ATTRIBUITO A MICHELANGELO-CROCIFISSO GALLINO-MUSEO DEL BARGELLO
FIRENZE
Il Crocifisso Gallino (dal cognome dell'antiquario torinese che lo ha venduto allo Stato Italiano nel 2008) è una piccola scultura lignea (41,3x39,7 cm), attualmente priva della croce, databile al 1495-1497 circa, che alcuni attribuiscono a Michelangelo Buonarroti. Nonostante il riferimento iniziale al legno di tiglio, l'oggetto, molto probabilmente, è realizzato in essenza di pioppo.
Opera destinata alla devozione privata, il crocifisso era divenuto di proprietà dell'antiquario torinese Giancarlo Gallino, prima dell'attribuzione a Michelangelo, una posizione, peraltro, che incontra l'opinione contraria di alcuni studiosi. La critica si è divisa infatti su estremi opposti, tra chi la considera opera attribuibile allo scultore toscano e chi, con una valutazione contrapposta, la valuta alla stregua di un'opera seriale o semi-seriale di una tradizione artistica, quella dei legnaioli, molto viva in epoca rinascimentale a Firenze. Ha suscitato pertanto notevoli perplessità, e inchieste della magistratura penale e contabile, la decisione dello Stato italiano di impegnare una somma considerevole per il suo acquisto. La vicenda ha indotto la Procura della Corte dei Conti, nel mese di febbraio 2012, a citare in giudizio l'allora direttore generale del ministero dei Beni Culturali, Roberto Cecchi, la soprintendente del Polo Museale Fiorentino, Cristina Acidini, e quattro funzionari del ministero.
La Corte dei conti ha emesso la propria sentenza sul caso (la n. 643 del 2013 della Sezione Lazio) nel settembre del 2013 e ha ritenuto esenti da responsabilità erariale gli incolpati in quanto, ad avviso del collegio giudicante, non è stato esattamente quantificato il danno subito dall'erario. La stessa sentenza però ha in più punti mosso critiche alla condotta dei soggetti evocati in giudizio tenuta nella fase che ha preceduto la formalizzazione dell'acquisto del crocifisso da parte dello Stato, giudicando inadeguato ed insufficiente il procedimento di valutazione dell'effettiva attribuibilità dell'opera al Buonarroti.
Il crocifisso è stato affidato al Polo Museale Fiorentino. Dall'ottobre 2011, l'opera è stata destinata al Museo del Bargello dove, dal 4 aprile 2012, è definitivamente esposta in una teca nella Cappella del Podestà.
Sant'Andrea Corsini di Guido Reni (c. 1630-35): il crocifisso devozionale è stato oggetto di una forzata associazione al Crocifisso Gallino
L'opera sembrerebbe venuta alla luce solo negli anni novanta del XX secolo, quando l'antiquario Giancarlo Gallino sottopose il crocifisso all'attenzione dei maggiori esperti di Michelangelo.
L'opera sembrerebbe venuta alla luce solo negli anni novanta del XX secolo, quando l'antiquario Giancarlo Gallino sottopose il crocifisso all'attenzione dei maggiori esperti di Michelangelo.
La presunta provenienza Corsini
In un parere espresso al telegiornale del 21 dicembre 2008, nel corso di un'apparizione dell'opera all'interno di uno studio televisivo RAI, Roberto Cecchi, direttore generale del patrimonio storico-artistico, ha alluso a un'origine fiorentina, non meglio precisata anche se data per sicura: da questa allusione si è poi materializzato un passato suggestivo, che lo vorrebbe provenire dal patrimonio di un'antica famiglia, i Corsini, così illustre da aver espresso un papa del Settecento (Clemente XII) e da aver dato i natali a un santo nel Trecento (sant'Andrea Corsini). Proprio l'iconografia di quest'ultimo personaggio, ritratto in un dipinto di Guido Reni, ha dato lo spunto per un'ulteriore arricchimento della vicenda: il crocifisso è stato infatti messo in relazione con un oggetto devozionale visibile nella tela realizzata da Guido Reni nella prima metà del Seicento. In realtà, sia l'apparizione dal nulla nel Novecento, sia la suggestiva storia dell'appartenenza a una illustre famiglia patrizia, sono state entrambe smontate da inchieste giornalistiche e dall'indagine dei Carabinieri, che hanno lasciato spazio a una storia di ben più ordinario spessore. Infatti, come si è scoperto, il crocifisso era un oggetto che circolava già da tempo sul mercato dell'arte: Giancarlo Gallino l'aveva ottenuto sulla piazza fiorentina, da un collega antiquario di via Maggio, mentre in precedenza la scultura era stata in vendita sul mercato di New York, dove lo stesso antiquario di via Maggio l'aveva acquisito per una somma modesta, «equivalente a circa 10.000 euro».
