Ero in missione a Hajjah nel nord dello Yemen per
accompagnare il team medico delle unità mobili. Le unità mobili
sono delle cliniche
itineranti che forniscono servizi salva-vita a coloro che
non hanno la possibilità di raggiungere un centro medico. Più della metà
delle strutture sanitarie infatti è stata danneggiata o distrutta dalla
guerra e le strade sono spesso intransitabili.
Lungo il tragitto c’erano pochissime macchine, scuole e
ospedali intatti o strade asfaltate. Gli attacchi aerei hanno portato via tutto
dando così la sensazione che fossimo tornati indietro nel tempo.
Quando siamo arrivati al centro medico temporaneo c’erano
già centinaia di persone ad attenderci. I corridoi erano talmente pieni
che a stento riuscivo ad entrare. Un centro che da solo cura più di 300 persone al
giorno.
La sofferenza di tutte le persone in Yemen è evidente. Le
loro storie riflettono tristemente la situazione in tutto il Paese.
Homadi* è venuta alla nostra clinica nel tentativo disperato di salvare
la sua piccola di 13 mesi, Maria*, malnutrita.“Mia figlia è malata. Ho
fatto tutto ciò che potevo per salvarla. Avevo un altro figlio oltre Maria,
soffriva dello stesso problema ed è morto a soli 18 mesi”.
Per i bambini come Maria le nostre cliniche mobili possono fare la
differenza tra la vita e la morte.
Nella guerra in Yemen alcune delle bombe che colpiscono i
bambini provengono anche dall’Italia. Non possiamo renderci complici di
queste morti vendendo armi a paesi che violano palesemente il diritto
internazionale e i diritti dei bambini. Chiediamo lo stop alla vendita di armi
italiane in Yemen.
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