rispetto agli scopi originari.

Siamo convinti che sia possibile! Che sia possibile combattere la mafia senza minare i principi dello #StatodiDiritto e i diritti umani fondamentali. Che sia possibile prevenire il crimine senza distruggere il lavoro, la vita delle persone e delle imprese. Che sia possibile evitare l’infiltrazione mafiosa nella vita democratica senza annullare il voto e la partecipazione dei cittadini alla vita democratica. Che sia possibile mettere gli individui pericolosi in condizione di non nuocere senza degradare in atti lesivi della dignità umana, tortura e trattamenti o punizioni inumane o degradanti.

A questo è dedicata la terza riunione del nostro Consiglio Direttivo, su due punti della Mozione generale del Congresso di Opera che non sono stati trattati nelle precedenti due riunioni e che richiamiamo testualmente:
1. Iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e di ricorso alle alte giurisdizioni nazionali e sovranazionali, volte a superare l’armamentario emergenzialista speciale di norme e regimi quali il sistema delle informazioni #interdittive e delle misure di #prevenzione antimafia, e delle procedure di scioglimento dei comuni per mafia.
2. Iniziative volte all’abolizione dell’#isolamento, a partire dal regime di #41-bis e dell’isolamento diurno.
Partiremo, come sempre, dal vissuto delle persone.

Interverranno imprenditori vittime di misure interdittive e di prevenzione antimafia, Sindaci di Comuni sciolti per mafia, ex detenuti entrati al 41 bis da indagati e usciti da innocenti.

Prenderanno la parola gli avvocati difensori e giuristi che hanno studiato la materia. A tal proposito, ricordiamo il seminario del novembre 2019 all’Università di Ferrara in tema di “confische e sanzioni patrimoniali nella dimensione interna ed europea”. E siamo lieti della partecipazione importante al nostro Consiglio Direttivo e dell’interesse manifestato dalle cliniche legali del Dipartimento di Giurisprudenza della stessa Università a fornire supporto in relazione a casi concreti.

Discuteremo idee e proposte già avanzate in passato, ad esempio, quella di una “Marcia del sale” dei proposti, gli intervenienti, i terzi interessati, i dissequestrati, gli indebitati, i prevenuti, gli interdetti, i disciolti (di tale Marcia avremo un piccolo saggio nella riunione del Consiglio direttivo). Come pure l’idea di fare un documentario sulle vittime delle misure di prevenzione da portare a Strasburgo a supporto dei ricorsi incardinati davanti alla Corte Edu.

E poi c’è l’isolamento, sempre più mortifero nel nostro Paese, come ha documentato il Garante Nazionale delle persone private della libertà, coi 21 suicidi al 31 maggio – intanto saliti a 22! - un numero che ha superato quelli, alla stessa data, del 2019 (16) e del 2018 (18). La cella di isolamento è l’essenza del sistema penitenziario, il momento e il luogo in cui un individuo rischia di perdere, con la sua dignità, quel che è universalmente dichiarato diritto sacro: la vita, la libertà e la sicurezza della propria persona. Tant’è che l’isolamento è sempre più all’attenzione delle organizzazioni internazionali: dall’Assemblea generale dell’ONU che ha adottato le sue “Mandela Rules”, al Consiglio d’Europa che ha rivisto le sue “Prison Rules”. Tanto grave è il problema dell’isolamento nel nostro Paese che, un anno fa, per la prima volta, il Comitato Prevenzione Tortura del Consiglio d’Europa ha condotto una missione ad hoc.

Infine, c’è il 41 bis, macabro monumento della lotta alla mafia e quintessenza dell’isolamento. Totem intoccabile e indiscusso fino a oggi, il “carcere duro” ha però visto di recente cadere alcune sue più disumane e insensate prescrizioni, grazie all’opera della Corte Costituzionale che, nell’ultimo anno, prima ha consentito la cottura di cibi in cella e poi la possibilità di condividerli tra detenuti appartenenti allo stesso gruppo di socialità.

