MICHELANGELO BUONARROTI-VENERE E AMORINO-PALAZZO MEDICI-RICCARDI FIRENZE
Venere e amorino è un bassorilievo marmoreo (43,5x58 cm) attribuito a Michelangelo Buonarroti, databile al 1491-1492 circa e conservato a Palazzo Medici-Riccardi a Firenze. Si tratta di una delle attribuzioni più recenti all'artista nata da una proposta di Gabriele Morolli e Alessandro Vezzosi e pubblicata nel volume Michelangelo Assoluto (Scripta Maneant, Reggio Emilia, 2012).
L'opera si trova inserita in una delle "panoplie" nel cortile di Michelozzo, tra iscrizioni e rilievi antichi sistemati in questa cornice all'epoca dei Riccardi, tra il 1715 e il 1719.
Non è infrequente che tra i busti e i rilievi delle incrostazioni siano state inserite anche opere moderne, o perché scambiate con antiche, oppure perché scolpite appositamente per riempire i vuoti secondo schemi tematici e di simmetria, effettuando dei veri e propri falsi storici.
Poco si conosce dell'attività del giovane Michelangelo negli anni in cui era ad apprendistato nel Giardino di San Marco, ospitato proprio a palazzo Medici sotto la protezione di Lorenzo il Magnifico. Le poche opere citate dalle fonti relative a questo periodo sono perdute, e i soli oggetti di confronto pressoché sicuri sono la Battaglia dei centauri e la Madonna della Scala. Il confronto con quest'ultima opera risulta illuminante per il rilievo in questione.
È verosimile che l'opera sia rimasta a palazzo Medici e che dopo il passaggio a Riccardi possa essere stata scambiata per antica, più o meno deliberatamente, e inserita nel complesso decorativo. È stato ipotizzato che l'opera in origine avesse dimensioni maggiori, fino a una lunghezza di 67/68 cm circa, con un rapporto di 2:3 con l'altezza.
Si tratta un evidente omaggio allo stiacciato di Donatello, sia nella tecnica che gradua i piani con variazioni millimetriche di spessore, sia nell'iconografia, che cita la celebre Madonna Pazzi.
Il tema però è mitologico-letterario, in piena coerenza con gli ideali neoplatonici della cerchia laurenziana. Una donna nuda e sdraiata, verosimilmente Venere, solleva il busto puntellandosi col braccio destro, mentre le si avvicina un amorino, privo di ali, che le getta le braccia al collo e le avvicina il viso verso un tenero bacio. La donna ha un ginocchio piegato e l'altro braccio sollevato, magari a sfiorare un oggetto non definito.
La precisione anatomica del rilievo, l'uso dello stiacciato soffuso negli incarnati e ruvido nello sfondo e i particolari non finiti (come le mani e i piedi, tuttavia così percepibili, come nei putti della Madonna della Scala), fanno della proposta di attribuzione "molto più che un'ipotesi"[1].
Numerosi confronti sono istituibili nella posa delle figure con altre opere successive dell'artista, dal disegno per la Leda con il cigno all'affresco della Creazione di Adamo, all'Aurora e alla Notte.
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