..........................Sulla destra
guardando la facciata vi era un muro anch’esso con un intonaco molto
rovinato ed all’angolo di congiunzione
tra questo e la stessa facciata era posto un
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grande tavolo simile
ad un altare in pietra serena scheggiato a causa del tempo e delle intemperie.
Dentro il muro erano incassate delle grandi vasche e dentro quella mediana vi
era una lapide che portava la seguente iscrizione
“Io son quella, o lettor, fata Morgana
che giovin qui ringioveniva altrui Qui dal Vecchietto, poiché vecchia io
fui
ringiovenita colla sua fontana”
MDLXXII
Presi un taccuino che avevo sempre
con me e copiai diligentemente ciò che era impresso nell’antico marmo. Mi
allontanai per avere un colpo d’occhio d’insieme e appoggiai le mie terga sul
cofano ancora caldo della mia macchina. Guardai con grande ammirazione l’opera
che ai suoi tempi doveva sprigionare un fascino non indifferente che si era
mantenuto nonostante i danni arrecati dallo scorrere dei secoli. Aprii il
taccuino ove avevo trascritto la frase incisa sulla lapide. Riguardai la
facciata……..pensando che la statua mancate doveva essere, anzi lo era sicuramente
la rappresentazione della fata Morgana. Sicuramente doveva essere molto bella,
chissà perché era sparita? dove poteva essere al momento? Improvvisamente il
mio pensiero andò a GIAMBOLOGNA. Pur non essendo ferratissimo in storia
dell’arte, dai tempi del liceo non era mai stata la mia materia preferita.
Comunque non ero nelle condizioni del povero Don Abbondio che non sapeva chi
fosse Carneade. Io non mi son posto la domanda Giambologna chi è costui…….Giambologna, pseudonimo di Jean
de Boulogne è stato uno scultore di origine fiamminga, particolarmente attivo nella Firenze della
seconda metà del ‘500. Il ratto delle sabine collocato all’interno della loggia
dei Lanzi, le due statue equestri che ornano tutt’oggi due belle piazze
fiorentine, queste erano le opere che
ritenevo più famose dello scultore fiammingo.
Qualcosa, in fondo, ancora ricordavo di quegli ormai antichi e mai del tutto amati studi sulla storia
artistica del nostro paese in generale e della nostra Firenze in particolare.
Così pensieroso rimiravo con ammirazione quel luogo
magico, di una magia misteriosa ed anche un po’ inquietante, mi sembrava di
vedere strane e diafane figure danzanti coperte da strane cappe nere,
arancioni, argentate.
-Ma che mi sta accadendo? Mi domandai al alta voce,
per caso mi vengono le traveggole. Per farmi coraggio mi sfuggi una risatina
con venature quasi isteriche.
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C’era anche quel tavolone di pietra che sembrava quasi
una sorta di altare ove celebrare riti misteriosi, quella scritta lungo tutto
il suo bordo resa illeggibile dal trascorrere del tempo e dalle offese delle
intemperie a cui era stata costretta.
Mi rialzai dal cofano della macchina dove ero stato
fino a quel momento appoggiato, mi stirai allargando le braccia in forma di
croce, mi massaggiai poderosamente le mie reni doloranti e mi stavo avviando
verso la porticina protetta dal cancelletto per poter ricontrollare l’interno
della fonte o del ninfeo o di quel diavolo fosse stato alla sua origine.
Il sole era già scomparso dietro le collinette che
circondavano l’angusta valle ove mi stavo trovando. Un brivido di un freddo
innaturale mi corse tutto lungo la schiena, i peli dei miei bracci si rizzarono
come attratti da una forza misteriosa, fui invaso da un’inquietudine
stranamente immotivata. Sembrava che la mia presenza dispiacesse a qualche
forza arcana lì nascosta da qualche parte. Entrai in macchina, accesi il motore
che al primo colpo non partì, ciò mi creò un certo imbarazzo misto da paura.
Feci marcia in dietro e con un’unica ed abile manovra mi inserii nella stretta strada che già avevo percorso in senso inverso.
Giunsi al suo termine dove essa si immetteva in
un’arteria principale. Nel suo ultimo tratto era fiancheggiata da entrambi i
lati da piccoli, vecchi edifici e proprio sull’ultimo c’era appesa un insegna
che indicava una rivendita di tabacchi, decisi di fermarmi perché avevo bisogno
un urgente bisogno di una buona e malsana sigaretta. Accostai il mio mezzo al
muro per non ostacolare gli eventuali veicoli in transito. Scesi senza chiudere
la portiera, entrai nella modesta botteguccia scostando una vecchia tenda fatta
di fila di perline in filate in corde lunghe quanto era alta la porta. Il mio
ingresso fu annunciato dal tintinnare d i questa tenda e mi ritrovai in un
ambiente lungo e stretto, buio, fumoso che da tanto tempo non aveva visto
l’opera di un imbianchino. Per quasi
tutta la sua lunghezza c’era un fornito banco di alimentari. L’ambiente era
pervaso da un intenso ed invitante profumo di buoni insaccati e di buon pane
toscano. Era uno di quei negozi che offrivano una grandissima varietà di merci.
Si andava dagli alimentari, ai detersivi per finire ai tabacchi. C’era anche un
piccolissimo banco per la mescita di bevande ove appollaiati su due alti
sgabelli stavano due arzilli vecchietti che stavano gustando due gottini di
buon vino rosso. ..............................,
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