Segui questo Consiglio direttivo e dacci la forza per proseguire il nostro impegno volto a combattere la mafia senza minare i principi dello Stato di Diritto, iscrivendoti a Nessuno tocchi Caino e, se lo hai già fatto, aiutandoci a trovare almeno un altro iscritto.

ISCRIZIONE A NESSUNO TOCCHI CAINO (almeno 100 euro)

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

USA: 'BLACK LIVES MATTER', RAZZISMO O VIOLENZA SISTEMICA DELLA POLIZIA (E DEI PROCURATORI)?
Da alcuni anni Nessuno tocchi Caino pubblica il numero annuo di persone uccise dalla polizia. Il dato non è univoco, esiste una fonte “ufficiale”, che sarebbe l’ufficio statistico del FBI, e poi esistono alcuni siti, spesso collegati ad importanti testate giornalistiche, che lavorano sullo stesso argomento. Le loro cifre sono diverse.
Per molti anni le statistiche ufficiali delle persone uccise dalla polizia erano contenute nel rapporto annuale sulla criminalità pubblicato Bureau of Justice Statistics, una struttura all’interno del Federal Bureau of Investigation (FBI).
Il rapporto annuale, denominato “Crime in the United States” (CIUS), sotto la voce "justifiable homicides” (omicidi giustificati) indicava gli omicidi compiuti dagli agenti in servizio, e, a parte, dai privati cittadini per “legittima difesa”. L’opera dei siti indipendenti ha fatto venire alla luce il fatto che mentre il CIUS è fonte affidabile per gli omicidi “normali”, lo era molto meno per gli omicidi compiuti dalla polizia, stimati per molti anni a circa la metà dei dati reali.
I principali siti indipendenti che NtC consulta sono Fatal Encounters, Mapping Police Violence, Fatal Force e Killed by Police. Questi siti raccolgono i dati attraverso una accurata rassegna stampa anche di testate minori e locali. Fatal Force è forse il sito più “prestigioso”, visto che appartiene al Washington Post. Probabilmente però il sito più accurato, che fornisce dettagli che permettono di verificare ogni singola morte riportata, è Fatal Encounters. Fatal Encounters ha un database di oltre 28.200 vittime della polizia dal 1° gennaio 2000 ad oggi. Viene aggiornato una volta a settimana dal suo fondatore e direttore, il giornalista D. Brian Burghart. Burghart così descrive la “mission” del sito: “Credo che in una democrazia, i cittadini dovrebbero essere in grado di sapere quante persone vengono uccise dall’interazione con la polizia, perché, e se modificare l’addestramento o le linee guida della polizia possa essere un modo per diminuire il numero di ucci  sioni in cui è coinvolta la polizia”.
Secondo FE, le persone morte “nel corso di una interazione con la polizia” nel 2019 sono state 1.798, e quest’anno, con i dati aggiornati all’11 giugno, 928. Dividendo i casi secondo le cause della morte, nel 2019 1.346 persone sono state uccise “per arma da fuoco”, 31 “per taser”, 361 per “veicolo” (intendendo morte avvenuta nel corso di un inseguimento in auto), 8 per asfissia/strangolamento, e 52 per “altre cause”.
Nel 2020: 670 per arma da fuoco, 14 per uso del Taser, 212 “veicolo”, 6 per “asfissia” e 26 per altre cause.
Divise per sesso le vittime del 2019: 1.606 maschi, 176 femmine, 1 transgender, e 15 non specificati (perché il nome non è stato reso noto dalla polizia).
Del 2020: 828 maschi, 88 femmine, 1 transgender, 8 non specificati (perché il nome non è stato reso noto dalla polizia).
Divise per razza, le vittime del 2019: 628 “bianchi euro/americani”, 424 “neri afro/americani”, 233 “ispanici/latini”, 455 di “razza non specificata”, 16 “nativi americani o alaskani”, 4 “mediorientali”, 38 “asiatici o delle isole del Pacifico”.
Del 2020: 292 “bianchi euro/americani”, 184 “neri afro/americani”, 88 “ispanici/latini”, 349 di “razza non specificata”, 5 “nativi americani o alaskani”, 2 “mediorientali”, 8 “asiatici o delle isole del Pacifico”.
