no alla pena di morte
1. LA STORIA DELLA
SETTIMANA : LA VETRINA E IL RETROBOTTEGA DEL NEGOZIO DELL’#ANTIMAFIA 2. NEWS FLASH: USA: 'BLACK LIVES MATTER',
RAZZISMO O VIOLENZA SISTEMICA DELLA POLIZIA (E DEI PROCURATORI)?
3. NEWS FLASH:
SOMALIA: TRE MEMBRI DI AL-SHABAAB GIUSTIZIATI NEL PUNTLAND 4. NEWS FLASH: IRAN: CINQUE GIUSTIZIATI A RAJAI
SHAHR NELLO STESSO GIORNO 5. NEWS FLASH:
AUSTRALIA: GOVERNO ‘TRISTE E PREOCCUPATO’ PER IL CONNAZIONALE CONDANNATO A
MORTE IN CINA 6. I SUGGERIMENTI DELLA
SETTIMANA :
LA VETRINA E IL RETROBOTTEGA DEL NEGOZIO DELL’#ANTIMAFIA
Dopo quelle di aprile e maggio, è convocata una terza riunione del Consiglio
Direttivo di Nessuno tocchi Caino-Spes contra Spem sabato, 20 giugno 2020,
dalle 9:30 alle 21:30 (con una pausa dalle 13:30 alle 15:00), sempre sulla
piattaforma Zoom. La riunione sarà trasmessa anche in diretta su Radio Radicale
e sui canali social YouTube e Facebook di Nessuno tocchi Caino.
Ricorderemo all'inizio Francesco Di Dio, entrato in
carcere a 18 anni e lì morto dopo 30 anni di ergastolo ostativo.
Il negozio dell’antimafia ha la sua vetrina, ma anche un
retrobottega. In vetrina è esposto il capo fine e nobile della lotta alla
#mafia, mentre nel retrobottega è stipata la mercanzia grossolana comunemente
usata nella lotta alla mafia. Non è proprio vero che il fine giustifica i
mezzi. Accade invece che i fini più nobili, idee sacrosante siano pregiudicati
e distrutti dai mezzi sbagliati usati per conseguirli. Noi siamo impegnati a
scongiurare questa tragica eterogenesi dei fini che si rivelano l’opposto
rispetto agli scopi originari.
Siamo convinti che sia possibile! Che sia possibile
combattere la mafia senza minare i principi dello #StatodiDiritto e i diritti
umani fondamentali. Che sia possibile prevenire il crimine senza distruggere il
lavoro, la vita delle persone e delle imprese. Che sia possibile evitare
l’infiltrazione mafiosa nella vita democratica senza annullare il voto e la
partecipazione dei cittadini alla vita democratica. Che sia possibile mettere
gli individui pericolosi in condizione di non nuocere senza degradare in atti
lesivi della dignità umana, tortura e trattamenti o punizioni inumane o
degradanti.
A questo è dedicata la terza riunione del nostro
Consiglio Direttivo, su due punti della Mozione generale del Congresso di Opera
che non sono stati trattati nelle precedenti due riunioni e che richiamiamo
testualmente:
1. Iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica
e di ricorso alle alte giurisdizioni nazionali e sovranazionali, volte a
superare l’armamentario emergenzialista speciale di norme e regimi quali il
sistema delle informazioni #interdittive e delle misure di #prevenzione
antimafia, e delle procedure di scioglimento dei comuni per mafia.
2. Iniziative volte all’abolizione dell’#isolamento, a
partire dal regime di #41-bis e dell’isolamento diurno.
Partiremo, come sempre, dal vissuto delle persone.
Interverranno imprenditori vittime di misure interdittive
e di prevenzione antimafia, Sindaci di Comuni sciolti per mafia, ex detenuti
entrati al 41 bis da indagati e usciti da innocenti.
Prenderanno la parola gli avvocati difensori e giuristi
che hanno studiato la materia. A tal proposito, ricordiamo il seminario del
novembre 2019 all’Università di Ferrara in tema di “confische e sanzioni
patrimoniali nella dimensione interna ed europea”. E siamo lieti della
partecipazione importante al nostro Consiglio Direttivo e dell’interesse
manifestato dalle cliniche legali del Dipartimento di Giurisprudenza della
stessa Università a fornire supporto in relazione a casi concreti.
Discuteremo idee e proposte già avanzate in passato, ad
esempio, quella di una “Marcia del sale” dei proposti, gli intervenienti, i
terzi interessati, i dissequestrati, gli indebitati, i prevenuti, gli
interdetti, i disciolti (di tale Marcia avremo un piccolo saggio nella riunione
del Consiglio direttivo). Come pure l’idea di fare un documentario sulle
vittime delle misure di prevenzione da portare a Strasburgo a supporto dei
ricorsi incardinati davanti alla Corte Edu.
