Il Granducato di Toscana, primo Stato ad abolire la pena di morte
La città di Firenze vanta molti record invidiabili; fra questi c’è n’è uno particolarmente importante, perchè investe una questione di civiltà e di modernità culturale che precorre uno degli attuali capisaldi della giustizia penale italiana: il Granducato di Toscana fu il primo stato ad abolire ufficialmente la pena di morte.
Il provvedimento leopoldino anticipa di solo un anno l’abolizione della pena di morte nel Lombardo-Veneto avvenuta nel 1787 con l’avvento del Codice Penale promulgato dall’Imperatore Giuseppe II. Molto curioso il fatto che i regnanti di Toscana e Lombardo-Veneto, i primi due Stati ad abolire ufficialmente la pena di morte, fossero ambedue appartenenti alla medesima casata degli Asburgo-Lorena. Non solo: il Granduca Pietro Leopoldo di Toscana era il fratello minore di Giuseppe II e ne fu anche il successore alla guida dell’Impero austro-ungarico col nome di Leopoldo II.
La Regione Toscana festeggia la ricorrenza dell’editto, firmato nel Palazzo Reale di Pisa il 30 novembre 1786, con cui il Granduca Pietro Leopoldo rendeva la Toscana il primo paese al mondo ad abolire la tortura e la pena di morte, ponendosi all’avanguardia di un movimento che nel volgere di alcune decine di anni avrebbe coinvolto numerosi Stati italiani ed europei.
L’atto di Abolizione della pena di morte è contenuto nella Legge di Riforma Criminale, ovvero la numero LIX (59) del 1786: la dichiarazione con cuiPietro Leopoldo di Asburgo Lorena, Granduca di Toscana, dichiara cessata la pena di morte e la tortura, è contenuta nell’articolo 51°.
Nonostante il record detenuto dal Granducato di Toscana, bisogna ricordare che tale norma, nel suo valore assoluto, ebbe in realtà vita breve: dopo soli 4 anni, infatti, la pena capitale veniva reintrodotta, in principio contro i soli “ribelli” e “sollevatori” (limitatamente quindi ai casi di eversione nei confronti dello Stato), e successivamente per altri reati.
Ciò non toglie alcun chè al ruolo di profonda innovazione civile rappresentato dalla Toscana, che rimaneva pur sempre uno stato molto avanzato relativamente alla legislazione penale. Il30 aprile 1859, infatti, alla vigilia del Referendum che sanciva l’unione al neonato Stato Italiano, il governo provvisorio toscano sanciva nuovamente l’abolizione delle pena di morte.
La posizione della Toscana era talmente avanzata da costituire un problema per l’uniformità della legislazione penale degli stati della penisola confluiti del nuovo Regno d’Italia: ciascuno di essi prevedeva infatti la pena di morte, mentre la sola Toscana l’aveva abolita. Questa situazione fu addirittura motivo di esenzione per la Toscana dall’applicazione del codice di giustizia penale del 1865, che uniformava per l’appunto le previsioni in materia in tutto il Regno, ad eccezione della Toscana, in cui rimaneva in vigore la più mite legislazione pre-unitaria, che prevedeva soltanto 9 casi (relativi a situazioni di eversione o reati militari) in cui poteva eccezionalmente essere comminata la pena capitale.
A titolo di curiosità, è interessante ricordare, in modo che risalti la portata dirompente e di grande innovazione che dovette avere all’epoca un simile provvedimento, che lo Stato Italiano pervenne alla prima abolizione della pena di morte soltanto nel 1889, con l’entrata in vigore del codice penale unificato Zanardelli. Reintrodotta in epoca fascista, viene definitivamente abolita per i reati comuni con l’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana del 27 dicembre 1947, e nel 1994 anche dal codice penale militare di guerra.
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