Divise per età, nel 2019, di 116 vittime non si conosce l’età, 14 avevano meno di 12 anni, 49 tra i 13 e i 17 anni, 140 tra i 18 e i 21, 421 tra i 22 e i 30, 754 tra i 31 e i 50, 262 tra i 51 e i 70, 40 tra i 71 e i 91. Le 2 vittime più giovani avevano 1 anno, le 2 più anziane 91.
Nel 2020, di 98 vittime non si conosce l’età, 6 avevano meno di 12 anni, 26 tra i 13 e i 17 anni, 69 tra i 18 e i 21, 206 tra i 22 e i 30, 382 tra i 31 e i 50, 126 tra i 51 e i 70, 15 tra i 71 e gli 89. La vittima più giovane aveva 1 anno, la più anziana 89.
Secondo Fatal Encounters, dal 2013 la polizia uccide ogni anno una media di 1.730 persone. Alcuni casi clamorosi nel corso degli anni hanno originato proteste, anche molto estese, che hanno avuto attenzione dai media di tutto il mondo, ma, stando alle cifre, non hanno generato nessun cambiamento nella linea di condotta della polizia, e dei procuratori distrettuali, che solo in rarissime occasioni avviano un’azione giudiziaria contro gli agenti coinvolti. Occorre infatti ricordare che negli Stati Uniti tutti i comandanti di polizia sono eletti dal popolo, così come lo sono i rappresentanti della pubblica accusa. Se la polizia uccide così tanto, e se i procuratori non perseguono gli agenti, se ne deve dedurre che questo comportamento è considerato “opportuno” dagli elettori statunitensi.
Uno studio del 2015 condotto congiuntamente dal Washington Post e dalla Bowling Green State University aveva calcolato che negli ultimi 10 anni solo 54 agenti di polizia erano stati formalmente accusati di omicidio. Dei 54 poliziotti, 23 erano poi stati assolti, 12 condannati, e per 19 il procedimento era ancora aperto. Nei casi di condanna, la pena media era stata 4 anni. Philip M. Stinson, un criminologo della Bowling Green State University in Ohio ha aggiornato quello studio, ed ha rintracciato solo 110 agenti “non federali” accusati di omicidio o omicidio colposo dal 2005 ad oggi. Dei 110, 42 sono stati condannati, spesso per un reato minore, 50 sono stati assolti o “licenziati”, mente i restanti casi sono ancora aperti.
Dati aggiornati sono forniti anche da mappingpoliceviolence.org: per il 99% dei casi nei confronti degli agenti non viene avviata un’azione giudiziaria, e nel restante 1% dei casi, solo un processo su 4 è terminato con una condanna. Ossia, il 99,75% degli omicidi compiuti da agenti non viene sanzionato penalmente.
Mappingpoliceviolence ricava i suoi dati confrontando FatalEncounters.org, U.S. Police Shootings Database (che però non ha dati recenti) e KilledbyPolice.net (che per il 2019 conta 1.004 uccisioni). Mapping per il 2019 conta un totale di 1.098 persone uccise dalla polizia. Mapping valuta che il 24% delle vittime sia “nero”, nonostante i neri costituiscano solo il 13% della popolazione Usa. Mapping, confrontando le vittime della polizia con la popolazione complessiva, calcola che il tasso di omicidi che colpisce i neri è del 6,6 per milione di abitanti, gli ispanici del 3,8, e i bianchi del 2,5.
Mapping ricorda che in teoria una recente legge, Death in Custody Reporting Act, imporrebbe alla polizia, o meglio, alle oltre 18.000 polizie locali degli Usa, di rendere disponibili i dati sulle persone morte “mentre sotto la custodia della polizia”. In realtà, dice Mapping, “le forze dell'ordine in tutto il paese non sono riuscite a fornirci nemmeno le informazioni di base. Non è chiaro se i dipartimenti di polizia si conformeranno effettivamente a questo obbligo e, anche se decidono di riportare queste informazioni, potrebbero passare diversi anni prima che i dati siano completamente raccolti, compilati e resi pubblici”.