E poi c’è l’isolamento, sempre più mortifero nel nostro
Paese, come ha documentato il Garante Nazionale delle persone private della
libertà, coi 21 suicidi al 31 maggio – intanto saliti a 22! - un numero che ha
superato quelli, alla stessa data, del 2019 (16) e del 2018 (18). La cella di
isolamento è l’essenza del sistema penitenziario, il momento e il luogo in cui
un individuo rischia di perdere, con la sua dignità, quel che è universalmente
dichiarato diritto sacro: la vita, la libertà e la sicurezza della propria
persona. Tant’è che l’isolamento è sempre più all’attenzione delle
organizzazioni internazionali: dall’Assemblea generale dell’ONU che ha adottato
le sue “Mandela Rules”, al Consiglio d’Europa che ha rivisto le sue “Prison
Rules”. Tanto grave è il problema dell’isolamento nel nostro Paese che, un anno
fa, per la prima volta, il Comitato Prevenzione Tortura del Consiglio d’Europa
ha condotto una missione ad hoc.
Infine, c’è il 41 bis, macabro monumento della lotta alla
mafia e quintessenza dell’isolamento. Totem intoccabile e indiscusso fino a
oggi, il “carcere duro” ha però visto di recente cadere alcune sue più disumane
e insensate prescrizioni, grazie all’opera della Corte Costituzionale che,
nell’ultimo anno, prima ha consentito la cottura di cibi in cella e poi la
possibilità di condividerli tra detenuti appartenenti allo stesso gruppo di
socialità.
Segui questo Consiglio direttivo e dacci la forza per
proseguire il nostro impegno volto a combattere la mafia senza minare i
principi dello Stato di Diritto, iscrivendoti a Nessuno tocchi Caino e, se lo
hai già fatto, aiutandoci a trovare almeno un altro iscritto.
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lucrative, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni
riconosciute che operano nei settori di cui all’art. 10 c. 1, lett d, del D.
Lgs. N. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale”
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
USA: 'BLACK LIVES MATTER', RAZZISMO O VIOLENZA SISTEMICA
DELLA POLIZIA (E DEI PROCURATORI)?
Da alcuni anni Nessuno tocchi Caino pubblica il numero
annuo di persone uccise dalla polizia. Il dato non è univoco, esiste una fonte
“ufficiale”, che sarebbe l’ufficio statistico del FBI, e poi esistono alcuni
siti, spesso collegati ad importanti testate giornalistiche, che lavorano sullo
stesso argomento. Le loro cifre sono diverse.
Per molti anni le statistiche ufficiali delle persone
uccise dalla polizia erano contenute nel rapporto annuale sulla criminalità
pubblicato Bureau of Justice Statistics, una struttura all’interno del Federal
Bureau of Investigation (FBI).
Il rapporto annuale, denominato “Crime in the United
States” (CIUS), sotto la voce "justifiable homicides” (omicidi
giustificati) indicava gli omicidi compiuti dagli agenti in servizio, e, a
parte, dai privati cittadini per “legittima difesa”. L’opera dei siti
indipendenti ha fatto venire alla luce il fatto che mentre il CIUS è fonte
affidabile per gli omicidi “normali”, lo era molto meno per gli omicidi
compiuti dalla polizia, stimati per molti anni a circa la metà dei dati reali.
I principali siti indipendenti che NtC consulta sono
Fatal Encounters, Mapping Police Violence, Fatal Force e Killed by Police.
Questi siti raccolgono i dati attraverso una accurata rassegna stampa anche di
testate minori e locali. Fatal Force è forse il sito più “prestigioso”, visto
che appartiene al Washington Post. Probabilmente però il sito più accurato, che
fornisce dettagli che permettono di verificare ogni singola morte riportata, è
Fatal Encounters. Fatal Encounters ha un database di oltre 28.200 vittime della
polizia dal 1° gennaio 2000 ad oggi. Viene aggiornato una volta a settimana dal
suo fondatore e direttore, il giornalista D. Brian Burghart. Burghart così
descrive la “mission” del sito: “Credo che in una democrazia, i cittadini
dovrebbero essere in grado di sapere quante persone vengono uccise
dall’interazione con la polizia, perché, e se modificare l’addestramento o le
linee guida della polizia possa essere un modo per diminuire il numero di
ucci sioni in cui è coinvolta la
polizia”.
