ANNIBALE CARRACCI-VENERE E SATIRO CON DUE AMORINI-GALLERIA DEGLI UFFIZI FIRENZE
Venere e Satiro con due amorini è un dipinto di Annibale Carracci. L'opera è nota anche come La Baccante.
La tela fu venduta nel 1620 da tale Camillo Bolognetti, gentiluomo bolognese, ad un emissario del Granduca di Toscana[1].
Approdato a Firenze, il dipinto è sempre rimasto nelle collezioni medicee, dove venne ritenuto degno di essere esposto nella Tribuna degli Uffizi, collocazione riservata alle opere più insigni di proprietà dei Medici.
La Venere del Carracci compare infatti nel dipinto di Johan Joseph Zoffany che raffigura questo ambiente: è in alto a sinistra, a fianco alla Carità di Guido Reni e sopra la Madonna della Seggiola di Raffaello.
Non si è in possesso di notizie antecedenti alla vendita del 1620, quindi incerta è la datazione dell'opera. Tuttavia, la forte influenza veneta che caratterizza la Venere degli Uffizi indica come collocazione temporale più plausibile la fine del nono decennio del Cinquecento, quando Annibale aveva da poco soggiornato a Venezia.
A causa della carica erotica che pervade il dipinto, esso, nel corso del Settecento, venne coperto con un'altra tela, usata a mo' di schermo, rimossa solo ad inizio Ottocento.
Data l'esplicita sensualità del dipinto, dovuta alla nudità della dea, le cui natiche sono ben visibili sul primissimo piano della tela, nell'opera si è scorta una chiara allusione sessuale, ulteriormente sottolineata dal contrasto tra le forme opulente e rosate di Venere con quelle brune del satiro, a sua volta emblema di istintualità erotica, cui si associa anche l'offerta di una coppa d'uva, che egli porge alla dea, frutto dionisiacoper eccellenza.
Si tratta di temi ricorrenti nei quadri "da camera", destinati agli ambienti strettamente privati delle abitazioni signorili e spesso caratterizzati da temi di contenuto erotico, per il diletto del padrone di casa.
Benché sia difficilmente dubitabile che il dipinto abbia anche questa valenza, in esso si è colto, allo stesso tempo, un sottotesto morale. Si osserva, infatti, che la dea si sottrae all'approccio del satiro ed anzi si copre pudicamente con un panno bianco. Ma è soprattutto l'azione dei due putti che disvela questo aspetto edificante.
Infatti, mentre quello in basso a sinistra abbranca una coscia di Venere – quasi a dar manforte all'assalto del satiro – e tira fuori la lingua in una posa lasciva (ma anche un po' comica), l'altro, in alto a destra, sopraggiunge in volo ed afferra il satiro per le corna arrestandone lo slancio.
I due putti, quindi, altri non sono che Eros e Anteros, in perenne conflitto tra loro, come per l'appunto è continua la lotta tra i “bassi” istinti del corpo e delle passioni (Eros) e gli alti afflati dell'amore spirituale e virtuoso (Anteros). Ovviamente, come impone la morale del tempo, la palma della vittoria è destinata ad Anteros, che infatti sta per coronare Venere con una ghirlanda.
La Venere di questo dipinto va quindi intesa come Venere Celeste, cioè quella sfaccettatura della dea che incarna gli aspetti “nobili” dell’amore – che in ultima analisi rimandano all’amor di Dio – contrapposta alla Venere Terrena (o Vulgare) che viceversa simboleggia gli aspetti “deteriori” di questo sentimento: la vanità, la caducità delle passioni e la lascivia.
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