Dal 2013 al 2019 secondo FE la polizia ha ucciso 12.110 persone. Nello stesso arco di tempo gli Stati Uniti hanno compiuto 192 esecuzioni.
Questo significa che la polizia, prima ancora di un processo, ha ucciso 63 volte più persone di quante ne siano state messe a morte a seguito di una procedura giudiziaria. Questo è un ulteriore paradosso del costosissimo sistema della “pena capitale” negli Usa: una volta arrestato, un imputato, se rischia una condanna a morte, ha diritto ad un surplus di garanzie rispetto ad un imputato normale. Questo surplus di garanzie fa sì che portare un imputato dall’arresto all’esecuzione costi 3 volte di più che non mantenerlo tutta la vita in carcere con una condanna all’ergastolo senza condizionale. Come se non bastasse, questo surplus di garanzie, tutte confermate più volte dalla Corte Suprema, è inutile se poi si lascia carta bianca alla polizia che uccide migliaia di persone solo “sospettate” di un reato, spesso nemmeno di un reato grave.
In queste settimane, dopo il video che mostrava l’uccisione di George Floyd, seguita nei giorni successivi da altri video altrettanto espliciti contro altri uomini di colore, in tutto il mondo si è manifestato all’insegna dello slogan “Black Lives Matter”. Il movimento Black Lives Matter fu fondato nel luglio 2013, dopo l’assoluzione dell’uomo (non un agente) che, nel 2012, aveva ucciso Trayvon Martin, un diciassettenne afroamericano estraneo a qualsiasi comportamento violento. Il tema del razzismo della polizia è certamente importante, ma non basta da solo a spiegare tutto. Come abbiamo detto in precedenza, Fatal Encounters elenca 28.200 vittime della polizia dal 1° gennaio 2000 ad oggi. Queste vittime sono 13.337 bianche, 7.612 nere, 4.556 ispaniche, e altre circa 2.500 di altre minoranze o non specificate. Se le vittime bianche sono, come numeri assoluti, quasi il doppio di quelle nere, non ci si può limitare a dire che la polizia sia “razzista”. Il vero proble  ma sembra essere che la polizia spara a tutti, lo fa da molti anni, e da molti anni i capi della polizia vengono rieletti, e vengono rieletti i procuratori che non fanno nulla per modificare questo trend.
Un esaustivo articolo del Washington Post dell’8 giugno (https://www.washingtonpost.com/investigations/protests-spread-over-police-shootings-police-promised-reforms-every-year-they-still-shoot-nearly-1000-people/2020/06/08/5c204f0c-a67c-11ea-b473-04905b1af82b_story.html) tocca tutti i punti di cui sopra, e aggiunge una propria analisi: gli scandali sull’uso eccessivo della forza negli anni passati hanno portato ad una diminuzione dei morti per “interazione con la polizia” nelle grandi città, ma ad un aumento nelle aree rurali, con il risultato che, nel complesso, i morti non calano. Secondo WP, è evidente che nelle aree metropolitane il processo di selezione, anche politica, dei capi della polizia è più strutturato, mentre nelle aree isolate e rurali le cose cambiano più lentamente.
Il Washington Post, notoriamente una testata “liberal”, è attento nel ricordare ai suoi lettori che negli Stati Uniti vengono compiuti ogni anno in media tra i 14.000 e i 15.000 omicidi “volontari”, e che quasi 40.000 persone l’anno muoiono a causa delle armi da fuoco. Rapportati a questi numeri le morti causate dalla polizia, scrive WP, “sono una piccola percentuale”.
“Statista”, una importante testata USA, nel settembre 2019 ha pubblicato i propri dati sugli omicidi avvenuti negli Usa nel 2018. Statista ha contato 14.123 omicidi di primo o secondo grado, escludendo quindi i preterintenzionali e i colposi (https://www.statista.com/statistics/251877/murder-victims-in-the-us-by-race-ethnicity-and-gender/).
(Fonti: Nessuno tocchi Caino, 14/06/2020) Per saperne di piu' :