Secondo FE, le persone morte “nel corso di una
interazione con la polizia” nel 2019 sono state 1.798, e quest’anno, con i dati
aggiornati all’11 giugno, 928. Dividendo i casi secondo le cause della morte,
nel 2019 1.346 persone sono state uccise “per arma da fuoco”, 31 “per taser”,
361 per “veicolo” (intendendo morte avvenuta nel corso di un inseguimento in
auto), 8 per asfissia/strangolamento, e 52 per “altre cause”.
Nel 2020: 670 per arma da fuoco, 14 per uso del Taser,
212 “veicolo”, 6 per “asfissia” e 26 per altre cause.
Divise per sesso le vittime del 2019: 1.606 maschi, 176
femmine, 1 transgender, e 15 non specificati (perché il nome non è stato reso
noto dalla polizia).
Del 2020: 828 maschi, 88 femmine, 1 transgender, 8 non
specificati (perché il nome non è stato reso noto dalla polizia).
Divise per razza, le vittime del 2019: 628 “bianchi
euro/americani”, 424 “neri afro/americani”, 233 “ispanici/latini”, 455 di “razza
non specificata”, 16 “nativi americani o alaskani”, 4 “mediorientali”, 38
“asiatici o delle isole del Pacifico”.
Del 2020: 292 “bianchi euro/americani”, 184 “neri
afro/americani”, 88 “ispanici/latini”, 349 di “razza non specificata”, 5
“nativi americani o alaskani”, 2 “mediorientali”, 8 “asiatici o delle isole del
Pacifico”.
Divise per età, nel 2019, di 116 vittime non si conosce
l’età, 14 avevano meno di 12 anni, 49 tra i 13 e i 17 anni, 140 tra i 18 e i
21, 421 tra i 22 e i 30, 754 tra i 31 e i 50, 262 tra i 51 e i 70, 40 tra i 71
e i 91. Le 2 vittime più giovani avevano 1 anno, le 2 più anziane 91.
Nel 2020, di 98 vittime non si conosce l’età, 6 avevano
meno di 12 anni, 26 tra i 13 e i 17 anni, 69 tra i 18 e i 21, 206 tra i 22 e i
30, 382 tra i 31 e i 50, 126 tra i 51 e i 70, 15 tra i 71 e gli 89. La vittima
più giovane aveva 1 anno, la più anziana 89.
Secondo Fatal Encounters, dal 2013 la polizia uccide ogni
anno una media di 1.730 persone. Alcuni casi clamorosi nel corso degli anni
hanno originato proteste, anche molto estese, che hanno avuto attenzione dai
media di tutto il mondo, ma, stando alle cifre, non hanno generato nessun
cambiamento nella linea di condotta della polizia, e dei procuratori
distrettuali, che solo in rarissime occasioni avviano un’azione giudiziaria
contro gli agenti coinvolti. Occorre infatti ricordare che negli Stati Uniti
tutti i comandanti di polizia sono eletti dal popolo, così come lo sono i
rappresentanti della pubblica accusa. Se la polizia uccide così tanto, e se i procuratori
non perseguono gli agenti, se ne deve dedurre che questo comportamento è
considerato “opportuno” dagli elettori statunitensi.
Uno studio del 2015 condotto congiuntamente dal
Washington Post e dalla Bowling Green State University aveva calcolato che
negli ultimi 10 anni solo 54 agenti di polizia erano stati formalmente accusati
di omicidio. Dei 54 poliziotti, 23 erano poi stati assolti, 12 condannati, e
per 19 il procedimento era ancora aperto. Nei casi di condanna, la pena media
era stata 4 anni. Philip M. Stinson, un criminologo della Bowling Green State
University in Ohio ha aggiornato quello studio, ed ha rintracciato solo 110
agenti “non federali” accusati di omicidio o omicidio colposo dal 2005 ad oggi.
Dei 110, 42 sono stati condannati, spesso per un reato minore, 50 sono stati
assolti o “licenziati”, mente i restanti casi sono ancora aperti.
Dati aggiornati sono forniti anche da
mappingpoliceviolence.org: per il 99% dei casi nei confronti degli agenti non
viene avviata un’azione giudiziaria, e nel restante 1% dei casi, solo un
processo su 4 è terminato con una condanna. Ossia, il 99,75% degli omicidi
compiuti da agenti non viene sanzionato penalmente.
Mappingpoliceviolence ricava i suoi dati confrontando
FatalEncounters.org, U.S. Police Shootings Database (che però non ha dati
recenti) e KilledbyPolice.net (che per il 2019 conta 1.004 uccisioni). Mapping
per il 2019 conta un totale di 1.098 persone uccise dalla polizia. Mapping
valuta che il 24% delle vittime sia “nero”, nonostante i neri costituiscano
solo il 13% della popolazione Usa. Mapping, confrontando le vittime della
polizia con la popolazione complessiva, calcola che il tasso di omicidi che
colpisce i neri è del 6,6 per milione di abitanti, gli ispanici del 3,8, e i
bianchi del 2,5.
