martedì 30 giugno 2020

     NESSUNO   TOCCHI    CAINO          
      no   alla   pena   di   morte       



1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : IRAN: CORTE SUPREMA CONFERMA TRE CONDANNE A MORTE PER LE ‘PROTESTE DI NOVEMBRE’
2.  NEWS FLASH: TUNISI: SEMINARIO ‘VERSO L’ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE IN TUNISIA’
3.  NEWS FLASH: KENYA: DUE CONDANNE A MORTE COMMUTATE IN DIECI ANNI DI CARCERE 4.  NEWS FLASH: STATI UNITI: 1.344 DETENUTI SI TROVANO NEI BRACCI DELLA MORTE IN VIOLAZIONE DEI TRATTATI INTERNAZIONALI SOTTOSCRITTI DAGLI USA, SECONDO IL DPIC 5.  NEWS FLASH: TAIWAN: CONDANNA CAPITALE EVITATA IN UN CASO DI OMICIDIO E STUPRO 6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


IRAN: CORTE SUPREMA CONFERMA TRE CONDANNE A MORTE PER LE ‘PROTESTE DI NOVEMBRE’
La Corte Suprema iraniana ha confermato le condanne a morte che erano state emesse contro tre giovani in relazione alle proteste dello scorso novembre, ha riportato il 24 giugno 2020 il sito della Human Rights Activists News Agency (HRANA).

I tre giovani, che si chiamano Amir Hossein Moradi, Saeed Tamjidi e Mohammad Rajabi, erano stati condannati a morte dal Tribunale Rivoluzionario di Teheran il 25 e 26 gennaio 2020.
La notizia, non pubblicata sui media ufficiali, è stata comunicata alla HRANA da uno degli avvocati degli imputati, che però non ha voluto essere identificato.
Al momento la notizia non compare sulla pagina in inglese di HRANA.
I tre giovani, tutti intorno ai 20 anni, erano stati arrestati durante le proteste di novembre scaturite dal triplicare dei prezzi dei carburanti.
In primo grado Amir Hossein Moradi è stato condannato a morte con l'accusa di "complicità in vandalismo e incendio doloso con l'intenzione di agire contro la Repubblica Islamica dell'Iran", 15 anni di carcere e 74 frustate per l'accusa di "complicità in rapina a mano armata aggravata dall’aver agito di notte" e un anno di reclusione per l'accusa di "attraversamento illegale di confine".
Saeed Tamjidi e Mohammad Rajabi sono stati entrambi condannati a morte con l'accusa di "complicità in vandalismo e incendio doloso con l'intento di agire contro la Repubblica Islamica dell'Iran", 10 anni di carcere e 74 frustate per l'accusa di "complicità in rapina a mano armata aggravata dall’aver agito di notte" e a un anno di reclusione per l'accusa di "attraversamento illegale di confine".
Tamjidi e Rajabi infatti si erano rifugiati in Turchia, ma lo stato confinante non ha riconosciuto loro nessun tipo di protezione e li ha immediatamente rimandati in Iran. I tre imputati sono stati accusati di appartenenza all'organizzazione dei Mujahedin del Popolo (Mujahedin-e Khalq -MEK), organizzazione che il governo iraniano considera, senza fornire prove convincenti, “terroristica”. Un altro imputato nel caso, Mojgan Eskandari, è stato condannato all'ergastolo con accuse simili mentre un quinto imputato, il cui nome completo non è stato divulgato, è in attesa di processo.