In un parere espresso al telegiornale del 21 dicembre 2008, nel corso di un'apparizione dell'opera all'interno di uno studio televisivo RAI, Roberto Cecchi, direttore generale del patrimonio storico-artistico, ha alluso a un'origine fiorentina, non meglio precisata anche se data per sicura: da questa allusione si è poi materializzato un passato suggestivo, che lo vorrebbe provenire dal patrimonio di un'antica famiglia, i Corsini, così illustre da aver espresso un papa del Settecento (Clemente XII) e da aver dato i natali a un santo nel Trecento (sant'Andrea Corsini). Proprio l'iconografia di quest'ultimo personaggio, ritratto in un dipinto di Guido Reni, ha dato lo spunto per un'ulteriore arricchimento della vicenda: il crocifisso è stato infatti messo in relazione con un oggetto devozionale visibile nella tela realizzata da Guido Reni nella prima metà del Seicento. In realtà, sia l'apparizione dal nulla nel Novecento, sia la suggestiva storia dell'appartenenza a una illustre famiglia patrizia, sono state entrambe smontate da inchieste giornalistiche e dall'indagine dei Carabinieri, che hanno lasciato spazio a una storia di ben più ordinario spessore. Infatti, come si è scoperto, il crocifisso era un oggetto che circolava già da tempo sul mercato dell'arte: Giancarlo Gallino l'aveva ottenuto sulla piazza fiorentina, da un collega antiquario di via Maggio, mentre in precedenza la scultura era stata in vendita sul mercato di New York, dove lo stesso antiquario di via Maggio l'aveva acquisito per una somma modesta, «equivalente a circa 10.000 euro».
L'associazione del crocifisso Gallino all'immagine del crocifisso di Guido Reni è quindi un accostamento del tutto arbitrario e forzato, a cui ostano anche motivazioni stilistiche: il Cristo in croce di Reni è considerato infatti «una tipica invenzione del pittore bolognese, di quelle che apriranno la strada ai Cristi di Alessandro Algardi e Gian Lorenzo Bernini».
Prima esposizione museale
Esposta al pubblico per la prima volta al Museo Horne di Firenze nel 2004, ricevette pareri positivi all'attribuzione da Giancarlo Gentilini, Antonio Paolucci, Cristina Acidini, Umberto Baldini, Luciano Bellosi, Massimo Ferretti (quest'ultimo ha inteso successivamente chiarire la sua posizione, definendo non sicuro l'accostamento al nome di Michelangelo). A tale attribuzione, avvenuta su articoli di giornale, aderì in maniera convinta lo studioso Arturo Carlo Quintavalle e, in maniera più cauta e sfumata, Vittorio Sgarbi. Dopo la conclusione della mostra, l'opera fu notificata e sottoposta a vincolo culturale del ministero dei Beni Culturali.
Esposta al pubblico per la prima volta al Museo Horne di Firenze nel 2004, ricevette pareri positivi all'attribuzione da Giancarlo Gentilini, Antonio Paolucci, Cristina Acidini, Umberto Baldini, Luciano Bellosi, Massimo Ferretti (quest'ultimo ha inteso successivamente chiarire la sua posizione, definendo non sicuro l'accostamento al nome di Michelangelo). A tale attribuzione, avvenuta su articoli di giornale, aderì in maniera convinta lo studioso Arturo Carlo Quintavalle e, in maniera più cauta e sfumata, Vittorio Sgarbi. Dopo la conclusione della mostra, l'opera fu notificata e sottoposta a vincolo culturale del ministero dei Beni Culturali.
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