Mapping ricorda che in teoria una recente legge, Death in
Custody Reporting Act, imporrebbe alla polizia, o meglio, alle oltre 18.000
polizie locali degli Usa, di rendere disponibili i dati sulle persone morte
“mentre sotto la custodia della polizia”. In realtà, dice Mapping, “le forze
dell'ordine in tutto il paese non sono riuscite a fornirci nemmeno le
informazioni di base. Non è chiaro se i dipartimenti di polizia si
conformeranno effettivamente a questo obbligo e, anche se decidono di riportare
queste informazioni, potrebbero passare diversi anni prima che i dati siano
completamente raccolti, compilati e resi pubblici”.
Dal 2013 al 2019 secondo FE la polizia ha ucciso 12.110
persone. Nello stesso arco di tempo gli Stati Uniti hanno compiuto 192
esecuzioni.
Questo significa che la polizia, prima ancora di un
processo, ha ucciso 63 volte più persone di quante ne siano state messe a morte
a seguito di una procedura giudiziaria. Questo è un ulteriore paradosso del
costosissimo sistema della “pena capitale” negli Usa: una volta arrestato, un
imputato, se rischia una condanna a morte, ha diritto ad un surplus di garanzie
rispetto ad un imputato normale. Questo surplus di garanzie fa sì che portare
un imputato dall’arresto all’esecuzione costi 3 volte di più che non mantenerlo
tutta la vita in carcere con una condanna all’ergastolo senza condizionale.
Come se non bastasse, questo surplus di garanzie, tutte confermate più volte
dalla Corte Suprema, è inutile se poi si lascia carta bianca alla polizia che
uccide migliaia di persone solo “sospettate” di un reato, spesso nemmeno di un
reato grave.
In queste settimane, dopo il video che mostrava
l’uccisione di George Floyd, seguita nei giorni successivi da altri video
altrettanto espliciti contro altri uomini di colore, in tutto il mondo si è
manifestato all’insegna dello slogan “Black Lives Matter”. Il movimento Black
Lives Matter fu fondato nel luglio 2013, dopo l’assoluzione dell’uomo (non un
agente) che, nel 2012, aveva ucciso Trayvon Martin, un diciassettenne afroamericano
estraneo a qualsiasi comportamento violento. Il tema del razzismo della polizia
è certamente importante, ma non basta da solo a spiegare tutto. Come abbiamo
detto in precedenza, Fatal Encounters elenca 28.200 vittime della polizia dal
1° gennaio 2000 ad oggi. Queste vittime sono 13.337 bianche, 7.612 nere, 4.556
ispaniche, e altre circa 2.500 di altre minoranze o non specificate. Se le
vittime bianche sono, come numeri assoluti, quasi il doppio di quelle nere, non
ci si può limitare a dire che la polizia sia “razzista”. Il vero proble ma sembra essere che la polizia spara a
tutti, lo fa da molti anni, e da molti anni i capi della polizia vengono
rieletti, e vengono rieletti i procuratori che non fanno nulla per modificare
questo trend.
Un esaustivo articolo del Washington Post dell’8 giugno (https://www.washingtonpost.com/investigations/protests-spread-over-police-shootings-police-promised-reforms-every-year-they-still-shoot-nearly-1000-people/2020/06/08/5c204f0c-a67c-11ea-b473-04905b1af82b_story.html)
tocca tutti i punti di cui sopra, e aggiunge una propria analisi: gli scandali
sull’uso eccessivo della forza negli anni passati hanno portato ad una
diminuzione dei morti per “interazione con la polizia” nelle grandi città, ma
ad un aumento nelle aree rurali, con il risultato che, nel complesso, i morti
non calano. Secondo WP, è evidente che nelle aree metropolitane il processo di
selezione, anche politica, dei capi della polizia è più strutturato, mentre
nelle aree isolate e rurali le cose cambiano più lentamente.
Il Washington Post, notoriamente una testata “liberal”, è
attento nel ricordare ai suoi lettori che negli Stati Uniti vengono compiuti
ogni anno in media tra i 14.000 e i 15.000 omicidi “volontari”, e che quasi
40.000 persone l’anno muoiono a causa delle armi da fuoco. Rapportati a questi
numeri le morti causate dalla polizia, scrive WP, “sono una piccola
percentuale”.
