sabato 26 agosto 2017

LE BUCOLICHE DI VIRGILIO
ECLOGA I


Melibeo

Titiro, tu riposando sotto la volta di un ampio faggio,
vai componendo un canto silvestre con una tenue canna;
noi lasciamo i confini della patria e i dolci campi;
noi fuggiamo la patria; tu, Titiro, placido all'ombra,
insegni alle selve a far risuonare il nome della bella Amarilli.


Titiro

O Melibeo, un dio ci donò questa quiete.
Infatti egli sarà sempre per me un dio; spesso un tenero agnello
dei nostri ovili bagnerà di sangue il suo altare.
Egli permise, come vedi, ai miei buoi di errare
e a me stesso di suonare con l'agreste canna ciò che volevo.


Melibeo

Non provo invidia, davvero, piuttosto mi stupisco;
a tal punto vi è scompiglio ovunque nelle campagne.
Ecco io stesso, affranto, conduco le mie caprette senza sosta.
Questa, o Titiro, la conduco a stento.
Qui tra folti nocciuoli poco fa, avendo partorito due gemelli,
speranza del gregge, li ha lasciati sulla nuda pietra.
Ricordo che spesso, se non fossimo stati stolti, questo male
ce lo predissero le querce colpite dal fulmine.
Tuttavia chi sia questo dio dimmi, o Titiro.


Titiro

La città che chiamano Roma, o Melibeo, io ritenevo,
da stolto, simile a questa nostra, dove noi pastori
siamo soliti condurre i teneri agnelli:
così conoscevo i cuccioli simili ai cani,
così i capretti simili alle loro madri; così solevo
paragonare le grandi cose alle piccole.
Ma questa città tanto sollevò il capo tra le altre,
quanto sogliono i cipressi tra i molli viburni.


Melibeo

E quale fu il grande motivo che ti spinse a vedere Roma?


Titiro

La libertà, che sebbene tardi mi rivolse lo sguardo dopo che
a me, inerte nel radermi, cadeva la barba diventata più bianca;
tuttavia mi guardò e venne dopo un lungo tempo,
da quando mi tiene Amarilli e mi lasciò Galatea.
Infatti, lo confesso, finché mi teneva Galatea,
non c'era né speranza di libertà né cura del denaro:
sebbene molte vittime uscissero dai miei recinti
e un pingue formaggio premessi per l'avara città,
mai la mano destra tornava a casa appesantita dal denaro.


Melibeo

Mi meravigliavo, o Amarilli, perché invocavi mesta gli dei
e per chi lasciavi pendere dall'albero i suoi pomi.
Titiro era lontano di qui! Persino i pini, o Titiro,
persino le fonti, persino gli arbusti ti invocavano.


Titiro

Cosa fare? Non potevo né uscire da servitù né trovare
con la mente dei abbastanza propizi altrove.
Là vidi, o Melibeo, quel giovane per il quale
ogni anno i nostri altari fumano dodici volte.
Là egli per primo diede il responso alla mia richiesta:
"Pascolate come prima i buoi, o garzoni; allevate i tori".


Melibeo

Fortunato vecchio! Dunque i campi rimarranno tuoi,
e grandi abbastanza per te, sebbene la nuda pietra
e la palude con i fangosi giunchi invadano tutti i pascoli.
Non nuoceranno alle gravide pecore i pascoli inconsueti,
né il contagio di un vicino armento porterà danno.
Fortunato vecchio, qui tra i noti fiumi
e le sacre fonti godrai il fresco all'ombra:
qui sul vicino confine di sempre la siepe,
succhiata nei suoi fiori di salice dalle api iblee,
spesso con lieve sussurro ti inviterà ad addormentarti;
di qui sotto un'alta rupe canterà all'aria il potatore;
e frattanto le roche colombe, tuo amore,
e la tortora dall'aereo olmo non cesseranno di gemere.


Titiro

Prima dunque pascoleranno nel cielo i leggeri cervi
e le acque del mare abbandoneranno sul lido i pesci spogli,
e trascorrendo gli uni nelle terre degli altri,
o l'esule Parto berrà nell'Arari o il Germano nel Tigri,
prima che il volto di lui svanisca nel nostro cuore.


Melibeo

Noi invece di qui andremo una parte tra i sitibondi africani,
una parte nella Scizia e all'Oassi turbinoso di argilla
e agli estremi Britanni divisi da tutto il mondo.
Forse mai guarderò con meraviglia, dopo molto tempo,
la terra dei padri e il tetto del povero tugurio fatto con zolle d'erba,
rivedendo il mio regno dietro poche spighe?
Un empio soldato possederà questi campi così ben coltivati?
Un barbaro queste messi? Ecco dove la discordia ha trascinato
i miseri cittadini! Per costoro abbiamo seminato i campi!
Innesta ora i peri, o Melibeo, disponi in ordine le viti.
Andate, o mie caprette, gregge un tempo felice:
d'ora in poi non vi vedrò più, sdraiato in un verde antro,
pendere di lontano da una rupe cespugliosa:
non canterò più canti; non più, o caprette, sotto la mia guida
brucherete il citiso in fiore e gli amari salici.


Titiro

Qui tuttavia potevi riposare questa notte con me
su verdi foglie; noi abbiamo frutti maturi,
tenere castagne e abbondanza di formaggio.
E già i tetti dei casolari fumano da lontano,
e più grandi cadono dagli alti monti le ombre.

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