SOMALIA: TRE MEMBRI DI AL-SHABAAB GIUSTIZIATI NEL PUNTLAND Tre uomini sono stati di recente giustiziati in pubblico nel Puntland, regione autonoma della Somalia, dopo essere stati condannati a morte dall’Alta Corte di Bossaso, secondo quanto riferito da Radio Dalsan il 14 giugno 2020.
I tre avevano trascorso un periodo in una prigione di Bossaso, dopo essere stati catturati nel corso di combattimenti nella regione di Bari, mentre combattevano contro le forze armate del Puntland.
Erano stati accusati di essere membri della rete terroristica di Al-Shabaab.
I tre giustiziati sono stati identificati dall'Alta Corte del Puntland come Bishar Mohamed Hassan, Abdihakim Mohamed Farah e Mohamed Hassan Bare.
Le autorità del Puntland sono attualmente impegnate sul proprio territorio in un conflitto contro Al-Shabaab e ISIS.


IRAN: CINQUE GIUSTIZIATI A RAJAI SHAHR NELLO STESSO GIORNO Cinque uomini sono stati impiccati il 10 giugno 2020 nella prigione di Rajai Shahr, in Iran.
La notizia è stata riportata da Iran Human Rights, che cita come fonte primaria il quotidiano iraniano “Hamshahri”.
Tutti e cinque erano accusati di omicidio. Mentre Hamshahri non identifica i giustiziati, IHR, da fonti proprie, ha identificato Hamidreza Vafaei e Reza Nowzari.
Al momento nulla si sa degli altri tre.
La prigione di Rajai Shahr, un tempo più nota come Gohardasht, si trova a Karaj, a 20 chilometri da Teheran. In questa prigione sono state compiute il 24% delle esecuzioni iraniane degli ultimi 5 anni. Solo nel 2020, sono 34 su un totale di 108.


AUSTRALIA: GOVERNO ‘TRISTE E PREOCCUPATO’ PER IL CONNAZIONALE CONDANNATO A MORTE IN CINA Il primo ministro australiano ha dichiarato il 16 giugno 2020 che il suo governo è "molto triste e preoccupato" per la condanna a morte in Cina di un cittadino australiano per traffico di droga, e di aver ripetutamente sollevato con Pechino il caso del 56enne ex attore e speaker motivazionale.
Karm Gilespie fu arrestato nel 2013 all'aeroporto Baiyun nella città cinese meridionale di Guangzhou con l'accusa di aver tentato di imbarcarsi su un volo internazionale con oltre 7,5 kg di metanfetamina nel suo bagaglio.
Il Tribunale Intermedio del Popolo di Guangzhou ha annunciato il 14 giugno che Gilespie è stato condannato a morte e di aver ordinato la confisca di tutti i suoi beni personali.
Il primo ministro Scott Morrison ha dichiarato che il ministro degli Esteri Marise Payne e altri funzionari australiani hanno sollevato il suo caso con le controparti cinesi in diverse occasioni.
"Io e il governo siamo molto tristi e preoccupati poiché un cittadino australiano, Karm Gilespie, è stato condannato a morte in Cina", ha detto Morrison al Parlamento.
“Continueremo a fornire assistenza consolare a Gilespie e ad impegnare la Cina sul suo caso. I nostri pensieri sono con lui, la sua famiglia e i suoi cari", ha aggiunto.
Questa condanna a morte giunge in un periodo in cui le relazioni bilaterali sono sottoposte a una straordinaria tensione per la richiesta dell'Australia di un'indagine indipendente sulla pandemia di coronavirus, iniziata in Cina alla fine dell'anno scorso.
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha dichiarato il 15 giugno che la sentenza non è correlata a tali tensioni.
"L'applicazione della pena di morte ai reati di droga che causano danni estremamente gravi può aiutare a scoraggiare e prevenire i reati di droga", ha detto Zhao.
L'Australia dovrebbe "rispettare seriamente la sovranità giudiziaria cinese. E il caso sopra menzionato non ha nulla a che fare con le relazioni bilaterali ", ha concluso.

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