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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

TUNISI: SEMINARIO ‘VERSO L’ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE IN TUNISIA’
Inizia a Tunisi il 25 giugno 2020 il seminario “Verso l’abolizione della pena di morte in Tunisia”, che rappresenta l’atto conclusivo del progetto sostenuto dall’Unione Europea volto a contenere la pena di morte in tempo di “guerra al terrorismo” nel Paese.
L’incontro, che si svolge presso l’Hôtel Golden Tulip El Mechtel di Tunisi, vedrà la presentazione di diversi studi e di un progetto di legge, cui seguiranno dei dibattiti:
“La pena di morte e il diritto alla vita nel diritto comparato e nelle leggi internazionali e regionali” - Dr. Hafidha Chekir e Dr. Wahid Ferchichi; Illustrazione di un progetto di legge relativo all’abolizione della pena di morte in Tunisia. - Dr. Hafidha Chekir e Dr.Wahid Ferchichi; Presentazione dello studio “La pena capitale in Tunisia, la moratoria è sufficiente? La condizione dei condannati a morte” - Ph. Khaled Mejri; Riflessione sulla strategia di sostegno relativa al progetto di legge per l’abolizione della pena di morte - Giudice Omar Weslati.


KENYA: DUE CONDANNE A MORTE COMMUTATE IN DIECI ANNI DI CARCERE La Corte d'Appello del Kenya il 19 giugno 2020 ha commutato in pene detentive le condanne a morte di due agenti di polizia riconosciuti colpevoli di aver ucciso un agente della polizia amministrativa e due parenti di un deputato.
I due sconteranno 10 anni di carcere ciascuno, invece della condanna a morte che era stata inflitta loro dall'Alta Corte di Nairobi nel 2018.
I poliziotti Benjamin Changawa e Stanley Okoti uccisero il poliziotto Joseph Obongo, che era di scorta all’ex deputato del Bomachog Joel Onyancha. Spararono anche a due parenti dell’ex deputato identificati come Geoffrey Mogoi e Amos Okenye a Kangemi, nell'ottobre 2014. Furono esplosi in tutto 12 colpi.
L’appello è stato accolto a maggioranza, con i giudici William Ouko e Agnes Murgor che si sono espressi a favore, mentre un terzo giudice ha votato contro.
"Secondo il nostro punto di vista ... il loro lungo servizio, rispettivamente di 30 e 20 anni, i loro registri di servizio senza procedimenti disciplinari contro di loro e il fatto che mantengano entrambi le proprie famiglie, siamo intenzionati ad accogliere il loro appello", hanno detto i due giudici.
Le tre persone decedute erano sospettate di aver rapinato un club di Kangemi e Changawa e Okoti, essendo di pattuglia, erano stati chiamati sul luogo. Una volta arrivati avrebbero aperto il fuoco contro le vittime.
Secondo gli agenti si trattava di ladri armati che avevano rifiutato di arrendersi, costringendoli a sparare.
L'accusa ha contrastato la loro tesi, dicendo invece che due delle persone decedute si erano arrese, mentre l’agente di polizia amministrativa aveva sparato in aria.
In primo grado la giudice Stella Mutuku aveva stabilito che, date le circostanze, i due agenti di polizia avrebbero dovuto usare metodi non violenti per arrestare i sospetti. Tutto questo dopo la conclusione da parte di un medico legale che i tre erano morti per ferite inflitte con armi ad alta cadenza di fuoco.
“Ritengo che gli imputati abbiano usato una forza non proporzionata all'obiettivo da raggiungere; cioè arrestare le persone che sono decedute", aveva detto Mutuku.
Aveva quindi riconosciuto i due poliziotti colpevoli di omicidio e li aveva condannati a morte. Gli agenti si sono allora rivolti alla Corte d'Appello nel tentativo di far annullare il verdetto di colpevolezza e le condanne capitali.
Davanti a un collegio di tre giudici, hanno sostenuto che il giudice del processo non è stato corretto nel riconoscerli colpevoli di omicidio. Uno dei tre giudici ha respinto l’appello, tuttavia i giudici Ouko e Murgor hanno deciso di commutare le condanne a morte in 10 anni di carcere.