“Statista”, una importante testata USA, nel settembre
2019 ha pubblicato i propri dati sugli omicidi avvenuti negli Usa nel 2018. Statista
ha contato 14.123 omicidi di primo o secondo grado, escludendo quindi i
preterintenzionali e i colposi (https://www.statista.com/statistics/251877/murder-victims-in-the-us-by-race-ethnicity-and-gender/).
(Fonti: Nessuno tocchi Caino, 14/06/2020) Per saperne di
piu' :
SOMALIA: TRE MEMBRI DI AL-SHABAAB GIUSTIZIATI NEL
PUNTLAND Tre uomini sono stati di recente giustiziati in pubblico nel Puntland,
regione autonoma della Somalia, dopo essere stati condannati a morte dall’Alta
Corte di Bossaso, secondo quanto riferito da Radio Dalsan il 14 giugno 2020.
I tre avevano trascorso un periodo in una prigione di
Bossaso, dopo essere stati catturati nel corso di combattimenti nella regione
di Bari, mentre combattevano contro le forze armate del Puntland.
Erano stati accusati di essere membri della rete
terroristica di Al-Shabaab.
I tre giustiziati sono stati identificati dall'Alta Corte
del Puntland come Bishar Mohamed Hassan, Abdihakim Mohamed Farah e Mohamed
Hassan Bare.
Le autorità del Puntland sono attualmente impegnate sul
proprio territorio in un conflitto contro Al-Shabaab e ISIS.
IRAN: CINQUE GIUSTIZIATI A RAJAI SHAHR NELLO STESSO
GIORNO Cinque uomini sono stati impiccati il 10 giugno 2020 nella prigione di
Rajai Shahr, in Iran.
La notizia è stata riportata da Iran Human Rights, che
cita come fonte primaria il quotidiano iraniano “Hamshahri”.
Tutti e cinque erano accusati di omicidio. Mentre
Hamshahri non identifica i giustiziati, IHR, da fonti proprie, ha identificato
Hamidreza Vafaei e Reza Nowzari.
Al momento nulla si sa degli altri tre.
La prigione di Rajai Shahr, un tempo più nota come Gohardasht,
si trova a Karaj, a 20 chilometri da Teheran. In questa prigione sono state
compiute il 24% delle esecuzioni iraniane degli ultimi 5 anni. Solo nel 2020,
sono 34 su un totale di 108.
AUSTRALIA: GOVERNO ‘TRISTE E PREOCCUPATO’ PER IL
CONNAZIONALE CONDANNATO A MORTE IN CINA Il primo ministro australiano ha
dichiarato il 16 giugno 2020 che il suo governo è "molto triste e
preoccupato" per la condanna a morte in Cina di un cittadino australiano
per traffico di droga, e di aver ripetutamente sollevato con Pechino il caso
del 56enne ex attore e speaker motivazionale.
Karm Gilespie fu arrestato nel 2013 all'aeroporto Baiyun
nella città cinese meridionale di Guangzhou con l'accusa di aver tentato di
imbarcarsi su un volo internazionale con oltre 7,5 kg di metanfetamina nel suo
bagaglio.
Il Tribunale Intermedio del Popolo di Guangzhou ha
annunciato il 14 giugno che Gilespie è stato condannato a morte e di aver
ordinato la confisca di tutti i suoi beni personali.
Il primo ministro Scott Morrison ha dichiarato che il
ministro degli Esteri Marise Payne e altri funzionari australiani hanno
sollevato il suo caso con le controparti cinesi in diverse occasioni.
"Io e il governo siamo molto tristi e preoccupati
poiché un cittadino australiano, Karm Gilespie, è stato condannato a morte in
Cina", ha detto Morrison al Parlamento.
“Continueremo a fornire assistenza consolare a Gilespie e
ad impegnare la Cina sul suo caso. I nostri pensieri sono con lui, la sua
famiglia e i suoi cari", ha aggiunto.
Questa condanna a morte giunge in un periodo in cui le
relazioni bilaterali sono sottoposte a una straordinaria tensione per la
richiesta dell'Australia di un'indagine indipendente sulla pandemia di
coronavirus, iniziata in Cina alla fine dell'anno scorso.
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao
Lijian ha dichiarato il 15 giugno che la sentenza non è correlata a tali
tensioni.
"L'applicazione della pena di morte ai reati di
droga che causano danni estremamente gravi può aiutare a scoraggiare e
prevenire i reati di droga", ha detto Zhao.
L'Australia dovrebbe "rispettare seriamente la
sovranità giudiziaria cinese. E il caso sopra menzionato non ha nulla a che
fare con le relazioni bilaterali ", ha concluso.
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