STATI UNITI: 1.344 DETENUTI SI TROVANO NEI BRACCI DELLA MORTE IN VIOLAZIONE DEI TRATTATI INTERNAZIONALI SOTTOSCRITTI DAGLI USA, SECONDO IL DPIC Negli Stati Uniti 1.344 detenuti si trovano nei bracci della morte in violazione dei trattati internazionali sottoscritti dagli Usa, secondo un rapporto del Death Penalty Information Center (DPIC).
Il DPIC fa riferimento alla Inter-American Commission on Human Rights (IACHR), un organismo della Organization of American States (OAS) che esamina le potenziali violazioni dei diritti umani da parte dei paesi membri. In due recenti casi la IACHR ha definito “tortura” tenere un prigioniero nel braccio della morte per oltre 20 anni con il costante rischio di una imminente esecuzione.
Nel 2018, la IACHR ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno violato la American Declaration of Human Rights nel caso di Russell Bucklew, un detenuto del braccio della morte del Missouri. Nell'aprile 2020, la IACHR è tornata sull’argomento nel caso di Nvwtohiyada Idehesdi Sequoyah (precedentemente Billy Ray Waldon) nel braccio della morte della California da 27 anni. In entrambi i casi la sentenza della Commissione Inter Americana ha stabilito che i detenuti erano stati sottoposti a “punizione crudele e inusuale”, usando la formula “cruel or unusual punishment” che è esplicitamente citata (in quanto vietata) dalla Costituzione degli Stati Uniti.
Le sentenze stabilivano inoltre che procedere con le esecuzioni dopo tanto tempo trascorso nel braccio della morte avrebbe costituito un'ulteriore violazione dei diritti umani e raccomandavano come rimedio che le condanne venissero commutate in ergastolo.
Il DPIC ha riesaminato i dati relativi ai detenuti attualmente nei bracci della morte o già giustiziati.
Il rapporto ha rilevato, con i dati aggiornati al 1° gennaio 2020, che 1.344 delle 2.620 persone attualmente detenute nei 26 bracci della morte operanti (24 stati, più Militare e Federale) hanno superato il tetto dei 20 anni.
Inoltre, delle 1.518 esecuzioni effettuate alla stessa data, 191 sono state compiute contro persone che avevano superato i 20 anni nel braccio della morte.
Sommando i due dati, sono 1.535 le violazioni dei diritti umani compiute dagli Stati Uniti.


TAIWAN: CONDANNA CAPITALE EVITATA IN UN CASO DI OMICIDIO E STUPRO Un uomo che violentò e uccise una modella nel distretto Nangang di Taipei nel 2017 ha evitato la condanna a morte in un processo d’appello conclusosi il 23 giugno 2020, che ha visto invece la conferma della sua condanna all’ergastolo.
Nel febbraio 2017, Cheng Yu invitò una donna di 23 anni soprannominata Chen a un servizio fotografico previsto per l’inizio di marzo. Cheng utilizzò l'account Facebook della sua ragazza per inviare l'invito.
Il giorno del servizio fotografico, Cheng avrebbe portato Chen nello scantinato di un edificio, dove l'avrebbe violentata e strangolata. Cheng rubò il cellulare e le carte di credito della vittima, che in seguito usò per fare acquisti.
Nonostante i pubblici ministeri avessero chiesto la pena di morte per Cheng, nel processo di primo grado il tribunale distrettuale di Shilin aveva condannato l’imputato all’ergastolo.
Al fine di annullare quella sentenza e per ottenere la condanna a morte, è stato presentato un appello all'Alta Corte di Taiwan, che tuttavia il 23 giugno lo ha respinto. Se l’accusa volesse ancora chiedere la pena di morte per Cheng potrebbe rivolgersi alla Corte Suprema.
La portavoce dell'Alta Corte, Wang Ping-hsia, ha affermato che la Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione Internazionale sui diritti sociali culturali ed economici sono state recepite dalla legislazione di Taiwan e che le azioni di Cheng non meritano una condanna a morte. Wang ha anche citato la valutazione psicologica di Cheng da parte di un esperto, secondo cui un'attenta supervisione ridurrebbe la possibilità di recidiva; pertanto l’alta corte ha ritenuto che non fosse necessaria la condanna capitale.

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